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Titane
Titolo originale: Titane
Anno: 2021
Genere: Thriller, Horror, Drammatico
Casa di produzione: Kazak Productions
Distribuzione italiana: I Wonder Pictures
Durata: 108 minuti
Regia: Julia Ducournau
Sceneggiatura: Julia Ducournau
Fotografia: Ruben Impens
Montaggio: Jean-Christophe Bouzy
Musiche: Jim Williams
Attori: Vincent Lindon, Agathe Rousselle, Garance Marillier, Nathalie Boyer, Myriem Akheddiou, Dominique Frot, Bertrand Bonello
Trailer di “Titane”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
“Titane” è il secondo film della regista francese Julia Ducournau, dopo la sua opera prima Raw, presentata nella sezione Settimana Internazionale della Critica al Festival di Cannes 2016 e vincitrice del premio FIPRESCI.
La consacrazione internazionale di Ducournau è arrivata grazie all’opportunità offertale dal celebre regista e produttore M. Night Shyamalan, che le ha affidato la regia di due episodi della sua serie di successo Servant.
Dopo aver conquistato la Palma d’Oro alla 74ª edizione del Festival di Cannes, Titane debutterà nelle sale italiane il 1º ottobre 2021, distribuito da I Wonder Pictures.
“Credo che la mia vittoria e l’interesse per il film c’entrino con il fatto che la mia generazione, in tutto il mondo, non ha mai avuto vergogna ad abbracciare il codice dell’horror, in senso lato, come linguaggio, modo di pensare.”
Julia Ducournau, regista e sceneggiatrice di Titane
Trama di “Titane”
Alexia (Agathe Rousselle) ha un’ossessione per le automobili, nata dopo un incidente avvenuto durante l’infanzia, che le ha lasciato una placca di titanio nella testa. Questo evento l’ha segnata profondamente, facendola rinascere con un carico di rabbia e amore represso che la trasformeranno in un essere nuovo, ibrido.
Affinché la sua metamorfosi si completi, Alexia dovrà confrontarsi con la forza più potente che muove il mondo: gli esseri umani.
Recensione di “Titane”
Sono trascorsi cinque anni da quando Julia Ducournau ha esordito con il controverso coming-of-age Raw, un film in cui già emergeva la sua visione autoriale e la determinazione nel realizzare un cinema crudo, senza riserve, estremamente metaforico e attraversato da un tocco di “follia” che, paradossalmente, appare più reale che fittizio.
Seguendo la stessa direzione, la regista francese torna con Titane, un’opera destinata a dividere sia il pubblico che la critica. Il film è schietto, esplicito nelle immagini e, al tempo stesso, narrativamente complesso da decifrare: una storia profondamente metaforica e fuori dagli schemi. Certamente, la pellicola rappresenta uno sforzo titanico per lo spettatore, ma non per questo è impossibile da comprendere. Anzi, rimanere in superficie è il modo meno efficace per avvicinarsi ai lavori d’autore di Ducournau.
In Raw, seguiamo la storia di Justine (Garance Marillier), una ragazza proveniente da una famiglia vegetariana che, durante la sua prima settimana di università, diventa cannibale dopo aver assaggiato un pezzo di carne cruda.
In Titane, invece, la protagonista è Alexia (Agathe Rousselle), una donna sulla trentina che, da bambina, è sopravvissuta a un grave incidente automobilistico con il padre. L’intervento che le ha salvato la vita le ha lasciato una placca di metallo nel cranio.
“Si potrebbe muovere?” chiede la madre.
“No, è di titanio.” risponde il medico.
Il titanio, forte e resistente ai cambiamenti—proprio come lo è Alexia rispetto al mondo che la circonda.
L’episodio che ha segnato Alexia—tanto onnipresente quanto la ferita che le è rimasta—si traduce in una forte attrazione per le automobili. Diventa una ballerina go-go, i cui movimenti seducenti, eseguiti su una Cadillac, catturano non solo l’attenzione degli uomini, ma persino quella della vettura stessa, con cui finisce per accoppiarsi e rimanere incinta.
Se questa dinamica può apparire surreale (e lo è), in realtà risponde metaforicamente alla mancanza di veri rapporti umani. Alexia ha genitori indifferenti—soprattutto un padre freddo e distante—e un legame familiare quasi inesistente. Al di fuori delle mura di casa, incontra solo persone (prevalentemente uomini) che la cercano per la sua fama, tentando di approfittarsi di lei senza concederle possibilità di scelta—come accade con un suo “fan” che la costringe a baciarlo.
Oltre ad avere ormai un corpo ibrido a causa della placca di titanio, il suo rapporto—se così si può chiamare—con la Cadillac rappresenta l’unico “legame” che ha. Un legame vuoto, privo di anima, perché non conosce altro.
