Quattro buone giornate (2020): Alla ricerca di un grammo di felicità

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Quattro buone giornate

Quattro buone giornate

Titolo originale: Four Good Days

Anno: 2020

Nazione: Stati Uniti d’America

Genere: drammatico

Casa di produzione: Indigenous Media, Oakhurst Entertainment, Productivity Media

Distribuzione: Universal Pictures

Durata: 100 minuti

Regia: Rodrigo García

Sceneggiatura: Rodrigo García, Eli Saslow

Fotografia: Igor Jadue-Lillo

Montaggio: Lauren Connelly

Musiche: Edward Shearmur

Attori: Glenn Close, Mila Kunis, Stephen Root, Joshua Leonard

Trailer in lingua originale di Quattro buone giornate

Quattro buone giornate” è una pellicola di genere drammatico diretta dal regista Rodrigo García, adattamento cinematografico dell’articolo del 2016 “How’s Amanda? A story of truth, lies and an American addiction” scritto da Eli Saslow per il Washington Post. L’opera è stata presentata in anteprima mondiale al Sundance Film Festival il 25 gennaio 2020 e distribuita limitatamente nelle sale cinematografiche statunitensi dal 30 aprile 2021 mentre in Italia è stata distribuita direttamente in streaming nell’ottobre 2021. Durante la 94° edizione degli Academy Awards riceve una candidatura nella categoria miglior canzone originale a Diane Warren per “Somehow You Do”.

Trama di Quattro buone giornate

Molly è una tossicodipendente che vuole uscire dal cerchio della droga e per farlo le viene fatto sapere dell’esistenza di una medicina capace di aiutarla. L’unica cosa che deve fare è rimanere pulita per quattro giorni. Determinata nel suo obiettivo, chiede aiuto alla madre Deb, inizialmente restia ad aiutarla per l’ennesima volta e sinceramente stanca di cercare di recuperare un rapporto oramai deteriorato. Tuttavia, la sua decisione cambierà quando si accorgerà della caparbietà della figlia nel cambiare e iniziare un nuovo capitolo della sua vita.

Four Good Days
Four Good Days

Recensione di Quattro buone giornate

La droga non è solo una sostanza capace di rovinare la vita a una persona, portandola a entrare dentro a un tunnel da cui è difficile uscire, sempre se si riesce a uscirne da vivi. Gli stupefacenti creano vera e propria dipendenza, portando il soggetto in questione a disinteressarsi della vita che lo circonda, a non provare più alcuna emozione. Lo spinge ad allontanarsi dalle persone o dai familiari a lui cari, creando nel corso del tempo delle lunghe fratture destinate a rompersi per sempre. A portare al centro della storia la tematica della dipendenza da sostanze stupefacenti è il regista colombiano Rodrigo García, testimone – seppur indirettamente – negli anni Settanta della trasformazione della sua Colombia in una capitale della droga per mano del criminale Pablo Escobar. Al centro di questa tormentata storia familiare ci sono due attrici formidabili, la candidata al premio Oscar Glenn Close e Mila Kunis, rispettivamente madre e figlia, capaci con la loro performance di rendere omaggio a una vicenda realmente esistita.

Immaginatevi essere nei panni di Deb (Close), una madre che non vede e non ha notizie della propria figlia da un anno e che all’improvviso se la ritrova fuori da casa sua, imbruttita e senza denti, pronta ad implorarla per permetterle di restare per alcuni giorni a casa sua per andare successivamente a disintossicarsi per l’ennesima volta. Una figlia ricaduta per quindici volte nello stesso errore, capace di prendersi gioco della madre e di venderle i suoi beni più preziosi, come la sua fede nuziale, in cambio di cinque minuti di felicità ed estasi. Non c’è quindi da meravigliarsi se la madre inizialmente rifiuta la sua proposta, chiedendo alla figlia di andarsene via da casa sua. Come infatti verremo successivamente a scoprire, a portarsi dietro dei demoni interiori non è solo Molly (Kunis) ma anche la stessa Deb, con un passato difficile alle spalle e delle scelte fatte che non sempre hanno giovato alle persone che la circondavano. Accettare di aiutare la ragazza significa riaprire una dolorosa ferita non ancora cicatrizzata. Abbandonarla significa portarla a morte certa. Dopo una travagliata notte passata a capire quale decisione prendere, la madre si convince ad aiutare la giovane donna, una scelta presa soprattutto per la determinazione in lei ritrovata. Una speranza per una vita migliore e dignitosa.

L’indomani giunte in clinica scopriamo una parte del passato di Molly: è una tossicodipendente da oltre un decennio, è una mamma che ha perso la custodia dei suoi due figli e questo è l’ennesimo tentativo per ristabilire un senso di equilibrio nella sua vita. Nonostante lo sgomento iniziale, un dottore le consiglia come ultima soluzione un antagonista degli oppioidi, un farmaco che deve essere assunto tramite iniezione ogni mese, capace di inibire la voglia di drogarsi. Per iniziare il processo di disintossicazione Molly deve risultare pulita per otto giorni e visto che i primi quattro sono già passati – tra una crisi e l’altra – ne rimangono altri quattro prima di iniziare un nuovo capitolo della sua vita. Quello che può sembrare per alcuni un processo semplice e facile da affrontare in realtà si scopre non esserlo.

Una scena del film
Una scena del film

Il cineasta García mette a nudo le vere emozioni delle due protagoniste, portandoci a scoprire un mondo buio e terribile caratterizzato da spacciatori, siringhe e crisi di astinenza senza mai censurarsi. Due donne con due storie completamente diverse ma unite dal solo e unico legame familiare, con la figlia pronta a scaricare alla madre la colpa per la sua strada verso la tossicodipendenza a causa del suo allontanamento dopo il divorzio dal suo primo marito. Una Molly molto concentrata su sé stessa, che arriverà a comprendere da Deb che il suo abbandono, seppur sofferto, è arrivato nel momento in cui l’abuso mentale ed emotivo da parte dell’uomo che aveva sposato erano arrivati a un punto di non ritorno e rimanere imprigionata in quella casa significava per lei morire lentamente.

Una pellicola, purtroppo, passata quasi inosservata nonostante presenti una buona sceneggiatura, scritta tra l’altro dallo stesso regista in collaborazione con la giornalista Eli Saslow. Un racconto intimo, sofferto, doloroso, capace di condurci fin dalle prime sequenze all’interno di una parte del mondo per molti sconosciuto ma per altri un abitué a cui è difficile rinunciare e mettere la parola fine. Una sorprendente e irriconoscibile Mila Kunis da vita (e corpo) a una donna problematica, abbandonando solo per questa volta il suo fascino e la sua bellezza dentro a un cassetto mentre la straordinaria Glenn Close riesce a sorreggere l’intero lungometraggio, portando lo spettatore a immedesimarsi in lei e a provare le sue stesse sensazioni, i suoi stessi sbagli che ancora una volta le impediscono di vivere serenamente il suo nuovo presente con il suo nuovo compagno.

In conclusione

In conclusione “Quattro buone giornate” è un lungometraggio che affronta una tematica per nulla nuova all’interno del mercato cinematografico, ma grazie alle meravigliose interpretazioni delle due protagoniste riesce a catapultare lo spettatore all’interno di un lungo circuito di emozioni, conducendolo alla fine a un rassicurante quanto dolce e inaspettato epilogo.  

Note positive:

  • Sceneggiatura
  • Recitazione
  • Tematiche
  • Colonna sonora

Note negative:

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