Miracolo nella 34ª strada (1994): Richard Attenborough dà vita ad un classico del Natale (con un focus sul film del ’47)

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Trailer originale di Miracolo nella 34ª strada

Il produttore cinematografico John Wilden Hughes Jr. (Mamma, ho perso l’aereo, 1990; Baby Birba – Un giorno di libertà, 1994), realizza il remake del film Il miracolo della 34ª strada (1947). A interpretare il ruolo di Kris Kringle è Sir Richard Attenborough, vincitore di due Oscar nel 1983 per Gandhi (1982, miglior film e miglior regista) e candidato al Saturn Award 1995 come miglior attore non protagonista proprio per Miracolo nella 34ª strada. John Wilden Hughes Jr. cura anche la sceneggiatura, basata comunque sullo script del 1947 scritto da Valentine Davies (autore del libro Miracle on 34th Street) e George Seaton, capace di ottenere tre Oscar nel 1948.

Trama di Miracolo nella 34ª strada

Nel Giorno del Ringraziamento, Kris Kringle (Richard Attenborough) si ritrova a rivestire il ruolo di Babbo Natale nella consueta parata organizzata dai grandi magazzini Cole. Sebbene sia privo di preparazione, Kris appare talmente naturale nella sua interpretazione da convincere Dorey Walker (Elizabeth Perkins) a ingaggiarlo per la campagna pubblicitaria di Cole. Qui, durante i suoi quotidiani incontri con i bambini, conosce la piccola Susan (Mara Wilson), figlia di Dorey e apparentemente molto sicura di sé. Ma la vicinanza con Kris e l’avvocato Bryan Bedford (Dylan McDermott) conducono la bambina a riflettere riguardo la sua posizione, mettendo in dubbio ciò che la madre le ha raccontato, ovvero la non esistenza di Babbo Natale. Del resto, Kris Kringle è talmente convincente da spingere Susan a provare la sua ipotesi, chiedendogli tre regali che soltanto il vero Babbo Natale può assicurare. Tuttavia, un incidente combinato dalla concorrenza di Cole portano Kris a essere rinchiuso in un ospedale psichiatrico, e in seguito a essere processato in tribunale. Ad aiutarlo trova Bryan, un amico vero che gli assicura di voler tentare il possibile per scagionarlo e, così facendo, salvare un simbolo globale del Natale.

Recensione di Miracolo nella 34ª strada

Tra i molti film dedicati alle festività natalizie, Miracolo nella 34ª strada di Les Mayfield è certamente uno dei classici per eccellenza. Trasmesso annualmente dalle reti televisive, insieme a Mamma, ho perso l’aereo (Chris Columbus, 1990) e Una poltrona per due (John Landis, 1983), il lungometraggio prodotto dall’esperto John Hughes rappresenta una pellicola che riunisce (ed emoziona) piccoli e grandi, condensando al suo interno svariati temi che, quasi paradossalmente, non si discostano da quelli affrontati nel film del 1947. Del resto, l’opera di Les Mayfield racconta una società che, pur tecnologicamente evoluta, manifesta le stesse problematiche che caratterizzavano il periodo descritto dal film diretto da George Seaton. Ed ecco il segreto di tale produzione: ovvero l’analisi di quello “stile di vita” contemporaneo tristemente privo di sogni e persino della capacità di credere in qualcosa. Un comportamento che conduce a quell’esistenza confinata nel “dubbio”, come sostenuto dal grande Richard Attenborough, convincente interprete del ruolo che nel ’47 fu di Edmund Gwenn (vincitore dell’Oscar come miglior attore non protagonista). Perché il mondo è pieno di Susan e Dorey, ma allo stesso tempo reclama personaggi come Kris Kringle; e questo non per la volontà di restare bambini e allontanare le proprio responsabilità. Al contrario, la necessità di sognare tanto decantata da Attenborough, può essere intesa come l’intenzione (anche disperata) di mantenere dei valori che appaiono sempre più lontani.

Nonostante alcune scene dal carattere puramente convenzionale (per esempio la tavola imbandita in occasione del Ringraziamento e la lussuosa abitazione “donata” a Dorey Walker; sequenze comunque giustificabili per il genere di film), Mayfield e lo sceneggiatore John Hughes, decidono anche di provocare il “sistema”, sottolineando l’aspetto commerciale nel quale Kris Kringle si inserisce. I grandi magazzini Cole, in cui lavora proprio Dorey, raffigurano il perfetto contraltare di Attenborough; che del resto comincia la sua opera per far sopravvivere il Natale esattamente da quel regno eretto per diffondere il consumismo. Kringle inizia così dal “caso” più difficile, divenendo addirittura il Babbo Natale ufficiale della campagna pubblicitaria di Cole, con la finalità di comprendere quel mondo che gli appare estraneo. Ed è divertente assistere alle tipiche dinamiche che caratterizzano i grandi magazzini (promozioni, offerte, ecc.) e a come Kringle le “converta” spinto semplicemente dalla sua onestà. La scena in cui consiglia a una madre di acquistare un giocattolo in un altro shopping centre, poiché in vendita a un prezzo inferiore, trasmette i valori del personaggio di Attenborough, capace di “smascherare”, senza secondi fini, i sotterfugi della stessa società per cui lavora.