Ma Alexia diventa anche una serial killer, spinta dalla stessa solitudine e dalla sua incapacità di costruire rapporti umani autentici. Più per necessità che per volontà, decide di assumere un’identità maschile per nascondersi, fingendosi Adrien, un ragazzo scomparso dieci anni prima.
È così che conosce Vincent (Vincent Lindon — The Measure of a Man, Diary of a Chambermaid, Anything for Her), un pompiere e padre di Adrien, che consuma se stesso tra gli steroidi e il lavoro per fronteggiare la vulnerabilità del dolore. Due anime che si incrociano nell’abisso della solitudine e nel bisogno di affetto—un qualcosa che solo gli esseri umani possono dare, e che, allo stesso tempo, possono negare.
Definire Titane esclusivamente un body horror sarebbe riduttivo, anche se questo sottogenere funge da filo conduttore dell’opera. Come ha chiaramente ribadito Ducournau in numerose dichiarazioni, la sua ispirazione non proviene soltanto dal “padre del body horror”, David Cronenberg—richiamando in particolare Crash—ma anche da una vasta gamma di influenze cinematografiche. Il film mescola suggestioni provenienti da Terminator e Alien, senza trascurare un tocco del cinema italiano, attraverso la libertà espressiva dei lavori di Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini.
Da una prospettiva profondamente personale, la regista francese usa il linguaggio dell’horror e del thriller per raccontare una storia che, pur essendo prevalentemente drammatica, presenta anche momenti di comicità. I suoi protagonisti eccedono per sopravvivere, trasformandosi parallelamente a livello fisico e psicologico. Titane è un film che sfugge alle etichette di genere per evolversi in un linguaggio cinematografico nuovo.
Tra vetture e umani, metallo e olio motore, ballerine e pompieri, gravidanza e paternità, sessualità e omicidi seriali, Titane mette in risalto una moltitudine di tematiche e interpretazioni. Al centro di tutto c’è l’identità personale e di genere, insieme alla ricerca dell’amore come strumento per guarire le ferite del passato e colmare il vuoto della solitudine. Nel loro percorso di metamorfosi, Alexia e Vincent trovano l’uno nell’altro un senso di appartenenza—la famiglia, il rapporto genitore-figlio—e, soprattutto, una via di salvezza in una realtà in cui si percepiscono sempre più alieni.
In questo contesto emergono anche i temi della diversità, dell’inclusione e del femminismo, attraverso la rappresentazione del mondo maschilista in cui i protagonisti si muovono e dal quale si distaccano, allontanandosi dagli stereotipi imposti dalla società. Si tratta di una combinazione di tematiche che, oggi più che mai, garantiscono a molte produzioni audiovisive un posto privilegiato nell’era del politicamente corretto.
Ciò che distingue Titane, però, è la capacità di Ducournau di lavorare con le metafore in maniera discreta, originale e per nulla forzata. La sua narrazione è costruita soprattutto per immagini, facendo cinema in senso puro, e non semplicemente un prodotto compiacente o pretenzioso.
Nel loro viaggio, Alexia e Vincent danno vita a un mondo nuovo—ibrido e fluido, quasi mitologico—ricco di sfumature, ma anche di amore e libertà di scelta. Un mondo che appartiene solo a loro, nonostante tutto, nonostante il resto…
Un mondo che riflette l’essenza del cinema d’autore di Ducournau: spiazzante per molti, ma sufficiente per se stessa. Come lei stessa afferma su Titane:
“Non pretendo di piacere a tutti […] Ognuno lo giudichi come vuole.”
Quando la follia diventa poesia
“Non voglio sapere chi sei, me ne frego. Sei mio figlio, se sempre lo sarai, chiunque tu sia.”
Vincent Legrand (Vincent Lindon) Cit. Titane
Titane ha tutte le carte in regola per attirare l’attenzione nell’industria cinematografica contemporanea, non solo in Francia, ma anche a livello internazionale. Oltre alla molteplicità di tematiche che emergono dal film, vi è anche il fatto che questo sia l’anno delle registe donne: Chloé Zhao ha vinto l’Oscar, Julia Ducournau la Palma d’Oro, e ora anche Audrey Diwan si è aggiudicata il Leone d’Oro.
Non passa inosservato che, dopo Jane Campion—premiata nel 1993 per Lezioni di Piano—Ducournau sia diventata la seconda donna a vincere alla Croisette, a distanza di 28 anni. Pur essendosi mostrata fiera delle recenti vittorie femminili in prestigiose premiazioni, Ducournau ha sottolineato, sia attraverso Titane che in alcune dichiarazioni, l’importanza di non essere definiti dal genere, poiché l’identità di una persona va ben oltre.
“Non mi piace quando si sottolinea che sono una regista donna, perché sono prima di tutto una persona che fa film. Li realizzo perché sono io, non perché sono una donna. Con il personaggio di Alexia, volevo giocare con gli stereotipi e dimostrare che la femminilità è molto più flessibile e indefinita di quanto la gente pensi.”
