Perfect Days (2023). Il film di cui tutti avevamo bisogno

Condividi su

Trailer di Perfect Days

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

In origine il film doveva far parte di un documentario sui bagni giapponesi chiamato Tokyo Toilet ed era stato commissionato a Wim Wenders che aveva già in passato dimostrato una certa affinità con il cinema nipponico. Una volta preso in mano il progetto però, Wenders se ne è talmente appassionato da decidere di renderlo un film narrativo che raccontasse le vicende di un uomo legate allo spazio delle toilette giapponesi. Si tratta del ventiquattresimo lungometraggio del regista tedesco a sei anni dall’ultimo, Submergence. Il film è stato presentato al Festival del cinema di Cannes il 25 maggio del 2023 non vincendo però la palma d’oro ma il Prix d’interpretation masculine (premio al miglior attore) per il protagonista Koji Yakusho e il premio della giuria ecumenica (giuria speciale composta da sei membri provenienti da sei diverse zone del mondo che garantiscono uno sguardo sul film oltre che artistico anche umano valorizzando temi come la giustizia, la dignità, la pace, la solidarietà oltre che l’apertura nei confronti di valori ritenuti universali). È inoltre tra le pellicole candidate come miglior film internazionale alla cerimonia degli Oscar che si svolgerà l’11 marzo. Uscito in Giappone nel 2023, è stato distribuito in Italia da Lucky Red il 4 gennaio del 2024.

Trama di Perfect Days

Il film racconta la vita semplice e ripetitiva di Hirayama, un uomo sulla sessantina che si occupa di pulire i bagni del quartiere di Shibuya, a Tokyo. Oltre al suo lavoro, che svolge con cura meticolosa, ci vengono illustrate tutte le sue principali passioni: la lettura, la poesia, le cassette di musica anni ’60/’70, le fotografie artigianali con cui immortala i particolari naturali che tanto apprezza e l’amore per le sue piantine. Quel che la pellicola ci mostra non sono altro che piccoli episodi della vita di Hirayama, in un arco di tempo limitato: abbastanza però da permetterci di cogliere molte delle sue sfaccettature da essere umano.

Il protagonista Hirayama in una scena del film
Il protagonista Hirayama in una scena del film

Recensione di Perfect Days

Approcciandoci a un film come Perfect Days, l’ultima cosa che dovremmo considerare in un’analisi dei suoi punti di forza sarebbe la sceneggiatura: e non perché di scarsa qualità (falso), né per il suo essere minimalista (vero), con le voci dei personaggi di contorno che riempiono la laconicità di Hirayama; ma proprio perché in un film del genere la sceneggiatura intesa come costruzione di una narrazione conta veramente poco: siamo davanti non ad una storia, con intreccio e snodi di trama, ma alla volontà artistica di rappresentazione di una vita. Perfect Days non è un film che racconta, ma un film che mostra. Mostra anche e soprattutto attraverso i vuoti, le ellissi e i silenzi: in realtà sono proprio questi spazi vuoti a rendere assolutamente perfetta la sceneggiatura minimalista. Le parole sono sostituite dai silenzi del protagonista che attraverso il solo uso delle espressioni facciali e della gestualità riesce ad esprimere ampiamente ogni emozione, provando quanto il linguaggio universale fatto di mimica e gesti sia in grado di rendere infinitamente ricca la comunicazione di ogni singolo essere vivente. Ma non è tutto: spesso nel corso del film le parole sono sostituite dalla splendida colonna sonora composta da una serie di brani degli anni ’60 e ’70, quelli che Hirayama ascolta nel suo furgoncino mentre va e torna dal lavoro. È lo stesso protagonista a creare la colonna sonora del film attraverso la sua passione per la musica e per le audiocassette vintage, in questo gioco dove il sonoro intradiegetico diventa extradiegetico fuoriuscendo dallo stretto abitacolo di quel furgoncino con tutta la meravigliosa forza artistica di cui la musica è capace. Anche la fotografia di Franz Lustig ha grande potenza evocativa e comunicativa: dal totale della città vista dall’alto a inizio film, con il sole che si prepara a far capolino tra i palazzi, passando dagli spazi naturali e cittadini ripresi in tutta la loro poesia nel connubio con la luce naturale scandita dalle diverse fasce orarie della giornata, fino alle riprese delle strade colme di automobili: la macchina da presa si allontana staccandosi da Hirayama e dal suo furgone fino a farlo diventare uno tra i tanti nell’immenso mosaico del mondo e della vita.

