Josée (2020): ricominciare a sorridere e ad amare

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josée locandina del film

Joséè

Titolo originale: Joséè

Anno: 2020

Paese: Corea del Sud

Genere: Drammatico, romantico

Produzione: Vol Media

Distribuzione: Warner Bros.

Durata: 117 minuti

Regia: Kim Jong-kwan

Sceneggiatura: Kim Jong-kwan

Fotografia: Cho Young-jik

Montaggio: Won Chang-jae

Musiche: Narae

Attori: Han Ji-min, Nam Joo-Hyuk, Hwang Do-Yun,

Trailer originale di Josée

La prima italiana del lungometraggio coreano “Josée” di Kim Jong Kwan si è tenuta per l’inaugurazione della 19/ma edizione del Florence Korea Film Fest, l’unico festival in Italia dedicato alla cinematografia sudcoreana, il 21 maggio 2021 alle 19:00 presso il cinema La Compagnia di Firenze. La pellicola di K.J.Kwan è il secondo riadattamento cinematografico del racconto giapponese del 1984 “Josee, the Tiger and the Fish” di Seiko Tanabe, la prima trasposizione per il grande schermo è avvenuta con l’omonima pellicola giapponese del 2003 per la regia d‘Isshin Inudo, ma questa pellicola si dimostra piuttosto divergente dal quel film come ha asserito il regista anche se la premessa narrativa e le emozioni dei protagonisti rimangono le medesime.

Sono stati apportati piccoli colpi di scena alla trama, o non ci sarebbe stato alcun motivo per presentare agli spettatori qualcosa che somigliasse al film originale

Kim Jong Kwan
scena del film Josée
Han Ji-min e Nam Joo-Hyuk in Josée

Trama di Josée

Lee Young – seok, un giovane studente universitario coreano d’ingegneria che ha un rapporto intimo con una delle sue professoresse, si imbatte casualmente in una donna caduta sul manto stradale a causa di un guasto meccanico alla sua sedia a rotelle. Il ragazzo si ferma subito a soccorrerla, fino a riaccompagnarla alla sua abitazione dove ad accoglierla c’è un anziana signora, che vive riciclando e riutilizzando il materiale buttato nella spazzatura dagli altri. L’incontro smuove qualcosa dentro l’anima di Lee Yong – seok che inizierà abitudinariamente ad aiutare quella famiglia fino a incominciare a conoscere il mondo malinconico e fantasioso della donna, dal misterioso nome Josée, segnata da un passato doloroso e da un presente piuttosto complicato.

scena film Josée
Fotogramma del film

Recensione di Josée

Ora sto bene. Pensiamo che siamo intrappolati lì dentro, ma per i pesci siano noi che sembriamo in trappola. Pensavo che fosse meglio essere intrappolati, se fossimo stati insieme… Penso che alcuni di questi pesci siano felici… Ora sto bene… Non sono sola… Anche se non ci sarai ti immaginerò al mio fianco

Josèe

Terzo lungometraggio del cineasta coreano, “Josée” si dimostra una pellicola solida che non può che trasportare lo spettatore entro quel mondo crudo e fantasioso di Josée, carattere narrativo interpretato maestosamente dall’attrice Han Ji-min, usando uno stile alquanto poetico e prettamente romantico in cui il regista e sceneggiatore Kim Jong Kwan e il montatore Won Chang-jae riescono ad azzeccare perfettamente tutti i ritmi narrativi per poter consegnarci un opera matura a livello visivo e simbolico.

La narrazione è arricchita da un splendida fotografia e da una scenografia azzeccata e potente, soprattutto nella realizzazione estetica dell’abitazione della giovane protagonista dove troviamo una grande quantità di dettagli che donano all’ambiente un forte climax nostalgico e dal sapore familiare che trasmette quel senso di sicurezza a chi si ritrova all’interno di quelle mura piene di cianfrusaglie, di collezioni di bottiglie di Whisky vuote e dai molteplici libri ingialliti situati negli scaffali. Tale luogo che appare allo spettatore così sicuro e accogliente diviene la perfetta estensione della personalità di Josée (e poi di Lee), che altro non è che una donna sola e terrorizzata dal mondo esterno dove non si sente protetta. Proprio questa sua condizione e il suo rinchiudersi dentro queste quattro pareti la rendono prigioniera della sua stessa monotonia e di quella abitazione che lentamente la sta uccidendo rendendola schiava dei suoi demoni interiori che invadono la sua mente. All’interno di questa landa di tristezza i suoi unici amici sono i libri, che le permettono di viaggiare con la mente.

