Tim Burton e l’arte di sognare | Festa del cinema di Roma 2021

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Durante gli anni novanta, c’è un personaggio che più di tutti ci ha teso la mano cinematografica e accompagnato nel nuovo millennio: Tim Burton. Eclettico e visionario, ci ha mostrato il potere dell’immaginazione e l’arte di sognare a occhi aperti. Premio alla carriera alla Festa del Cinema di Roma 2021, abbiamo inoltre avuto il piacere di vederlo in una delle rarissime apparizioni sul red carpet, accompagnato dai figli Neill, Billy e il cagnolino Levi. Protagonista di un intenso incontro con la stampa, il regista ha raccontato i paradigmi e i momenti cult della sua carriera. Un modo di intendere il cinema come confessione esistenziale e autobiografica; di quell’outsider che lasciò i genitori non sentendosi amato e compreso, una dimensione di vita che rappresenta nel suo film più leggendario: Edward Mani di Forbice. 

Ero intrigato da un personaggio che non può amare, che quando tocca qualcuno taglia e ferisce, eppure è anche capace di essere un grande artista. Lì vi era la mia infanzia, i sentimenti con cui ero cresciuto. Del resto ho sempre amato le fiabe, le favole, che permettevano di esplorare i sentimenti, di aumentarne l’intensità in modo teatrale.

Una figura che lo influenzò moltissimo nei primi anni della sua carriera fu Vincent Price. Dopo il liceo vinse una borsa di studio della Disney che gli consentì di studiare al California Institute of the Arts a Valencia. Dopo tre anni di studio venne assunto dalla Disney ma pochi anni dopo, nel 1982, lasciò gli studios. In seguito realizzò Vincent (1982), il suo primo corto in stop-motion, una tecnica d’animazione particolare molto apprezzata da Burton. A proposito della sua esperienza alla Disney dice

L’animazione Disney anni ottanta era davvero orribile, mi ricordo quei giorni bui in cui ci ho lavorato. C’erano allora persone di enorme talento come John Lasseter, tutte sfruttate che poi, non a caso, hanno creato il mondo Pixar. Io non è che fossi molto bravo a disegnare, la mia volpe dicevano spesso che sembrava travolta da un auto.

E il processo creativo dei suoi film?

Anche quando si è trattato di progetti che non erano miei è necessario che io provi passione, entusiasmo, emozioni forti. Passo molto tempo a guardare il cielo è importante guardare le cose per scoprire qualcosa di diverso. Sognare ad occhi aperti è una cosa che ho sempre fatto, sentendomi diverso dagli altri. Sono un sognatore fin da bambino. E non a caso amo il cinema. Posso considerarmi fortunato, perché grazie al cinema posso continuare a sognare. Però dico: essere creativi aiuta, in qualunque campo ci si muova. Fa bene a noi stessi.

Di seguito, il video completo della conferenza stampa:

Premio alla carriera | Festa del cinema di Roma 2021

Amato in tutto il mondo da intere generazioni, il regista si è trovato di fronte a una sala Petrassi gremita di giornalisti e fan. Disponibile e autoironico, dà il via assieme ad Antonio Monda e Richard Penn, ad un viaggio dentro la sua visione del cinema, in quei 35 anni di carriera dove ha saputo creare un universo fatto di oscurità e leggerezza, di sensibilità e orrore. Come da copione, la prima domanda riguarda il primo film visto dal regista.

Il primo film in assoluto è stato Giasone e gli argonauti (1963) diretto da Don Chaffey. Un’esperienza indimenticabile dato che lo vidi in un meraviglioso cinema all’isola di Santa Catalina (Los Angeles). Ero in questa sala a forma di conchiglia, molto particolare. Un inizio straordinario in una sala straordinaria.

In preparazione all’incontro è stato chiesto a Burton di omaggiare un cineasta italiano attraverso una scena iconica e la sua scelta è stata questa: La maschera del demonio (1960) di Mario Bava. Perché proprio lui?

Il motivo è semplice. Negli anni ottanta, andai con dei miei amici ad un festival horror in cui proiettavano film per 48h di fila. Normalmente sono occasioni in cui prima o poi ti assopisci, ma ricordo che vi trovai dei lavori davvero interessanti tra cui proprio La maschera del demonio di Bava. Era un regista in grado di catturare il senso onirico delle cose, tra i pochi a saperlo fare, assieme forse a Dario Argento e Federico Fellini.

Le opere del regista vengono mostrate al pubblico come se fossero legate da un filo conduttore. Da Mars Attack!, omaggio a certe figurine anni 60, a Big Eyes fino a Ed Wood. L’arte ed il suo ruolo nella vita, in relazione alla società, permangono dentro la sua filmografia, nel rivendicare sempre una libertà totalizzante. Ricorda con affetto l’esposizione al MOMA del 2009.

Fu incredibile, ma anche faticoso in un certo senso. Sono un pessimo archivista quindi si trattò di andare a frugare nei cassetti per trovare le mie opere, il loro iter, i riferimenti. E fu sorprendete come esperienza, qualcosa di indimenticabile. Ancora oggi mi dicono che fu una delle esposizioni più belle di sempre. Non smette mai di farmi riflettere quanto l’arte possa cambiare la vita delle persone.

Riguardo a Ed Wood, biopic dedicato alla mitica figura del peggior regista della storia del cinema, Burton ha definito la sua idea di successo:

Ed Wood era considerato il peggiore regista di tutti i tempi, che mentre dirigeva film terribili, dentro era sicuro di avere creato capolavori, di realizzare kolossal alla Guerre Stellari. Nei diari difatti si reputa tra i più grandi cineasti, ciò rende ancor più difficile stabilire cosa sia arte e cosa no. Vi è una linea sottile tra queste due, ma quanto l’artista possa credere in quello che fa a dispetto di tutto e tutti, per me rimane qualcosa di straordinario.

Arrivato il momento del Premio alla Carriera, il regista è stato onorato da tre grandi artisti italiani con cui ha lavorato, Gabriella Pescucci, Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Un premio considerato speciale, proprio per la città che lo ospita, Roma.

Alle volte un riconoscimento così sembra un po’ un funerale, ma per me invece è molto speciale. Riceverlo a Roma, la città di Bava, Fellini, Argento. Sono cresciuto con l’amore per il cinema e in questo luogo ci sono tante persone che mi sono care.

Tramite la sua sensibilità ed esperienza personale, Burton espone sempre con trasparenza, il discorso sulle definizioni di diversità e normalità. Del resto con i suoi film ha rivisitato il concetto stesso di emarginazione, in cui spesso i protagonisti sono visti in chiave positiva, portatori di una visione del mondo al di fuori degli stereotipi. E con questa consapevolezza, non possiamo che attendere la sua prossima avventura, la serie live action Netflix su Mercoledì Addams, intitolata Wednesday.

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