Pantafa (2022): il folklore abruzzese al 40 TFF

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Pantafa Locandina

Pantafa

Titolo originale: Pantafa

Anno: 2022

Nazione: Italia

Genere: Horror

Casa di produzione: Fandango, Rai Cinema

Distribuzione italiana: Fandango

Durata: 105 min

Regia: Emanuele Scaringi

Sceneggiatura: Tiziana Triana, Vanessa Picciarelli, Emanuele Scaringi

Fotografia: Simone D’Onofrio

Montaggio: Gianluca Scarpa

Musiche: Ratchev & Carratello

Attori: Kasia Smutniak, Greta Santi, Mario Sgueglia, Betti Pedrazzi, Mauro Marino, Giuseppe Cederna, Francesco Colella

Teaser Trailer italiano di Pantafa (2022)

Presentato al 40° Torino Film Festival nella sezione Crazies, dedicata al cinema horror e fantastico, Pantafa, pellicola di genere horror, è il secondo lungometraggio diretto da Emanuele Scaringi, dopo l’aver esordito nel panorama cinematografico italiano a Venezia 2018 con “La Profezia dell’armadillo” tratto dalla graphic novel di Zerocalcare. Pantafa, basato su una leggenda popolare abruzzese – marchigiana, è distribuito nei cinema italiani dal 30 Marzo 2023 grazie a Fandargo e vede nei ruoli dei protagonisti Kasia Smutniak (Perfetti sconosciuti, 2014; Il Colibrì, 2022; Domina 2021) e Greta Santi nei panni della piccola Nina, interpretazione che le è valsa la Speciale Menzione al Torino Film Festival nella sezione Crazies.

Trama di Pantafa

La piccola Nina, da qualche tempo, soffre di paralisi ipnagogiche, un disturbo del sonno che può causare stati allucinatori. La madre Marta, preoccupata per la condizione di salute della figlia, decide di abbandonare la città per trasferirsi in un piccolo paesino di montagna chiamato Melanotte, un luogo in cui le vecchie tradizioni folkloristiche hanno ancora un peso. La situazione di Nina però non riceve un beneficio da questo cambiamento, anzi, i suoi sintomi cominciano, rapidamente, a peggiorare. Nina si trova avvolta da incubi sempre più vividi in cui una figura spettrale le si siede sul petto, immobilizzandola e rubandole il respiro. Marta non sa in che modo aiutare la propria figlia e deve continuamente lottare tra la sua felicità e quella della piccola Nina, cercando, in tutti i modi, di fare la cosa migliore per la piccola. Il paesino però, agli occhi della donna, appare sempre più spettrale partendo dalla vecchia casa piena di rumori inquietanti passando alla totale assenza di bambini nel paese, tanto che non sembrano esserne presenti, ad eccezione del piccolo Francesco che di tanto in tanto, e sempre di nascosto, si reca da Nina.

Kasia Smutniak e Greta Santi, foto di Christian Nosel - Pantafa
Kasia Smutniak e Greta Santi, foto di Christian Nosel – Pantafa

Recensione di Pantafa

Il territorio italiano è da sempre intriso di fiabe folkloristiche, leggende oscure piene di fascino nate quando la ragione non riusciva a donare spiegazioni scientifiche e realistiche agli eventi, così il popolo creava delle storie oscure, mistificando i fatti e gli accadimenti, a favore di un racconto accattivante dal sapore inquietante, in grado di far presa sulle genti del popolo. Scaringi, con la sua prima emersione nel genere horror, ci conduce entro questo mondo, quello del folklore abruzzese e marchigiano della Pantafica, lemma che può essere ricondotto al latino d’origine greca phantasma (fantasma). La leggenda della Pantafa (com’è denominata nel dialetto abruzzese) trae origine dal fenomeno della paralisi nel sonno trasformando la malattia, che può causare vivide allucinazioni spaventose, in un’entità paranormale come una strega dalle sembianze umane (o di un gatto nero) che si appoggia sul petto della vittima per estrarne l’anima. Per combattere questa entità viene consigliato di mettere intorno al letto delle scope, dei sacchetti di legumi o di sabbia e del vino, poiché la strega Pantafa è irresistibilmente tentata dal toccare e contare gli oggetti, utensili che la portano a distrarsi dall’infastidire il dormiente. Scaringi fa sua questa storia, la rielabora e c’è la mostra nei suoi dettagli, come nelle scene in cui la piccola Nina inonda la stanza di oggetti per proteggerla, creando una storia dalla forte componente horror – spiritica immessa in un racconto che tratta, essenzialmente, del rapporto madre – figlia, quello di una madre single che deve portare su tutte le sue spalle la famiglia, occupandosi del benessere fisico – psichico della sua bambina.  

