Splendor (1989): l’immortalità del Cinema

Condividi su

Trailer di Splendor

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Splendor è un film del 1989 scritto e diretto da Ettore Scola, con protagonisti Marcello Mastroianni e Massimo Troisi, pronti a spartirsi gli ori della scena e a stringere, a partire da quest’opera, un intenso – seppur breve – sodalizio filmico. Un connubio tanto professionale quanto umano, riproposto, a pochi mesi dall’uscita di Splendor, in un’altra pellicola realizzata dallo stesso Scola: Che ora è. Il regista campano sceglie di lavorare con due pilastri indiscussi del Cinema Italiano per regalare al pubblico un film dai toni ironici e nostalgici, che riflette sull’importanza essenziale e vitale della sala cinematografica. Metafora lampante di una cultura di magica evasione e aggregazione sociale, costretta, però, a fare i conti con un possibile viale del tramonto.

Trama di Splendor

Jordan (Marcello Mastroianni) è un inguaribile amatore del grande schermo e proprietario di una sala cinematografica, lo Splendor, situato ad Arpino, nel Frusinate. Fin da quando è bambino, con entusiasmo e stupore, accompagna il padre e il suo cinematografo itinerante in giro per l’Italia, durante il periodo della dittatura, al fine di intrattenere e allietare il popolo con visioni d’amore, speranza e avventura. Passati i tempi d’oro, lo Splendor si imbatte in un periodo di crisi nera, a causa dell’ormai sempre più scarsa affluenza degli spettatori paganti. Le poche vendite di biglietti sembrano annunciare a gran voce che il cinema non è più un’attività redditizia per cui vale la pena investire ed è così che Jordan, accompagnato da una show girl francese (Marina Vlady) e da un fedele proiezionista (Massimo Troisi), inizia a riflettere sulla sua passata esperienza gestionale del suo Cinema, fino a maturare l’amara possibilità di venderlo a un ricco imprenditore, per risanare il cumulo di debiti contratti.  

Frame di Splendor
Frame di Splendor

Recensione di Splendor

È una vibrante lettera d’amore al Cinema quella scritta dal maestro Ettore Scola. Una dichiarazione d’affetto smisurato nei confronti di un’istituzione-luogo dove i sogni diventano realtà. Un angolo terrestre intriso di meraviglia, capace, nel suo buio raccolto e pacificante, di arricchire – a suon di immagini e parole – la vita di chi ne calca la soglia. E la soglia dello Splendor, così adornata all’esterno di manifesti, gigantografie e profili attoriali, ne ha visti eccome di volti affamati di storie, file chilometriche, voci assordanti, mani allungate pronte ad accaparrarsi il biglietto per l’ultimo posto in platea. Jordan, con il suo aspetto abbrutito dagli anni e dall’accumulata fiacchezza economica, si fa custode imperituro di un mondo fatto di mirabolanti ricordi audiovisivi; fedele trasmettitore di un sapere cinematografico affidato a pellicole che hanno segnato la storia del cinema europeo e internazionale; strenuo baluardo di un universo in pellicola e fotogrammi difficile da gettare nel dimenticatoio.

Il proprietario dello Splendor, con addosso il fardello di quello stupore filmico a cui proprio non vuole rinunciare, passa in rassegna la storia della sua vita. Di un’esistenza letteralmente spesa a servizio del miglior cinema da offrire agli occhi mai paghi degli spettatori, disposti persino a rimanere in piedi per ore pur di seguire una proiezione d’autore fino alla fine. I titoli proposti sono altisonanti: attraversando un variegato repertorio di generi, compaiono sul grande schermo scene tratte da Il sorpasso, Il posto delle fragole, Miracolo a Milano, Effetto Notte, solo per citarne alcuni. Ecco scorrere in fila sensazionali frammenti di Neorealismo, esistenzialismo e Nouvelle Vague, che, in misura diversa, hanno tracciato l’età fulgente del Cinema Moderno, o il cinema dello Sguardo. Così, attraverso un montaggio che alterna con ritmo frequente passato e presente, lo spettatore ha modo di conoscere sia la “Golden age” dello Splendor – affidata alla purezza nostalgica del bianco e nero – sia l’età del lento declino, un hic et nunc a colori che si scontra con l’amarezza di una sala vuota, anonima, non più in grado di stuzzicare la fantasia delle folle.

