Parsifal (2021): le sette arti in un’unica opera cinematografica

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Parsifal

Titolo originale: Parsifal

Anno: 2021

Paese: Italia

Genere: Drammatico

Produzione: Dedalus, Alba Produzioni

Distribuzione: 30 HOLDING

Durata: 135 min.

Regia: Marco Filiberti

Sceneggiatura: Marco Filiberti

Fotografia: Mauro Toscano

Montaggio: Valentina Girodo

Musiche: Paolo Marzocchi

Coreografo: Emanuele Burrafato

Attori: Matteo Munari, Diletta Masetti, Marco Filiberti, Giovanni De Giorgi, Luca Tanganelli, Elena Crucianelli, Zoe Zolferino

Trailer ufficiale di Parsifal

Nelle sale dal 23 settembre, Parsifal si è già aggiudicato un premio internazionale, quello di miglior lungometraggio alla 39esima edizione del Flickers’ Rhode Island International Film Festival. Scritta in sole 3 settimane da Marco Filiberti, che ne è anche il regista, Parsifal è un’opera al di fuori dei canoni e un modo diverso di vedere l’arte, che qui si manifesta in tutte le sue forme. Un’opera cinematografica che parla del desiderio che da sempre affligge l’uomo e dell’amore come unico strumento per sconfiggere la morte.

Trama di Parsifal

Un giovane uomo senza nome disturba la quiete di due marinai, Palamede e Cador, attraccati nel Porto di Odessa. I due scendono a terra e si imbattono in Elsa e Senta, due prostitute conosciute nella taverna-bordello gestita da Kundry, la quale sembra essere l’unica a conoscere il nome del giovane, Parsifal. Quest’ultimo, costretto dai due marinai ad allontanarsi dal porto, prosegue il suo pellegrinaggio senza sosta fino a quando non giunge nel Monastero in cui giace morente Amfortas, un uomo delirante a causa di una profonda ferita all’inguine. Turbato da quella visione, Parsifal lascia il Monastero e si dirige inconsapevolmente verso il luogo e il tempo in cui quella ferita ha avuto origine: il bordello di Kundry.

Recensione di Parsifal

Parsifal è, a detta del regista Marco Filiberti e dell’intero cast, un’opera cinematografica che rifugge da ogni definizione. Basta guardarla una volta per capire che cosa si intenda con tale affermazione. Tratta dall’omonima opera musicale che Richard Wagner compose tra il 1877 e il 1882, quella raccontata in Parsifal è la storia di una tenzone d’amore tra i personaggi di Parsifal, Kundry e Felipe, ma non solo. Una composizione che è un archetipo dell’epica cristiana, un mito apocalittico ed escatologico che mostra la possibilità reale di una resa spirituale, quella resa che rende l’uomo veramente libero perché privato di ciò cui non pensava potersi privare. Ma l’archetipo che domina in Parsifal è anche, e soprattutto, quello femminile. La scrittura di Filiberti conferisce ai tre personaggi femminili di Kundry, Elsa e Senta una tridimensionalità poche volte esperita al cinema. Tre tipi di donne uguali ma, allo stesso tempo, opposte. Tutte e tre sono prostitute, ma se Senta è una guerriera, una donna consapevole di ciò che c’è intorno a lei (o meglio, ciò non c’è più), Elsa invece è una femminilità fanciullesca e angelica, una “Dea bambina” mossa dall’amore e che ancora mantiene la sua purezza d’animo. Infine Kundry, una donna intelligente che usa sapientemente l’arma della seduzione.

Il Parsifal riadattato dalla mano di Marco Filiberti è ambientato in una terra desolata e dominata da una condizione immutabile e stagnante: siamo a cavallo tra il XIX e il XX secolo, eppure lo scenario raccontato è un’incredibile metafora del presente, in cui l’uomo è costretto a vivere nel disfacimento più totale e in un mondo sempre più comandato dal mercato che non trova tempo e spazio per l’arte.

Arte che invece in questa opera fa dà protagonista in tutte le sue sette forme. Non solo la settima, quella del cinema, a cui sarebbe assolutamente eufemistico ricondurre il percorso intrapreso dalla troupe: in Parsifal infatti un ruolo centrale lo rivestono la musica (e non poteva essere altrimenti vista l’origine) e la danza. Come ci tiene a spiegare il regista infatti tutti gli attori sono stati seguiti e accompagnati da un coreografo affinché ogni movimento fosse equamente e organicamente distribuito in ogni parte del corpo. Un lavoro di piena consapevolezza e connessione fisica che c’è e si vede. Ciò che contraddistingue l’opera è anche un’ottima fotografia, diretta dal giovane ma già esperto Mauro Toscano che regala agli spettatori un tuffo nella sconfinata campagna toscana, nella quale sono state girate le riprese in esterna e di cui possiamo ammirare le splendide bellezze architettoniche. E impossibile non accorgersi dell’uso che viene fatto della pittura proprio per sottolineare l’importanza della scenografia.

La poesia è, invece, l’arte che in Parsifal riveste la parte del leone e che dà inizio a tutta l’opera cinematografica. Alternata con intelligenza alla prosa, la quinta arte permette inoltre di evidenziare le capacità attoriali dei giovani protagonisti. Infine la scultura, utilizzata come termine di paragone nel suo lavoro di attore proprio da Matteo Munari che, spiega, per interpretare il “suo” Parsifal ha dovuto scavare e togliere tutto il superfluo, compiendo un vero e proprio lavoro di abbandono.

In conclusione

Diretto a un pubblico esigente e non convenzionale ma che si spera sia sempre più presente nelle sale del Bel Paese, Parsifal rappresenta ciò che mancava nel nostro panorama cinematografico.

Note positive

  • L’espressività degli attori.
  • Il lavoro introspettivo compiuto dal regista.
  • La fotografia che esalta tutto il potenziale della scenografia.

Note negative

  • I monologhi di sola poesia possono risultare difficili da seguire.
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