Pari (2020): Viaggio in un Atene oscura e anarchica

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Pari locandina del film

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Pari

Titolo originale: Pari

Anno: 2020

Paese: Grecia , Francia , Paesi Bassi , Bulgaria

Genere: Drammatico

Produzione: Heretic, Le Bureau, Topkapi Films, Chouchkov Brothers, Bord Cadre Films, Biokon, Greek Film Center

Distribuzione:

Durata: 101 minuti

Regia: Siamak Etemadi

Sceneggiatura: Siamak Etemadi

Fotografia: Claudio Bolivar

Montaggio: Panos Voutsaras

Musiche: Pierre Aviat

Attori: Melika Foroutan, Shahbaz Noshir, Sofia Kokkali, Argyris Pandazaras, Lena Kitsopoulou, Lefteris Tsatsis, Bijan Daneshmand

Trailer di Pari (2020)

Pari, opera prima del cineasta Siamak Etemadi, di origine iraniana ma che si è trasferito in Grecia per seguire i suoi studi universitari, vivendo tutt’ora ad Atene, è stato presentato in Italia alla 32 edizione del Trieste Film Festival 2021, mentre la sua prima mondiale si è tenuta al festival di Berlino il 25 febbraio 2020.

Trama di Pari

Pari e Farrokh sono una coppia sposata che si recano dall’Iran a trovare il figlio di lei che studia da due anni in Gracia, ad Atena e che non vedono da molto tempo. Arrivati all’aeroporto però il giovane Babak non è presente e non giungerà mai sul luogo, così quando ormai è già sera decidono di andare all’abitazione del figlio, ma neppure qui è presente.

La coppia, che non è mai uscita dall’Iran, dovrà all’interno di un luogo sconosciuto tentare di scoprire cosa sia successo a Babak al fine di ricondurlo a casa.

Pari (2020)
Pari (2020)

Recensione di Pari

Siamak Etemadi debutta sul grande schermo con una storia forte e potente non tanto per il messaggio donato al pubblico ma per ciò che va a mostrare: uno spaccato di società ateniese e iraniana crudo e realistico. L’Atene vista nel lungometraggio non è quella turistica da cartolina ma appare un luogo squallido dimenticato da Dio, una periferia malsana e lurida dove vivono dei giovani trasandati e anarchici, barboni, spacciatori, prostitute e uomini violenti. Il cineasta mostra il luogo attraverso gli occhi di due iraniani che sembrano, soprattutto la protagonista Pari, entrare dentro dei gironi infernali danteschi per poter ricercare e riportare in patria il proprio figlio perduto: Babak di cui sembrano svanite ogni tracce. La coppia ligia al dovere e al rispetto della religione entrano spaesati nei vicoli contorti scontrandosi con la cultura di una società peccaminosa e a loro quasi incomprensibile, tanto da poterli spaventare. Durante questo loro viaggio infernale Pari, la madre, si vede costretta ad abbandonare ogni rispetto per le sue tradizioni religiose incominciando un percorso di trasformazione interiore ed esteriore ben visibile nella scena finale e in un dialogo tra Pari e una Prostituta dove questa asserirà che il figlio l’aveva descritta in maniera totalmente divergente.

Il lungometraggio di Siamak Etemadi risulta come un lungo percorso di trasformazione interiore di Pari che si vede, all’interno di questo gigantesco girone dantesco, reinventarsi. La vediamo inizialmente come una donna tranquilla e spaventata da quella grande città ma allo stesso tempo appare più sicura e capace del marito stesso; è lei che parla l’inglese e che fa da traduttore al suo Farrokh, che appare in quel contesto ancor più spaesato di lei. Pari sembra dal suo modo di camminare e di atteggiamento imprigionata all’interno della sua tradizione religiosa e culturale, che può essere simboleggiata dal chador nero che l’avvolge quasi completamente e che, quasi come un ticket nervoso, continua a sistemarsi per non permettere agli altri di vedere i suoi capelli e il resto del suo corpo. Significativo e ottimamente realizzato il suo percorso di disperazione materno che trova il suo exploit visivo nella scena della corsa durante una rivolta giovanile del movimento anarchico ateniese dove la donna senza preoccuparsi, per la prima volta dell’apparenza e della tradizione e del pensiero altrui, si getta a capofitto nella strada per ricerca il suo amato figlio passando proprio dentro l’inferno e iniziando a perdere proprio i suoi stessi vestiti come il chador che viene avvolto dalle fiamme. Pari, nel suo percorso troverà una linfa vitale e di forza che sembrava non possedere e forse trova un nuovo senso alla sua vita, ma per farlo dovrà subire una svestizione sia simbolica che effettiva passando in quartieri a luci rosse e vivendo con i clochard, o trascorrendo del tempo nei centri sociali e facendo esperienza di strani presagi demoniaci. L’attrice Melika Foroutan dona al personaggio una grande emozionalità ben visibile attraverso il suo sguardo che non può non colpire il cuore del pubblico.

Melika Foroutan e Sofia Kokkali in Pari
Melika Foroutan e Sofia Kokkali in Pari

Il regista crea un film che sa di thriller nel modo in cui è strutturato pur senza esserlo. La macchina a mano segue costantemente l’andamento dei personaggi e noi ci sentiamo dentro la storia e sentiamo i loro tormenti interiori e le loro paure. L’ambientazione notturna, con luci tendenti al giallo e al rosso infernale, dà ancor di più quel senso di viaggio nell’oscurità che appare sempre più emblematico dallo sguardo spaesato e forte della madre Pari che lotta con tutta se stessa per la salvezza del figlio.

Indubbiamente la storia possiede degli elementi in comune con il cineasta nato in Iran ma cittadino Ateniese che come il personaggi di Babak (mai visto all’interno della pellicola nemmeno in foto nonostante Pari la mostra molte volte nel corso del film) si trasferisce in Grecia per gli studi accademici e forse racconta proprio il suo sguardo spaesato su un mondo che inizialmente non conosceva e che ha dovuto far suo nel tempo. Sicuramente quest’opera difficilmente troverà spazio in Iran a causa del modo controverso in cui racconto la protagonista Pari, che viene mostrata spagliata dal velo e perfino – in alcuni flashback – nella fase di allattamento del suo piccolo, oppure per la breve scena lesbo all’interno del concerto punk. In Iran i cineasti vengono banditi per molto meno.

Note positive

  • Sceneggiatura
  • Tematica
  • Attrice protagonista

Note negative

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