Ma questa “assenza di secondi fini” è anche il messaggio che Kringle promuove, e che, allo stesso tempo, viene tradito da molte persone presenti nel film. A partire dalla concorrenza di Cole, spinta a provocare Kris fino ad arrivare a una offesa che non può tollerare. La reclusione all’interno di una clinica psichiatrica (simbolo dell’allontanamento di qualsiasi persona “poco convenzionale”) e il successivo processo in cui Kringle viene accusato, dimostrano infatti ciò che caratterizza la società ma anche le sue più recondite paure. O meglio, quel terrore nel credere in qualcosa in grado di travalicare le barriere materiali, più affini a finanza ed economia. Un cambiamento espresso straordinariamente nel film con la scritta “I Believe”, che campeggia su cartelloni e insegne, diffondendosi come un’onda nella città dopo che l’avvocato Bryan Bedford, vero amico di Kringle, ricorda la scritta In God We Trust stampata sulla banconota da un dollaro. Perché, ci ricorda Kris, soldi e sicurezza sono importanti, ma lo è altrettanto quell’innata capacità d’immaginazione che, solitamente, contraddistingue i più piccoli. Gli stessi che incontra quotidianamente nel grande magazzino Cole. Bambini desiderosi di abbracciare quel simbolo del Natale che non dev’essere loro privato. E che in fondo, più che regalare giocattoli e dolciumi, dona loro un istante di straordinarietà che potranno serbare per sempre nella propria memoria. Magari ricordando, nei momenti difficili, quel nonno affettuoso con lo sguardo carico di dolcezza.

Affinità e differenze con la pellicola del 1947

Come scritto nell’introduzione dell’articolo, prima del film diretto da Les Mayfield, George Seaton aveva realizzato Il miracolo della 34ª strada, lungometraggio originale su cui è basata la sceneggiatura del remake di John Hughes. Interessante è però comprendere come la pellicola del ’94 si discosti e si avvicini in modo alterno all’originale. Lo script di Hughes combacia quasi alla lettera rispetto a quello scritto da Valentine Davies (autore anche dell’omonimo libro) e George Seaton, ricalcando persino molte scene che hanno reso celebre l’opera del ’47: un film in grado di ottenere quattro nomination all’Oscar (tra cui miglior film). Inserito nel 2005 nel National Film Registry degli Stati Uniti d’America per i suoi valori “culturali, storici ed estetici”, Il miracolo della 34ª strada è tuttora capace di conquistare amanti del cinema, come testimoniato dalla versione restaurata del 2017 con una risoluzione 4K. Ma a sorprendere è la già citata attualità dei vari temi che caratterizzano la sceneggiatura, che nonostante sia datata 1947, coinvolge come fosse stata scritta nella contemporaneità. A differenza del film del 1994, Il miracolo della 34ª strada era destinato a un pubblico (principalmente) adulto, interessando degli argomenti che sorprendono per l’epoca in cui è stato prodotto. La critica verso il consumismo esasperato è più che mai esplicita nella pellicola del ’47, sottolineando la differenza tra una “festa” e una “disposizione d’animo”, e la sempre presente corsa al profitto che contraddistingue i grandi magazzini.

In tal senso, la sceneggiatura di Valentine Davies e George Seaton limita la presenza degli antagonisti presenti nel remake (i concorrenti di Cole), inserendo invece la figura dello psicologo Granville Sawyer (Porter Hall), che reclama il licenziamento di Kringle (Edmund Gwenn) e lo induce a reagire dopo aver “analizzato” il giovane Alfred (Alvin Greenman), sentenziandolo come un ragazzo che deve espiare le proprie colpe. In realtà, Alfred è una brava persona felice di vestirsi da Babbo Natale per regalare un sorriso ai bambini del quartiere: una situazione “ribaltata” da Sawyer che induce Kringle a non rispettare l’opinione dello psicologo. Questa differenza, rispetto al film del 1994, risulta capace di comunicare la struttura più “intima” del lungometraggio originale, che, nonostante tratti gli stessi temi sociali, appare più concentrato verso le dinamiche strette al personaggio di Kringle, contenendo gli antagonisti e descrivendo le paure del principale villain. Il ruolo di Kris, magistralmente interpretato da Edmund Gwenn e successivamente da Richard Attenborough, entrambi eccellenti nel trasmettere l’immagine di Babbo Natale, è straordinariamente studiato nella sceneggiatura di Valentine Davies e George Seaton, capaci di realizzare un personaggio che è certamente un simbolo del Natale ma, allo stesso tempo, una persona bisognosa di aiuto. Quello che riceve dall’avvocato Fred Gailey (John Payne), che nella pellicola del ’47 ospita Kris nella sua abitazione e, come nel remake, lo difende con estenuante impegno. Natalie Wood interpreta invece la piccola Susan, regalando al cinema una recitazione che appare addirittura più intraprendente rispetto a quella di Mara Wilson nel 1994. Il chewing-gum che mastica in diverse scene (inducendo addirittura Kris a provarne uno) esemplifica infatti il suo animo sbarazzino e indipendente, comunicando, contemporaneamente, la propria convinzione nel “non perdere tempo con fantasticherie”.  Una certezza che Kringle, con pazienza, riesce a convertire in quella fede già espressa dalla regia (un plauso a George Seaton) nella bellissima sequenza iniziale, in cui Edmund Gwenn si aggira per la città, voglioso di rammentare a tutti l’importanza dello spirito natalizio.

Note positive

  • L’interpretazione di Richard Attenborough, perfettamente calato nel ruolo di Kris Kringle
  • La realizzazione di un classico del Natale
  • La profondità di alcuni temi trattati

Note negative

  • Più che una nota negativa, una considerazione: ovvero il differente stile rispetto al film del ’47
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