Pupazzo (Aktūrimas, 2020): le donne come oggetti dell’abuso di potere (Trieste Film Festival)

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Pupazzo (Aktūrimas, 2020) locandina

Pupazzo

Titolo originale: Aktūrimas (Dummy)

Anno: 2020

Paese: Lituania

Genere: Drammatico

Produzione: Afterschool

Distribuzione internazionale: Varicoloured

Durata: 13 min

Regia: Laurynas Bareiša

Sceneggiatura: Laurynas Bareiša

Fotografia: Laurynas Bareiša

Montaggio: Laurynas Bareiša

Suono: Julius Grigelionis

Attori: Indrė Patkauskaitė, Paulius Markevičius, Kęstutis Jakštas, Dmitrij Denisiuk, Giedrius Kiela, Artūras Lepiochinas, Karolis Maiskisaura

Trailer del cortometraggio Pupazzo

In anteprima in Italia, Pupazzo è stato in concorso per il “Miglior Cortometraggio” alla 32°edizione del Trieste Film Festival (TSFF) realizzata tra il 21 e il 30 gennaio 2021.

In questa edizione del TSFF, ha vinto il Premio della Giuria del Progetto Area Giovani (Comune di Trieste) al “Miglior Cortometraggio”.

Il cortometraggio ha avuto la sua premiere alla Berlinale 2020. Inoltre, è stato selezionato in altri festival importanti tra cui quello di Sarajevo e Palm Springs (Stati Uniti), dove ha vinto il premio come “Miglior Cortometraggio” nella sezione “Live-Action Short 15 Minutes and Under”.

Attualmente, il regista di Pupazzo, Laurynas Bareiša, sta lavorando al suo primo lungometraggio Pilgrims.

Trama di Pupazzo

Con l’aiuto di un pupazzo senza volto, un criminale ricostruisce un delitto brutale. Ma sorprendentemente non è lui a essere giudicato. Sembra che fra gli agenti di polizia, che assistono alla ricostruzione del crimine, ci sia qualcuno più strano di lui.

Recensione di Pupazzo

Il regista e sceneggiatore lituano Laurynas Bareiša (Caucasus, By the Pool, The Camel), un volto ormai noto al Trieste Film Festival (TSFF), ritorna in questa edizione con Pupazzo, cortometraggio in concorso che porta una storia tra dramma e suspense che parla di un tema abbastanza forte.

Tutti i suoi cortometraggi sono stati presentati fino ad ora al TSFF. In questa occasione, Bareiša cerca di fare una critica sull’abuso di potere e il “finto moralismo” esistente nella società, focalizzandosi specialmente su come le donne vengono trattare e giudicate. Ma lui ingegnosamente fa questa critica prendendo come veicolo del racconto la ricostruzione di un crimine, ma non un crimine qualsiasi… Un femminicidio.

Siamo sul luogo del delitto, in una montagna lontana dalla civiltà. Usando un pupazzo grigio (grande quanto una persona), l’assassino ricrea durante il cortometraggio i momenti in cui ha torturato e poi provocato la morte di una donna anonima sulla quale non si conosce nulla. Tutto questo lo fa accompagnato da un gruppo di sei agenti di polizia, tra cui c’è Miglé (Indrė Patkauskaitė).

Miglé è l’unica donna presente, ma pure l’unica che sembra di essere interessata alla risoluzione dell’omicidio e l’unica a essere sconvolta dai racconti del criminale. Mentre lei è quella che interroga il ragazzo, gli altri agenti parlano solo per dire delle cose rivolte a lei. Ma non qualsiasi cosa…

Lo sceneggiatore lituano si serve dei dialoghi per dare forma concreta alla critica di fondo della storia. Gli agenti, oltre a mostrare indifferenza con il loro linguaggio del corpo, lo fanno con le ordini e le provocazioni verso Miglé. Da un “Resta lì, pesi pochissimo” quando lei vuole scendere dalla macchina, “Miglé, guarda cosa fa” quando l’assassino si abbassa i pantaloni per mostrare un momento di sesso orale con la vittima, fino a “Svestiti ed entra. È un ordine!” quando tutti vanno farsi il bagno nel fiume in cui il ragazzo ha fatto affogare la donna. Miglé risponde sempre con carattere, ma rimane comunque pensierosa e profondamente indignata. Lei è poi l’unica a dire di “no” alla richiesta del criminale di nuotare nel fiume.

Sicuramente questa scena del fiume è la più inquietante e quella che racchiude il senso dell’intero cortometraggio: la leggerezza con cui vengono presi gli atti atroci compiuti dal ragazzo… Il femminicida e gli agenti condividendo insieme, insensibili, come se nulla fosse, nelle acque in cui è stato compiuto l’omicidio.

Tutto in questo corto ha un carattere profondamente interpretativo e metaforico. Noi come spettatori siamo invitati a vedere e ad ascoltare con molta attenzione per cogliere i segnali sottili ma chiari che Bareiša ci lascia man mano avanza l’azione, mettendoci prima come osservatori a distanza (piani generali) per vedere a tutti e poi avvicinandoci alle emozioni che prova Miglé (unico piano medio del corto).

Anche se il cortometraggio potrebbe sembrare lento in quanto al ritmo, il cineasta lituano ci fa immergere in un’atmosfera che incuriosisce perché misteriosa, cupa pure per le scelte della fotografia, che ci porta alla fine per le incognite sulla conclusione di questa ricostruzione, un climax che poco delude.

Oltre alla crudezza del bagno nel fiume del delitto, il regista aggiunge un tocco soprannaturale il cui significato viene lasciato completamente all’interpretazione di ognuno di noi. Miglé rimane seduta sull’erba accanto al pupazzo, pensierosa, seria, mentre gli uomini si fanno il bagno. Vediamo che la testa del pupazzo si muove e, quando lei si gira verso il pupazzo, questo muove di nuovo la testa. I movimenti del manichino sono una sorta di rappresentazione visiva dell’empatia che sente Miglé verso la vittima, quanto lei si mette nei panni di quella donna che ormai non ha una voce per difendersi, e quanto peso rimane sulle spalle di Miglé per cercare di fare giustizia in un mondo di codardi e immorali che arrivano pure ai posti di potere dentro le forze di polizia.

Il cortometraggio mostra così come tutti loro sono un po’ dei pupazzi, dalla vittima che non può più agire, Miglé che viene trattata come se avesse il valore di un oggetto, agli agenti che tacciono dinanzi alle provocazioni fatte dai colleghi. E poi la grande connotazione che gli si dà qui alla figura del “pupazzo” è quella della poca stima, rispetto e trattamento indifferente e poco delicato che viene dato alle donne, rappresentate da Miglé e dalla vittima.

Bareiša ha portato quest’anno una storia che anche se non ha una trasformazione molto notevole a livello narrativo, è apprezzabile per l’uso preciso di dialoghi ed elementi visivi che riescono a sviluppare la trama senza cadere nel cliché e soprattutto a portarci a una riflessione profonda su un tema purtroppo più universale di quanto si potesse immaginare.

NOTE POSITIVE

● Tema e trattamento dello stesso attraverso la ricostruzione di un crimine.

● L’uso del “soprannaturale” come strumento simbolico di quello che prova la protagonista e che porta allo spettatore a un’interpretazione riflessiva su ciò che accade.

NOTE NEGATIVE

● Ritmo un po’ lento soprattutto perché tutta l’azione del corto si concentra sull’assassino che fa vedere come ha ucciso la vittima.

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