La Pantafa è una leggenda popolare. Una creatura che si siede sul petto e ti ruba il respiro. Il folclore italiano è popolato da numerose leggende che fanno parte della nostra cultura e che rappresentano uno dei modi principali con cui esorcizzare il male e le paure. Attingere a questo impressionante pozzo di storie significa entrare in un mondo fatto di riti, superstizioni e meraviglie. Un mondo affascinante e pauroso insieme. La Pantafa è la raffigurazione del mostro. La rappresentazione del male. L’incarnazione della nostra parte più buia. Un male oscuro che ci consuma quotidianamente e rode ogni nostra piccola sicurezza. Una delle paure più inconfessabili e difficili da accettare è l’odio verso la progenie. Un rancore indicibile e soffocato. Quello spirito maligno che insinua il dubbio che senza quel figlio la propria vita sarebbe stata diversa. Un tabù. Forse il più terribile di tutti. La Pantafa è una parte di noi, parla delle nostre bassezze più recondite. Quello che spaventa non è l’orrore mostrato ma il non visto, l’orrore che viene evocato. Quello che non si potrebbe raccontare. Le storie dell’orrore servono anche a questo, a trasformare, tramandare e liberarsi delle nostre paure e debolezze.

Emanuele Scaringi

L’intera pellicola gioca con l’elemento horror – psicologico, ponendosi dinanzi al dubbio su ciò che avviene in scena. Esiste il mostro? O a parlare è la malattia con le sue allucinazioni causate dalla fase REM? Oppure in questo evento c’è un qualcosa di più macabro, che trascende il mostro e la malattia, parlandoci di problemi interiori e oscuri, dove il male vive dentro di noi e non si trova al di fuori, nell’ambiente? Pantafa crea una narrazione articolata, interessante, conducendoci entro un finale misterioso e crudo, pieno di forza drammatica e di potenza visiva ed emozionale, che ci porta a ragionare sulla pellicola, a ricercare una spiegazione a ciò che abbiamo visto, poiché la storia ci mostra i fatti finali senza spiegarceli pienamente e lasciando aperte più strade interpretative. La pellicola possiede anche uno incipit alquanto interessante, che ci catapulta dentro il nuovo mondo e le sue regole sociali, cui Marta e Nina devono imparare a comprendere, far loro e conviverci per adattarsi a quella piccolissima comunità, dove tutti si conoscono e si supportano. Il lungometraggio ci conduce subito entro il mondo folkloristico della Pantafa, nome che udiamo fin dai primi minuti, e con il personaggio di Orsa, ben interpretata da Betti Pedrazzi, entriamo nel mondo della leggenda e delle credenze personali. Orsa, all’interno di questa drammaturgia, ricopre il ruolo di mentore per la piccola Nina, che grazie a lei, e al piccolo Francesco, imparare a difendersi dall’oscurità e dal male che incombe su di lei. Peccato però per la parte centrale che indebolisce l’intero impianto drammaturgico, a causa di una sceneggiatura e, soprattutto, di una regia che non riescono a creare il giusto climax narrativo ricadendo entro una monotonia generale del racconto che nel suo procedere s’indebolisce ritmicamente e si stagna a causa di un’assenza d’evoluzione narrativa, di una sceneggiatura che ripete sempre i medesimi eventi senza apportare dei cambiamenti repentini all’interno della storia, cambiamenti che avvengono, rapidamente, solo nella parte finale del film, dove si denota un cambiamento di rapporto tra madre e figlia, dove colei che appariva più forte si riscopre debole. Pantafa pecca inoltre anche nella scrittura di alcuni personaggi secondari come gli abitanti del villaggio e Orsa (che non viene mai sviluppata) e nella creazione di scene dal forte impatto horror, difatti l’ansia e la tensione (a eccezione del finale) sono sensazioni che non fanno parte della pellicola, cosa strana giacché si tratta di un lungometraggio di genere horror, che deve far leva sulla paura, spavento che lo spettatore non prova.

Greta Santi, foto di Christian Nosel - Pantafa
Greta Santi, foto di Christian Nosel – Pantafa

In conclusione

Un film che possiede un ottimo incipit accattivante che ci conduce nel mondo abruzzese – marchigiano con il suo linguaggio dialettale e le sue storie folkloristiche e un ottimo finale, peccato però per la parte centrale che non ha la giusta forza di scrittura e registica per risultare interessante.

Note positive

  • Fotografia
  • Interpretazione di Kasia Smutniak, Greta Santi e Betti Pedrazzi
  • Finale
  • Incipit

Note negative

  • La regia poco incisiva, non risultando in grado di creare suspense
  • La sceneggiatura che se nel primo e terzo atto funziona nel secondo ricade nella monotonia e ripetizione di eventi, dando la sensazione di allungare il tutto senza motivo. In un film che poteva durare benissimo 1h 20.  
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