Luigi e Jordan in una scena di Splendor
Luigi e Jordan in una scena di Splendor

Jordan, però, non è il solo estimatore dello Splendor. A sostenerlo nella gestione ci pensano Luigi e Chantal. Il primo ha il volto inimitabile di Massimo Troisi, la seconda quello di Marina Vlady, attrice francese di origine russa, che aveva già condiviso la scena con Mastroianni in Giorni D’amore (1954) diretto da Giuseppe De Santis. Un ruolo particolarmente significativo è affidato a Troisi, che veste i panni di Luigi, un giovane cinefilo appassionato che, spinto dalla passione fugace per Chantal, decide di restare a lavorare allo Splendor come proiezionista. Luigi è il perfetto contraltare caratteriale di Jordan: da buon napoletano, affida alla burla e all’attitudine scanzonata l’intero corso degli eventi. In altre parole: prende la vita così com’è, cercando di sdrammatizzare il più possibile la condizione di stagnazione in cui la sala riversa. Mentre Jordan, dunque, affronta il peso dei ricordi gloriosi e le attuali difficoltà economiche con piglio gravoso e malinconico, Luigi stempera l’atmosfera del rapporto professionale (e amicale), adottando l’arma dell’ironia, tirando avanti alla giornata, perdendosi tra avventure d’amore, citazioni filmiche ripetute a memoria e fotogrammi delle più seducenti attrici europee e internazionali mai esistite.

Eppure, nella sua attitudine spensierata e scanzonata, è proprio Luigi che fa toccare al pubblico il cuore del film. È lui che, in una sezione dialogica apparentemente banale e ordinaria, rivela una potente verità. Luigi sta parlando con alcuni conoscenti in paese, fuori dal bar, di fronte lo Splendor. È un pomeriggio come tanti e, come al solito, la sala non ha spettatori. È qui che Luigi prova a disinnescare la pigrizia dei suoi interlocutori, motivandoli ad accaparrarsi un biglietto per la proiezione pomeridiana. Inizia a parlare con entusiasmo di trame, titoli filmici, storie biografiche, per provare a suscitare loro interesse, ma senza successo. Nel mettere in atto questo tentativo (fallace) di convincimento, ad un tratto, Luigi spiega con naturalezza (ai suoi interlocutori e a noi) il significato del Cinema; il motivo per cui ci si va. La ragione è tanto semplice quanto illuminante: si va in sala perché ci manca qualcosa. Perché non abbiamo avuto tutto dalla vita e il cinema può, seppur in forma effimera ed illusoria, completarci.

Così, nel pieno della crisi del cinematografo, coincidente con l’arrivo della televisione – segnalata dalla presenza di un critico che ipotizza proprio con Jordan e Luigi di passare alla critica televisiva, forse più redditizia – rimane la forte eredità di questo messaggio. E proprio perché il cinema, in ogni epoca, parla di noi e per noi, non potrà mai chiudere definitivamente le porte. E quelle dello Splendor poi? Sono rimaste aperte? Jordan, seguito dai suoi compagni d’avventure (e disavventure) ci prova a piegarsi ai rinnovati desideri del pubblico. Ci prova a seguire la scia di una modernità che viaggia verso il piccante e facile intrattenimento. Eppure, non riesce a trasformare il suo cinema in un colorito cabaret. Non può gettare la memoria gloriosa di pellicole d’autore in pasto al nudo farsesco. Significherebbe snaturare l’obiettivo della sala, nonché la tradizione cinematografica trasmessagli dal padre. Non gli resta, allora, che vendere tutto. Ma, proprio nel momento cruciale, prossimo all’addio, nel corso di un finale confezionato a pennello, accade l’impossibile. Subentra un colpo di scena spiazzante, che commuove di gusto. Quando tutto sembra che stia per cadere a picco, il sogno diventa davvero realtà. E la magia pura del Cinema finisce con il coincidere con la vita stessa, e, straordinariamente, ne cambia le sorti.

In conclusione

Ettore Scola confeziona una pellicola che ripercorre con nostalgia melanconica e umoristica i fasti di un’era cinematografica immortale, che è costretta a fare i conti non solo con l’avvento della televisione, ma anche con il mutato sentire del pubblico, sempre più ancorato ad atteggiamenti di lassismo e pigrizia. Eppure, non tutto è perduto. Consegnandoci il ciclo esistenziale dello Splendor e dei personaggi che ne hanno fatto parte, il regista ci pone nel mezzo di una verità, che supera qualsiasi tipo di possibile declino: nella vita, come nel cinema, tutto può succedere. E la Settima arte, contando sulla forza di riuscire a trasmettere emozioni e condivisione, troverà sempre il modo di rialzarsi e ripopolarsi, per risplendere nel buio.

Note positive:

  • Ettore Scola offre una lettera d’amore vibrante e smisurata al cinema, celebrando la sua importanza come luogo dove i sogni prendono vita.
  • Lo Splendor, descritto come un luogo intriso di meraviglia, arricchisce la vita dei suoi frequentatori attraverso immagini e parole, creando un’esperienza coinvolgente.

Note negative

  • /
Condividi su

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.