The Deep Dark (2023). Il creature feature lovecraftiano di Mathieu Turi

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Trailer di The Deep Dark

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Presentato in anteprima internazionale al Festival du Film Francophone d’Angoulême, “The Deep Dark” (2023), terzo lavoro del regista francese Mathieu Turi, ha partecipato in concorso al Trieste Science Fiction 2023, con la proiezione avvenuta il 31 ottobre 2023 presso il Teatro Rossetti. Questo evento riveste particolare importanza per il regista, il quale nel corso degli anni ha presentato tutti i suoi lungometraggi in questo festival, tra cui “Hostile” (2017) e “Meander – Trappola mortale” (2020). In Francia, il film è stato distribuito in 118 sale a partire dal 15 novembre 2023.

Trama di The Deep Dark

Nel 1856, un gruppo di minatori si ritrova intrappolato nelle viscere di una miniera di carbone nel Nord della Francia, per via di un esplosione causata dal grisù, un gas inodore e incolore, costituito per la maggior parte da metano, anidride carbonica e azoto. Il gruppo, imprigionato nella miniera, ben presto si renderà conto di non essere da solo.

Decenni dopo nel 1956, Amir (Amir El Kacem), un giovane del Marocco alla ricerca di qualche denaro per sopravvivere, trova un umile lavoro in Francia, nel dipartimento del Passo di Calais, all’interno della miniera più pericolosa della Francia, denominata da tutti come “Devil’s Island”. Giunto in Francia viene assegnato al gruppo guidato dal minatore Roland (Samuel Le Bihan), uno dei maggiori esperti e conoscitori di queste miniere. Un giorno, il gruppo di Roland viene incaricato e costretto a condurre il Professor Berhier (Jean-Hugues Anglade) nelle profondità della miniera, con l’obiettivo di effettuare dei rilievi e raccogliere dei campioni. Niente va per il verso giusto, però. Quando il gruppo si trova nelle profondità della miniera ecco che avviene una frana che li blocca al suo interno, nonostante ciò il professore e il gruppo continua a effettuare la loro spedizione, imbattendosi così nel ritrovamento archeologico di una specie di sepolcro. Non sanno che le loro azioni sveglieranno un antico mutante con un insaziabile brama e sete di sangue. 

Fotogramma di The Deep Dark
Fotogramma di The Deep Dark

Recensione di The Deep Dark

Mathieu Turi e l’essere bloccati

La claustrofobia emerge come tema centrale nei primi tre film del regista francese Mathieu Turi, noto per immergere i suoi personaggi in spazi angusti e oscuri da cui sembra non esserci via d’uscita. Se in ‘Hostile’ la claustrofobia compariva con scene in cui la protagonista era intrappolata in uno spazio ristretto all’interno di una macchina, in ‘Meander‘ diventava ancora più evidente, con una giovane madre bloccata in un labirinto di tunnel mortali. ‘The Deep Dark’ ci trasporta in un ambiente altrettanto chiuso e claustrofobico, una miniera che imprigiona un gruppo di uomini costretti a cercare una via di fuga sconosciuta. Questa ambientazione, evocativa di film come ‘The Descent’ di Neil Marshall, non si presenta visivamente come uno spazio angusto e ristretto, ma trasmette un senso di oppressione e soffocamento dato questa volta dall’assenza di un’uscita, un’uscita che deve essere trovata a tutti i costi per aver salva la vita. In ‘The Deep Dark’, ci troviamo immersi in un luogo oscuro in cui la luce non penetra, dove i personaggi lottano in un ambiente fatto di polvere, umidità e oscurità. Mathieu Turi, sotto diversi aspetti narrativi della sua cinematografia proposta, utilizza l’elemento claustrofobico per esplorare la sensazione di essere intrappolati in una determinata situazione, un sentimento che emerge in modo diverso nei suoi primi tre lungometraggi. Per Turi, dunque, l’elemento claustrofobico non è solo uno strumento narrativo, ma una lente attraverso cui il cineasta esplora le dimensioni emotive dei suoi personaggi. È un’esperienza sensoriale che, sebbene si manifesti in modi differenti, sottolinea costantemente il senso di prigionia e di impotenza di fronte a una situazione che sembra insuperabile.

La scelta della location emerge come uno dei cardini narrativi più potenti del film, poiché il regista ha preferito un’ambientazione realistica, respingendo l’uso di effetti speciali o grafica computerizzata, non utilizzati per la realizzazione del film. La pellicola, difatti, è stata effettivamente girata all’interno di una vera miniera, offrendo agli attori l’opportunità di immergersi fisicamente in quegli spazi bui e privi di luce, vivendo in prima persona le sensazioni e le esperienze dei minatori che hanno calpestato quei terreni. Questa scelta autentica ha conferito alla narrazione una tangibilità e un senso di realtà palpabile, arricchendo sia le performance attoriali che l’atmosfera visiva. Questa scelta stilistica ha permesso al pubblico di percepire l’essenza e il terrore di trovarsi in quegli spazi, soprattutto quando la speranza di trovare una via d’uscita appare svanita. Tuttavia, la sensazione di claustrofobia emerge in modo discontinuo e con una forza narrativa meno incisiva rispetto ai precedenti lavori del regista, soprattutto se confrontata con ‘Meander’. La paura di essere intrappolati, soffocati o schiacciati dalla grotta si manifesta solo a tratti e in maniera marginale. Questo perché Mathieu Turi ha scelto di infondere alla trama un marcato elemento horror, in cui i personaggi sono più spaventati dalla lotta contro la creatura che dall’idea di non trovare un’uscita da quel luogo che rischi di divenire la loro tomba.

