Promises (2021): promesse dal passato, speranze per il futuro – RFF16

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Promises locandina film

Promises

Titolo originale: Promises

Anno: 2021

Paese: Italia

Genere: Drammatico

Casa di produzione: Indiana Production, Vision Distribution, Barbary Films, Iwaca

Distribuzione: Vision Distribution

Durata: 113 min

Regia: Amanda Sthers

Sceneggiatura: Amanda Sthers

Fotografia: Marco Graziaplena

Montaggio: Cristiano Travaglioli

Musiche: Andrea Laszlo De Simone

Attori: Pierfrancesco Favino, Kelly Reilly, Jean Reno, Ginnie Watson, Cara Theobold, Deepak Verma, Kris Marshall, Leon Hesby

Trailer Promises

La giovane scrittrice francese, Amanda Sthers, dirige e adatta per il cinema Promises: versione cinematografica dell’ omonimo libro del 2015 (di cui è autrice). Il film, una co-produzione italo-francese, è stato presentato in anteprima mondiale alla 16° edizione della Festa del Cinema di Roma ed esce nelle sale dal 18 Novembre 2021.

Trama Promises (2021)

Alexander (Piefranceso Favino) e Laura (Kelly Reilly) si incontrano a una festa e subito si innamorano, lei però sta per sposarsi mentre lui ha moglie e figlia. I ricordi d’infanzia di Alexander riemergono, facendolo riflettere su ciò che è stata la sua vita, ciò che sarà e ciò che poteva essere.

Recensione Promises (2021)

Sin dalle prime battute di Promises viene svelato il lavoro di Alexander/Sandro: un venditore di antichi libri di origini italiane che vive a Londra. Parlando proprio di letteratura viene citato fin da subito Proust rendendo chiara l’impostazione della struttura narrativa in chiave rievocativa e a spirale. La storia di Sandro viene appunto raccontata secondo il flusso di coscienza proustiano, l’incontro con Laura (interpretata da Kelly Reilly, conosciuta nel film Flight) sarà per lui come la “madeleine” (il biscotto che, nella “Recerche”, risveglia in Proust, tramite il suo sapore, i ricordi d’infanzia).

La struttura filmica si frammenta dirigendosi in direttrici diverse: il passato, il presente e il futuro di Sandro si confondono. A stupire è la regia di Sthers: la sua macchina da presa si muove in maniera estremamente fluida, attraverso movimenti a mano e strettissimi close-up che stanno addosso ai personaggi rivelandone le inquietudini. La sensazione di trovarsi catapultati nella scena è fortissima, avvertiamo il peso fisico dei corpi dei personaggi che sono a noi vicinissimi: in questo senso si fanno forti le influenze di un certo cinema francese recente e di qualità, come il lavoro di Abdellatif Kechiche in Vita di Adele. Non si può che applaudire Amanda Sthers per questo tipo di scelte registiche che rappresentano di sicuro una rarità se confrontate con la classicità dell’impianto registico a cui si è fin troppo abituati in Italia.

Ho dato vita a questa storia come un romanzo, e solo in un secondo momento l’ho trasformata in una sceneggiatura per il cinema. È un film intimo, una storia che mi appartiene. È classica, garbata, riservata, ma quando si schiude mostra le ferite, le risate e le lacrime e anche le amicizie fraterne, le passioni, le paure, i traumi e l’ironia della vita.

Amanda Sthers

Purtroppo, per quanto possa sembrare paradossale, ciò che mette più in difficoltà l’autrice è invece la sceneggiatura. Scrivere un libro è cosa ben diversa dallo scrivere script per il cinema e alcuni passaggi e dialoghi della parte centrale risultano eccessivamente didascalici, vi sono vere e proprie sequenze in cui si percepisce la fatica di portare avanti la storia per farla sbarcare al prossimo “capitolo”. Complice la difficoltà data dal non raccontare una realtà esteriore bensì tentare di rendere visibile il flusso di coscienza, obiettivo ambizioso e complesso considerato che presuppone il discostarsi da una narrativa lineare per tuffarsi nel buio dell’inconscio. Si sconta per questo la poca fluidità di determinate situazioni. Problema su cui si può sorvolare, in particolare per via di un atto finale alquanto sostenuto nel ritmo in cui la pellicola prenderà definitivamente il volo, raggiungendo alte vette emotive.

Merito dell’ottima interpretazione di un sempre bravissimo Pierfrancesco Favino, della chimica con Kelly Reilly (anche lei molto brava) e in particolare di una regista autrice che, nonostante qualche difficoltà, riesce a mettere in piedi un film ambizioso nelle intenzioni (raccontare una vita seguendo l’ordine caotico del flusso di coscienza) che non può che essere lodato per la sincerità delle sue intenzioni e la forza con cui porta avanti le sue idee.

Note positive

  • La regia estremamente dinamica è il più grande pregio della pellicola, catapultandoci con forza dentro la vicenda.
  • Ottimo il contributo della direzione della fotografia, a opera dell’italiano Marco Graziaplena (che ha lavorato proprio con Abdellatif Kechiche, regista del già citato La Vita di Adele, nel film Mektoub, My Love: canto uno
  • La pellicola si dimostra sin dall’inizio chiara nelle intenzioni e presenta una struttura narrativa fortemente ambiziosa e articolata.
  • L’ottima interpretazione di Favino permette di legarci al personaggio e di empatizzare per le sue vicende, aiuta l’ottima chimica con Kelly Riley.

Note negative

  • Alcuni passaggi narrativi della parte centrale risultano un pò troppo farraginosi e determinate vicende scorrono con difficoltà.
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