You’re Next (2011) – Cosa maschera realmente la Maschera?

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You’re Next

Titolo originale: You’re Next

Anno: 2011

Paese: Stati Uniti d’America / Regno Unito

Genere: HorrorThriller

Produzione: Snoot Entertainment

Distribuzione: GEM Entertainment

Durata: 95 min

Regia: Adam Wingard

Sceneggiatura: Simon Barrett

Fotografia:  Andrew D. Palermo

Montaggio: Adam Wingard

Musiche: Mads Heldtberg, Jasper Lee, Kyle McKinnon

Attori: Sharni Vinson, Rob Moran, AJ Bowen, Nicholas Tucci, Barbara Crampton, Joe Swanberg

Trama di You’re Next

Nel tentativo di riunire tutti parenti, Aubrey e Paul Davison decidono di festeggiare il proprio anniversario di matrimonio assieme ai quattro figli e ad altre persone care, organizzando una riunione di famiglia in una isolata casa di villeggiatura. All’inizio sembra che le vecchie rivalità tra fratelli prendano il sopravvento su ogni tentativo di riconciliazione ma, di colpo, le dispute diventano l’ultima delle preoccupazioni: la casa viene presa d’assalto da un gruppo di assassini mascherati armati di asce e balestre.

Recensione di You’re Next

Sei il prossimo… a crepare!

You’re Next

Cominciando come il classico Film Home Invasion, con delle figure minacciose all’esterno che ti stanno braccando in casa, l’aura di You’re Next ti porta a percepire una sensazione di pericolo ancestrale, l’invasione del territorio, lo sfaldamento della tranquillità, il Caos dell’ignoto e senza senso, che si abbatte sull’ordine delle cose, non si ha più il controllo della situazione, o meglio, si crea un nuovo scenario, nel quale diviene necessario adattarsi per un periodo di tempo ad un certo contesto, nel quale viene a mancare la serenità.

La protagonista principale, forse eroina è il termine migliore, si prende carico di questo nuovo status quo delle cose, di questo Caos… Ne prende il controllo, cerca di ristabilire l’ordine, Caos che però non può essere affrontato e placato con lo stesso metodo di qualunque altra condizione precedente.

Lo stato creatosi, necessita di un ribaltamento delle regole, un cambiamento del sistema di riferimento precedente, una valutazione e percezione del pericolo che fa attivare l’istinto di sopravvivenza (sta succedendo qualcosa di reale in cui potrei rimanerci secco)… E che probabilmente comporta un ritorno a dei comportamenti primordiali e istintivi, che si ha represso, nascosto o contenuto, per adattarsi, nel modo più congeniale a noi, alla società in cui ci ritroviamo.

Nel film si sente quest’atmosfera di catastrofe, conflitto e risentimento tra i personaggi come se fosse in atto uno sfaldamento del nucleo familiare, fatto di rapporti forzati, disfunzionali e destinati a portare disagio, invidie, risentimenti e continui sensi di colpa. Tutta la tensione creata, però, viene ribaltata nel momento in cui i carnefici, diventano loro stessi vittima. Quando un uomo, non UOMO mascherato perde la sua credibilità e la sua potenza scenica che incute terrore.

Un particolare non di poco conto nel Mondo del Cinema, da sempre l’uomo mascherato ha suscitato, nel genere Horror, e non solo, terrore e paura… Suscitando anche curiosità e domande del tipo:

“Cos’è veramente un’Uomo?”

“C’è davvero una persona dietro quella maschera?”

“Che cosa maschera davvero la maschera? L’Uomo o le azioni che l’uomo fa?”

La minaccia è ancora più terribile, soltanto aggiungendo una maschera da pecora e il silenzio. Maschera e Silenzio = Terrore e inquietudine.

Il regista ci mostra questi assassini come degli esseri onnipotenti e sovrannaturali, ma la rottura di questo mostro, di questo alone d’ignoto che ci terrorizza, lo riporta coi piedi per terra ai nostri occhi, piantandolo letteralmente, con un chiodo a una trave di legno, facendolo bestemmiare e maledire chi l’avesse messo lì. La minaccia non sembra più così inarrestabile, infrangibile, è un uomo e nient’altro, può farsi male, è mortale come lo sono tutti gli altri. Da qui in poi assistiamo ad un “One Girl Show” che diventa una Terminator che tramortisce chiunque gli capiti davanti. Risulta esilarante la dinamica, la disfatta di tutta questa carneficina che è negli occhi di uno dei membri della famiglia e della sua ragazza, che guardano increduli la nostra Eroina sfasciare violentemente il cranio di uno degli aggressori…la realizzazione che fanno in quel momento è qualcosa di straordinario.