Dal sapore archeologico

La pellicola non si configura come un classico del genere fantascientifico, senza presentare elementi legati a universi paralleli, viaggi nello spazio o presenze aliene. Tuttavia, “The Deep Dark” si avvicina più a una prospettiva di Science+Fiction nel solco dei canoni lovecraftiani, in particolare facendo eco al romanzo “Alle montagne della follia (At the Mountains of Madness)” di Howard Phillips Lovecraft, datato 1931, basato sul romanzo “Storia di Arthur Gordon Pym” di Edgar Allan Poe. La trama del film si dipana così attorno a un professore e a una ricerca di natura archeologica, il tutto all’interno di una dimensione fantastica con sfumature horror, dove quest’ultimo genere emerge in modo predominante, con scene di omicidi piuttosto cruenti, sebbene non particolarmente incisivi nella memoria.

In relazione agli aspetti orrorifici e mitologico-archeologici, va sottolineato l’eccezionale lavoro sia in termini visivi che nella scrittura della creatura, del mostro che brutalmente massacra i minatori, uno dopo l’altro. Dal punto di vista visivo, questa creatura appare quasi divina, quasi un essere divino, grazie alla sua enorme statura che domina la scena. Tuttavia, a livello di scrittura, lo sceneggiatore ha scelto di privare questa entità di qualsiasi sfumatura o profondità, dipingendola esclusivamente come un’entità di pura malvagità. Questo tipo di scrittura si allontana nettamente dall’approccio narrativo adottato nel film “La mummia” di Stephen Sommer del 1999, che, nel ridestare Imhotep, cercava di conferirgli una certa umanità e tridimensionalità. Al contrario, in “The Deep Dark”, la figura della “mummia” è presentata esclusivamente sotto un ottica di pura malvagiata e Turi non si dimostra interessato ad esplorare la sua complessità e il suo passato. Il Mostro qui è solo un Mostro. Oltre a “La Mummia”, il film di Turi richiama esplicitamente numerose altre pellicole a livello di sceneggiatura, scenografia e struttura narrativa, tra cui “The Descent”, “Necropolis – La città dei morti“, “La Cosa” del 1982 di John Carpenter, e “Alien” di Ridley Scott. Opere citate anche a livello di creazione visiva.

Frame di The Deep Dark
Frame di The Deep Dark

Un gruppo di personaggi

A livello visivo, la pellicola si distingue per una fotografia straordinaria che conferisce un fascino visivo notevole. Tuttavia, la sua bellezza visiva non è supportata da una sceneggiatura altrettanto coinvolgente. Se fino a ‘The Deep Dark’, il regista e sceneggiatore tendeva a concentrare l’attenzione su un singolo protagonista, in questa nuova opera Turi ha optato per una narrazione che ruota attorno a un gruppo di personaggi, ciascuno teoricamente destinato a rivestire un ruolo rilevante. Turi, nel tentativo di sviluppare la sceneggiatura, riesce a conferire una discreta ma purtroppo bidimensionale caratterizzazione iniziale ad Amir, apparentemente il protagonista, a Roland e al Professor Berhier. Tuttavia, man mano che il film procede, anche loro perdono progressivamente profondità, trasformandosi in figure sfocate, poco consistenti e prive di qualsiasi spessore emotivo. Questo difetto nell’approfondimento dei personaggi emerge come uno dei punti deboli principali della pellicola. Di conseguenza, gli spettatori non riescono mai a sviluppare un legame empatico con nessuno dei personaggi, rendendo le loro morti per mano del Mostro quasi indifferenti e prive di qualsiasi impatto emotivo. È un peccato, poiché ciò compromette notevolmente la capacità del film di coinvolgere e suscitare un coinvolgimento emotivo tangibile da parte del pubblico, compromettendo così il potenziale emotivo e narrativo della storia.

In conclusione

Sebbene “The Deep Dark” presenti punti di forza nella sua ambientazione autentica e nella resa visiva suggestiva, la ridotta intensità della claustrofobia e la carenza nella caratterizzazione dei personaggi principali minano l’impatto emotivo della storia. La mancanza di una sceneggiatura coinvolgente toglie forza alla narrazione, impedendo al pubblico di connettersi emotivamente con il pericolo imminente e i destini dei protagonisti. Questo limita l’effetto delle scene più drammatiche, compromettendo la potenziale potenza emotiva del film.

Note positive:

  • Ambientazione realistica: La scelta delle location autentiche e senza effetti speciali aggiunge una nota di genuinità alla narrazione.
  • Potenza visiva: L’uso di una fotografia interessante rende la pellicola visualmente coinvolgente.
  • Creatura mostruosa: La creazione della creatura che minaccia i minatori è ben realizzata, donandole un senso di pura malvagità.

Note negative:

  • Claustrofobia meno accentuata: Nonostante l’ambientazione claustrofobica, il senso di oppressione e la paura della mancanza di uscita risultano meno intensi rispetto ai lavori precedenti.
  • Sceneggiatura carente: La mancanza di una sceneggiatura accattivante e la caratterizzazione bidimensionale dei personaggi principali riducono l’empatia dello spettatore per le loro vicende.
  • Perdita di potenza emotiva: L’anonimato e il poco spessore dei personaggi principali impediscono al pubblico di connettersi emotivamente con la trama e gli eventi tragici.
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