Non aprite quella porta (1974): Il padre dello splatter

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Non aprite quella porta

Titolo originale: The Texas Chainsaw Massacre

Anno: 1974

Paese: Stati Uniti d’America

Genere: Horror

Durata: 1 hr 24 min (84 min)

Casa di produzione: Vortex Inc., Cannon Films, New Line Cinema

Prodotto da: Tobe Hooper

Regia: Tobe Hooper

Sceneggiatura: Tobe Hooper, Kim Henkel

Montaggio: Larry Carroll, Sallye Richardson

Dop: Daniel Pearl

Musiche: Tobe Hooper, Wayne Bell

Attori: Marylin Burns, Gunnar Hansen, Paul A. Pertain, Allen Danzinger, William Vail, Teri McMinn, Edwin Neal, Jim Siedow, John Dugan

Trailer di Non aprite quella porta (1974)

TRAMA DI NON APRITE QUELLA PORTA (1974) – CON SPOILER

Il film che state per vedere è un resoconto della tragedia che è capitata a cinque giovani, in particolare a Sally Hardesty e a suo fratello invalido Franklin; il fatto che fossero giovani rende tutto molto più tragico, le loro giovani vite furono stroncate da eventi così assurdi e macabri che forse neanche loro avrebbero mai pensato di vivere… per loro un’idilliaca gita pomeridiana estiva si trasformò in tragedia. Gli avvenimenti di quella giornata portarono alla scoperta di uno dei crimini più efferati della storia americana.

CIT. VOCE NARRANTE IN APERTURA – Non aprite quella porta

18 agosto 1973, Texas. Cinque giovani si recano in un cimitero da poco profanato da un imprecisato criminale per controllare che le tombe dei loro cari siano intatte. Per la notte decidono di accamparsi nei pressi di una fattoria apparentemente abbandonata, in realtà abitata da una famiglia di pazzi macellai cannibali che non distinguono più la differenza tra carne umana e animale.

I ragazzi vengono uno a uno sterminati dallo spaventoso Leatherface (Gunnar Hansen nel ruolo più importante della sua carriera), un maniaco armato di motosega che indossa una maschera fabbricata con la pelle delle vittime. La sola a sopravvivere è Sally (Marylin Burns) che, in preda a una crisi isterica e proprio quando sta per essere offerta come tributo al larvale patriarca della famiglia, trova la forza di fuggire lanciandosi in una fuga disperata con la motosega di Leatherface alle spalle.

RECENSIONE DI NON APRITE QUELLA PORTA (1974)

Prima di Venerdì 13 e prima di Halloween c’era Non aprite quella porta. Siamo agli inizi degli anni Settanta e l’allora esordiente Tobe Hooper entra gamba tesa nell’ambiente del cinema indie con film dell’orrore a budget zero ambientato in una squallida provincia rurale del Texas, immediatamente divenuto un cult per la sua ferocia, bandito in molti paesi tra cui l’Inghilterra e ancora oggi al centro di vivaci controversie in cui si discute sul suo valore traumatizzante.

Come altri due capolavori quali Psycho e Il silenzio degli innocenti, Non aprite quella porta si ispira alle “gesta” sanguinarie del serial killer Ed Gein per l’iconografia di Leatherface, uno dei più celebri psicopatici horror della storia del cinema, e dimostra che senza che venga quasi versata una goccia di sangue si possa comunque realizzare un horror malsano, esasperante per i nervi.

Dopo poco dalla sua uscita, diversi rinomati festival – tra cui quello di Cannes – lo accolsero come uno dei lungometraggi più importanti dell’anno.

Gunnar Hansen in Non aprite quella porta
Una scena di Non aprite quella porta

CURIOSITÀ SU NON APRITE QUELLA PORTA (1974)

  • Il film venne finanziato con i ricavati del famoso porno Gola profonda.
  • Per ricreare un genuino senso di esasperazione nella scena finale della cena, Tobe Hooper ha costretto gli attori sul set per più di 24 ore ininterrotte.
  • La realizzazione del film si svolse in condizioni ai limiti della sicurezza; tutti gli attori si infortunarono in maniera più o meno grave e la protagonista Marylin Burns ebbe bisogno di supporto psicologico per i mesi successivi alle riprese.
  • All’uscita del film, il regista di L’ultima casa a sinistra e Nightmare Wes Craven elogiò il lavoro di Hooper definendolo “il delirio cinematografico di un membro della Manson Family prestatosi alla regia”.
  • Non aprite quella porta nel tempo è divenuto un manifesto dei movimenti vegetariani, e il regista Guillermo del Toro ha rivelato di aver smesso di mangiare carne per un lungo periodo proprio a causa della visione del film.

ANALISI DI NON APRITE QUELLA PORTA (1974)

Se esiste un film che rappresenta l’idea di “nauseabondo”, quello è proprio Non aprite quella porta di Tobe Hooper. La lineare semplicità della trama, scopiazzata da innumerevoli (e inutili) imitatori, viene controbilanciata da una messa in scena a dir poco perfetta. La regia di Hooper è ruvida e sporca, raramente ci sono concessioni a uno studio dell’inquadratura pulito e quadrato (la splendida carrellata iniziale all’indietro che svela la profanazione del cimitero), ma il ricorso alla ripresa a mano contribuisce a dare all’estetica un taglio documentaristico spoglio e crudo.

Per un’ora e mezza si è immersi in una fotografia glaciale e sgranata che valorizza il marciume rustico e malato dei set reali della provincia americana. Si percepirà sulla propria pelle l’arsura del sole d’agosto, e le inquadrature insistite su insetti, squallidi locali della fattoria dei cannibali e ossa umane usate come decorazioni casalinghe odorano davvero di malattia, pazzia e degrado. Ogni elemento diegetico, dal sonoro alla grettezza degli effetti speciali, è studiato per disturbare, e alla fine della visione si sentirà quasi la necessità fisiologica di ripulirsi della lordura a cui siamo stati esposti. Interessante poi la costruzione della tensione, generata più dalle attese che dalla violenza, la quale non manca ma non esibisce sangue e frattaglie per puro compiacimento visivo.

Gli echi politicamente sovversivi e pessimisti di Non aprite quella porta, elevano l’opera di Hooper su moltissimi horror a lui contemporanei e successivi e persino sopra i seguenti lavori dello stesso Hooper. Il regista ovviamente mostra tutta la brutalità di una famiglia americana degenerata da rapporti incestuosi e dal cannibalismo come reazione all’odio per il prossimo, ma al contempo sembra pure criticare l’ingenuità del movimento hippie, che pensando di muoversi in un mondo libero dalle barriere diviene prima vittima del bigottismo.

Brutale fino al midollo, il capolavoro di Hooper ha generato diversi sequel e due remake che ovviamente non ne hanno riproposto la forza seminale.

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