Il film, con una citazione di pasoliniana memoria, potrebbe definirsi realista. Vuole mostrarci la realtà di Hirayama così com’è, senza filtri, con i piccoli episodi e gli imprevisti che potrebbero capitare ogni giorno nella vita di tutti noi. La macchina da presa è per gran parte del tempo una camera a spalla e anche nelle inquadrature fisse spesso notiamo un leggero ondeggiamento dato proprio dall’instabilità della camera a mano. Siamo accompagnati così proprio accanto a Hirayama, come se, seguendolo con lo sguardo, noi avessimo il privilegio di partecipare alla sua vita quotidiana. Si tratta in poche parole di uno sguardo realista sull’esistenza di un uomo.

Come Hirayama sembra vivere al di fuori del ipertecnologico e digitale mondo contemporaneo, con le sue passioni così vintage e analogiche, anche Wenders pare voler aderire visivamente a questa poetica: sceglie infatti un aspect ratio di 4:3, quello dei vecchi televisori quadrati, per intenderci. Un formato ormai inconsueto soprattutto a livello cinematografico ma che, proprio come il protagonista del suo film, va serenamente fuori dal tempo.

L’importanza delle piccole cose

Il primo sguardo su Hirayama ci dà l’idea di un uomo estremamente abitudinario, avvolto in una routine quasi ritualistica, solitario perché la presenza di qualcuno sconvolgerebbe la sua tranquilla e ordinata esistenza, ma anche sereno e soddisfatto delle piccole cose che arricchiscono la sua vita. Sembra piuttosto affascinato dagli sprazzi di luce trapelanti dal fogliame, che ama immortalare con la sua macchina fotografica analogica. La sua piccola casa è stracolma di libri e ama andare a comprarne sempre di nuovi (ma usati) in una libreria di fiducia, per soli 100 yen. La sua passione per le piante gli permette di prendersi cura di qualcosa e la musica anni ’60/’70 lo fa sorridere ed emozionare.

Alcune scene ci mostrano un Hirayama dal cuore grande: cultore dell’amore incondizionato, non si aspetta mai nulla in cambio di un atto gentile e la sua solitudine non è sinonimo di incapacità di amare. Un giorno, mentre sta svolgendo le sue consuete mansioni lavorative, Hirayama soccorre e sostiene con dolcezza un bambino che si è allontanato dalla madre: quando la donna ritrova il figlio, il nostro non è degnato neanche di un ringraziamento; ma lui non se la prende, anzi, alla vista del piccolo che lo saluta con la manina, si lascia andare a un largo e caloroso sorriso: è un sorriso in cui sta tutto il senso della vita.

Hirayama e il bambino in Perfect Days
Hirayama e il bambino in Perfect Days

Routinarie sono anche le sue abitudini culinarie: i luoghi in cui va a mangiare sono sempre gli stessi; c’è in particolare un piccolo locale, che frequenta da circa cinque anni e per il quale nutre molto trasporto grazie anche al fascino che la proprietaria esercita su di lui.

La personalità di Hirayama viene fuori però anche attraverso il rapporto con gli altri personaggi: tra tutti Takashi, il suo collega di lavoro, un giovane piuttosto inesperto e logorroico, accecato dagli aspetti capitalistici della vita come le donne e il denaro. È innamorato di una ragazza di nome Aya e coinvolge Hirayama cercando addirittura di vendere le sue preziose cassette per potersi permettere di conquistare la giovane. Takashi si chiede che vita sia senza il diritto di amare: un diritto che secondo lui spetta solo a chi possiede la ricchezza. Ed ecco che l’inesperienza di Takashi viene tutta fuori: nella contrapposizione con Hirayama notiamo la grande differenza tra i due e come quest’ultimo viva spiritualmente al di fuori di certi vincoli della società dei consumi. Quasi non ne fosse toccato minimamente. La giovane Aya ne sembra quasi affascinata: dall’uomo così particolare e dal suono per lei nuovo delle vecchie audiocassette.

Hirayama, Takashi e Aya in una scena di Perfect Days
Hirayama, Takashi e Aya in una scena di Perfect Days

Il secondo fondamentale confronto che ci permette di conoscere più a fondo Hirayama è quello con la nipote Niko. La ragazzina fugge da casa a causa del difficile rapporto con la madre e Hirayama si prende cura di lei, dimostrando con pienezza di essere un uomo amorevole. La sua semplicità fa star bene la nipote: condivide con lei tutte le cose che più ama, come la scrittura, la fotografia e i giri in bicicletta; ed è proprio in una di queste passeggiate che viene fuori la citazione più iconica del film.