“E chi se lo aspettava che questa fosse una Killer addestrata a sopravvivere?”

Un deus ex machina imprevedibile, che interviene in una situazione dove la superiorità numerica, fisica e statistica fa pensare alla riuscita dell’invasione come ad un gioco da ragazzi. Se ciò non bastasse, mettiamoci anche la grande beffa che scaturisce da tutto l’avvenimento. Il disfacimento dei rapporti umani, per convenienza economica. Membri di una famiglia che premeditano l’omicidio degli altri componenti, per dividersi poi tutta l’eredità fra di loro, non solo non ottengono nulla, ma rimangono vittime del loro stesso piano. Come si dice?… Una giustizia poetica.

Riflessione sulle maschere

La maschera forse ci fà pensare a noi, abbiamo paura di ciò che l’uomo possa diventare, mettersi la maschera per l’uomo, è come togliersela, diventare qualcos’altro che vuole uscire, che ha dentro di lui ma non può farlo per cultura e paura del giudizio (di sé stesso e degli altri.) ma allo stesso tempo nascondersi da ciò che diverrà, come per proteggere se stesso dalle azioni che commetterà, per dissociarsi dal mostro in cui si trasformerà… Perpetrare gli impulsi più reconditi e soppressi dalla società in cui viviamo, senza provare vergogna, senso di colpa, umiliazione… Riparandosi dalla gogna e dai propri sentimenti, attraverso la maschera, con qualcosa che copra e ripari dalla paura di essere VISTO e riconosciuto.

Come se non potessimo accettare di essere anche noi diversi da come crediamo di essere, come se NON accettassimo la ferocia, gli impulsi, i desideri e le azioni che altri hanno, come se fossero cose che non ci appartengono, ci convinciamo che “NOI NON FAREMMO MAI CERTE COSE” per auto-rassicurarci sulla nostra integrità e sulla nostra identità.

Non mi arrabbio mai perchè ho paura di me stesso arrabbiato, e quindi mi convinco che io sono una persona buona, tranquilla gentile e comprensiva con tutti… Che se mi “arrabbio” gli altri mi vedrebbero in modo diverso, io mi vedrei in modo diverso… Come se in quel momento di rabbia identificassi tutta la mia persona, come se quell’istante compromettesse tutte le mie buone intenzioni, e mi bollerebbe come una persona cattiva, un primate spinto da istinti, irrispettoso e mi facesse venire sensi di colpa sull’essermi comportato così e di aver espresso quel sentimento. Quando in realtà bisognerebbe accettare e vedere quel momento come quello che è… un momento… come lo è quando ride, quando si piange, quando si caga, quando si dimostra affetto, lo è altrettanto quando esprimo rabbia, disappunto, contrarietà.

Cos’è che non va di questo atteggiamento è l’identificarsi solamente con quello e non accettare che puoi anche essere altro. E non c’è nulla di male, finché esprimi ciò che senti nei limiti consentiti, l’importante poi è andare oltre, e non focalizzarsi troppo su quel singolo magari insignificante evento, che percepiamo magari come un attacco, un’offesa, una limitazione, una oppressione, e ricordarsi che non si è quello che si pensa o che si dice, o meglio, NON sei unicamente quello che mostri di essere in quel momento.

La cosa fondamentale è non lasciarsi sopraffare, né dalle persone, né dalle situazioni, né dai pensieri, né dalle emozioni, a tal punto da impedirti di agire e di mettere in discussione tutta la tua persona. Non permettergli e non permetterti di farlo, non permettere a nessuno, sopratutto a te stesso di dirti quale sia il modo migliore per condurre la tua vita.

Non importa come pensi che tu o gli altri ti vedano, non puoi comportarti e adattarti in relazione a questo, per paura del rifiuto, del giudizio o della serenità comune, capisco che l’intenzione è quella di non creare Caos, ma se il Caos è soppresso deve venire fuori e scoppiare per poter essere bilanciato, risolto e riportare l’equilibrio a cui si dovrebbe aspirare. Così facendo si sta accontentando gli altri, mettendo da parte se stessi, sopprimendo la nostra personalità, il nostro volere. Non verrà nulla di buono da ciò…la cosa da fare è sapere gestire le emozioni, i pensieri, le situazioni e capire quando e come agire nel momento giusto. Se non prendi posizione per non offendere nessuno, fai un torto solo a te stesso. Verrai costantemente giudicato e visto per quello che fai, e che NON fai. E non puoi farci nulla, non puoi agire sugli altri, ma su di te.

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