Il pregio della sceneggiatura è quello di possedere due personaggi ben strutturati drammaturgicamente e che risultano pienamente tridimensionali tanto che l’elemento della disabilità di Josée non diviene il vero e proprio tema centrale della narrazione ma assume un ruolo di caratteristica propria del personaggio utile per andare a sviscera al meglio il senso ultimo della narrazione: lottare per vivere e per superare i propri blocchi interiori abbracciando la vita. In questo senso appare simbolica la prima scena del lungometraggio dove vediamo già una fragile Josée distesa a terra, bisognosa di aiuto. Il cineasta, in maniera intelligente, non mostra fin da subito il volto della ragazza, nascosta in un cappuccio della tuta color nero, per evidenziare come questa abbia paura di mostrarsi al mondo tanto da desiderare essere invisibile, questo è evidente quando si scoprirà che la giovane non possiede neppure un documento d’identità che attesti la sua esistenza, come se lei fosse un fantasma. Solo la presenza e l’affetto che gli darà il gentile Lee Young – seok l’aiuterà a ritornare alla vita e questo legame che si instaurerà tra di loro creerà un rapporto reciproco di dipendenza, in cui entrambi lottano per sopravvivere all’interno di un mondo in cui non riescono a trovare la giusta felicità, se non stando insieme.

La pellicola di K.J.Kwan dunque non è solo una storia d’amore ma una storia di salvezza e di ricerca di speranza, un viaggio per ritornare a vivere attraverso un rapporto intimo, amoroso e fraterno in grado di rompere ogni diversità sia sociale , di classe e di apparenza. I primi due atti del lungometraggio vengono interamente mostrati attraverso il punto di vista di Lee Young-seok, personaggio con cui lo spettatore empatizzerà maggiormente, apparendoci come un uomo mite e gentile che però trova una sua funzione di esistere solo se condizionato dalle donne passando inizialmente dalla sua insegnante, con cui ha una relazione segreta, fino alla compagna di corso universitaria che frequenta saltuariamente. L’uomo però troverà un senso di conforto e di rassicurazione proprio attraverso la relazione con Josée che agli occhi dell’umo appare come l’unica che abbia bisogno della sua presenza ed esistenza, donandogli un senso e uno scopo al suo esistere. Anche Lee troverà dentro quella casa un rifugio dai suoi tormenti interiori, divenendo uno spazio senza tempo dove può rintracciare una pura tranquillità ed evitare di riflettere sulle scelte riguardanti il suo futuro lavorativo da adulto che andranno a sconvolgere la sua vita.

Mondi immaginari

All’interno della pellicola Josée, probabilmente la vera protagonista della storia e che possiede l’arco di evoluzione più netto e chiaro, rimane un personaggio piuttosto misterioso partendo proprio dal suo nome originale che non conosceremo mai, dato che Josée è ripreso da quel romanzo di Le piace Brahms? del 1959.

Più tardi ho scoperto questo, che Josée è il nome della donna del romanzo di Sagan. A Josée piaceva la Joséè del romanzo ecco perchè si faceva chiamare così

Josée

Questo personaggio interpretato da Han Ji-min immette all’interno della pellicola una commistione tra realtà e fantasia, che ricorda lontanamente il cult movie di Tim Burton Big Fish dove l’elemento fantastico modificava e prendeva il posto della pura verità storica degli eventi. In questo senso proprio come Edward Bloom, Josée sembra far suoi i mondi che scopre attraverso la letteratura, attività grazie a cui riesce ad abbandonare i suoi pensieri e i suoi traumi interiori, tanto che se le facessimo una domanda su dove è stata lei risponderebbe di aver viaggiato in Africa oppure in Scozia pur non essendoci realmente mai stata. Questo gioco di realtà e finzione rende complesso da parte dello spettatore e dallo stesso Lee Young – seok comprendere fin dove arrivi la realtà e dove l’immaginazione ne prende il sopravvento, proprio a causa di questo non possiamo durante il lungometraggio mai prendere per vero le dichiarazioni della protagonista femminile soprattutto quando parla della sua famiglia o della sua infanzia, di cui sappiamo realmente poco e di cui abbiamo solo alcune certezze come il suo vissuto nell’orfanotrofio e la sua fuga da questo.

Unico vero problema di questo gioco d’irrealtà e di finzione appare il terzo atto, narrato proprio da Josée, dove il tutto perde forza narrativa a causa di un salto temporale di cinque anni che mostra una rottura inaspettata e che non viene minimamente spiegata, lasciando allo spettatore molte domande irrisolte. Il problema però è anche a livello di comprensione narrativa: siamo nella realtà o dentro l’immaginazione della protagonista? In questo senso proprio la scena finale lascia fin troppi dubbi aperti.

Note positive

  • Interpretazione di Han Ji-min
  • Regia
  • Sceneggiatura dei primi due atti
  • Montaggio

Note negative

  • Terzo atto
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