Hirayama

Un’altra volta è un’altra volta.
Adesso è Adesso

Zio e nipote recitano più volte questo motto. Poche parole che hanno un significato profondissimo: vivere con pienezza l’adesso, il presente, cercando di goderne al massimo, senza lamentele e preoccupazioni inutili. Il futuro o “un’altra volta” non è e non deve essere fonte di preoccupazione: ci si penserà una volta arrivato il momento.

Tramite il rapporto con la nipote veniamo a conoscenza della sorella di Hirayama, che rappresenta tutto il suo opposto: una donna ricca che vive nell’ostentazione borghese della società dei consumi, quasi disprezzando (certo compatendo) la scelta di una vita così umile da parte del fratello. Più che disprezzarla sarebbe giusto dire che non riesce a capirla: sembra infatti che, al di là di tutto, i due si vogliano bene. L’abbraccio e le lacrime e dopo essersi salutati ci fanno avvertire un passato che la storia non intende raccontarci: anche Hirayama ha sofferto e forse perfino lui sente un po’ di quella solitudine che si è scelto vivendo in modo così diverso dagli altri.

Hirayama e la nipote Aya
Hirayama e la nipote Niko

E ancora, la grande sensibilità di Hirayama ci viene mostrata verso la fine del film, nel bellissimo colloquio con l’ex marito della donna del locale di cui è (forse) segretamente innamorato. L’uomo, ormai spacciato a causa di un tumore, si rammarica perché deve andarsene senza sapere ancora un sacco di cose. Si chiede in particolare se due ombre sovrapposte siano più scure rispetto a una sola: sembra una domanda assurda in un momento come quello, ma in questa assurdità potrebbe celarsi il cuore del film. Hirayama, con il perfetto spirito del suo bimbo interiore, prova a regalare una risposta al suo compagno, per poi donargli un po’ di spensieratezza giocando a calpestarsi l’ombra. Dopo torna a casa sorridendo; non soltanto la bellezza delle piccole cose allora: c’è spazio anche per una poetica riflessione sull’esistenza.

E Hirayama sogna, attraverso sequenze in bianco e nero: sogna ciò che vive, sogna il suo passato, sogna immagini confuse come possono essere i sogni di tutti noi. E poi ancora esce di casa, pronto a vivere la vita di ogni giorno.

Un piccolo sguardo sulla forza prorompente della musica

Abbiamo già accennato alla forza della musica: la passione musicale di un uomo che si fa colonna sonora e attraversa la serie di possibili stati d’animo ed emozioni che ognuno di noi può provare durante lo scorrere della vita. Da The house of the rising sun degli Animals, che apre la prima giornata di Hirayama, passando per Redondo Beach di Patti Smith, Pale blu eyes dei Velvet Underground, [Sittin on] the dock of the bay di Otis Redding, per arrivare alla splendida Aoi Sakana cantata dalla proprietaria del locale, alla Perfect Day di Lou Reed, richiamata dal titolo del film e al pezzo finale, Feeling Good di Nina Simone, che accompagna il primo piano da Oscar di Hirayama: un viso segnato dal riso e dal pianto, insieme, in alternanza. Si può credere che il protagonista sia in realtà triste nella sua solitudine, ma la sua espressione finale non è altro che la vita. Sì, la vita nei suoi intervalli tra gioia e riso, pianto e tristezza. Quella stessa vita che deve essere vissuta con pienezza nel presente, attimo dopo attimo, come ci fa capire il termine giapponese komorebi che appare dopo i titoli di coda. Komorebi indica il luccichio di luci ed ombre creato dalle foglie che ondeggiano al vento: il luccichio che esiste solo una volta, in quell’esatto momento. Quello che Hirayama adora provare a cogliere con le sue fotografie.

Il primo piano di Hirayama nella scena finale
Il primo piano di Hirayama nella scena finale

In conclusione

Per concludere, Perfect Days è un film che tocca in ogni punto. Un film dolce, drammatico, allegro, riflessivo, che fa pensare intensamente alla vita in tutte le sue sfaccettature. Un film realista, senza una vera e propria trama, che bisogna assolutamente guardare per poi rifletterci sopra e rendersi conto di quali corde del nostro animo l’esistenza bellissima e semplice di Hirayama è riuscita a far risuonare.

Note positive

  • Regia impeccabile di Wim Wenders che dialoga perfettamente con il suo protagonista.
  • Fotografia eccelsa ed espressiva.
  • Sceneggiatura che nei silenzi trova tutta la sua potenza.
  • Colonna sonora incisiva, realista e fortemente comunicativa.
  • Narrazione capace di emozionare e far riflettere intensamente.
  • Interpretazione magistrale di Koji Yakusho.

Note negative

Condividi su

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.