Mettendo da parte il discorso sul genere e valutando il film per ciò che è—come suggerisce Julia Ducournau, semplicemente “una persona che fa film”—Titane merita davvero tutto il riconoscimento che ha già ricevuto?
Modesto nel budget (circa €5.700.000), ma imponente sul piano narrativo, Titane conferma senza dubbio il talento registico di Ducournau. La sua storia, caratterizzata da un’apparente “follia”, o meglio da un’impostazione fuori dagli schemi, cela una logica narrativa molto più profonda di quanto si possa percepire a primo impatto.
Oltre a dirigere, la cineasta francese firma anche la sceneggiatura del film e sceglie di ridurre al minimo i dialoghi per lasciare spazio a una narrazione quasi interamente visiva. Il peso emotivo della vicenda risiede soprattutto nella comunicazione non verbale dei due protagonisti, interpretati magistralmente da Vincent Lindon—attore dalla carriera longeva nel cinema—e Agathe Rousselle, che con questo ruolo firma un esordio indimenticabile sul grande schermo.
Non sono le parole, dunque, a dare vita a questa trama così peculiare, ma i primi piani scioccanti e gli elementi visivi sapientemente costruiti che accompagnano lo svolgimento dei fatti. Tra questi, spiccano la cicatrice di Alexia—segno indelebile della protesi di titanio impiantata nel suo cranio—e la bacchetta per capelli, arma con cui elimina le sue vittime.
Oltre a partire da un’idea intrigante e provocatoria, che ripropone tematiche già esplorate in maniera innovativa, la storia di Titane si sviluppa attraverso una struttura che va oltre il classico schema in tre atti. Ducournau combina generi e toni, dividendo il film in due parti narrativamente distintive: nella prima metà predominano l’horror e il thriller—dove vediamo Alexia trasformarsi in una serial killer—mentre la seconda metà si avvicina progressivamente al dramma, culminando in una chiusura potente e commovente che sintetizza la metamorfosi di entrambi i protagonisti.
La progressione delle azioni e il ritmo costante rendono il film complesso, ma coinvolgente. Tuttavia, alcuni aspetti risultano trascurati nella sceneggiatura, in particolare le motivazioni della protagonista, che non si rivelano altrettanto forti quanto la sua placca di titanio. Questa mancanza limita la possibilità di provare empatia per Alexia e di comprendere appieno le sue scelte.
Così come il lavoro di Ducournau in questo film risulta probabilmente superiore rispetto al precedente—dal punto di vista registico, ma non tanto nella scrittura—lo stesso vale per Ruben Impens, direttore della fotografia anche di Raw. Impens conferisce al film un’elevata qualità estetica in ogni inquadratura e movimento di macchina, enfatizzata da una splendida colonna sonora, in parte originale (firmata da Jim Williams) e in parte composta da pezzi preesistenti, tra cui Nessuno mi può giudicare di Caterina Caselli.
Indubbiamente, Titane è un film estremo ed eccessivo sotto molti aspetti, ma nel suo complesso si rivela una produzione efficace nel trattamento metaforico delle numerose tematiche che affronta. L’universo fluido di “mostri” creato da Julia Ducournau non si limita a una rivisitazione moderna del body horror, ma si spinge oltre, scommettendo su un cinema libero e radicale dal punto di vista espressivo—un cinema futurista, (ri)pensato come forma d’arte.
Il film non pretende di piacere a tutti, e lo stesso vale per Ducournau. Tuttavia, entrambi possiedono qualità che li rendono meritevoli di riconoscimento nel panorama cinematografico. Titane è una poesia contemporanea sul potere dell’amore, sulla solitudine e sulla diversità, che si distingue proprio per la sua volontà di sfuggire a schemi e stereotipi convenzionali.
“Sono io che mi prendo cura di te, non il contrario.”
Vincent Legrand (Vincent Lindon) Cit. Titane
In conclusione
Titane è un’opera audace e visivamente straordinaria che sfida i confini del cinema di genere con una narrazione disturbante e profondamente simbolica. Julia Ducournau conferma la sua identità autoriale attraverso un racconto che esplora identità, solitudine e trasformazione, regalando una visione cinematografica unica e provocatoria.
Note positive
- Idea e trattamento innovativo e provocatorio di temi già rivisti, portando sul grande schermo una storia drammatica in chiave horror. Buona proposta moderna del sottogenere body horror.
- Ottima regia di Julia Ducournau, supportata dal grande lavoro di fotografia del belga Ruben Impens
- Colonna sonora originale di Jim Williams, nutrita dalle canzoni preesistenti scelte.
- Interpretazioni dei protagonisti Vincent Lindon e Agathe Rousselle.
Note negative
- Alcuni aspetti della storia potevano essere trattati in maniera più approfondita per rafforzare, soprattutto, le motivazioni delle scelte della protagonista.
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| Colonna sonora e sonoro |
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4.3
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