
I contenuti dell'articolo:
Dogman
Titolo originale: Dogman
Anno: 2018
Genere: Drammatico
Produzione: Archimede, Le Pacte, Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 102 minuti
Regia: Matteo Garrone
Sceneggiatura: Ugo Chiti, Massimo Gaudioso, Matteo Garrone
Fotografia: Nicolaj Bruel
Montaggio: Marco Spoletini
Musiche: Michele Braga
Attori: Marcello Fonte, Edoardo Pesce, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi, Francesco Acquaroli, Alida Calabria, Gianluca Gobbi
Dogman è film diretto da Matteo Garrone, uscito in sala nel 2018, liberamente ispirato al brutale omicidio, avvenuto nel 1988 a Roma, per mano del così definito “Canaro della Magliana” Pietro De Negri, ai danni del criminale ed ex pugile dilettante Giancarlo Ricci. Ha riscosso un notevole successo di pubblico e critica, candidato a vari prestigiosi premi, vincendo nove David di Donatello, sei Nastri D’argento, e tre European Film Awards. E’ stato presentato al Festival di Cannes ricevendo il premio come Miglior Attore per Marcello Fonte. La pellicola è stata anche selezionata per rappresentare l’Italia agli Oscar 2019 nella categoria “Miglior film straniero”, ma senza entrare nella lista definitiva.
Trama di Dogman
Marcello abita nella periferia romana, in un quartiere difficile, ed è una persona apparentemente calma, timida e innocua. Gestisce un salone di toelettatura per cani, e si divide fra un matrimonio finito, l’amore per la figlia, lo spaccio di droga e l’amicizia complicata con Simoncino, ex pugile molto violento, temuto da tutti per il suo atteggiamento folle. Marcello viene continuamente sottomesso e seviziato da quest’ultimo, senza mai reagire, fino a quando, a seguito di una rapina eseguita principalmente da Simoncino con la sua complicità, viene arrestato e rinchiuso in carcere per un anno. Uscito di prigione, Marcello è incattivito e assetato di vendetta.

Recensione di Dogman
Matteo Garrone mette in scena un film che è una rappresentazione moderna della lotta alla sopravvivenza, il ritratto di un tipico emarginato, dell’uomo che il suo microcosmo ha reso debole, e che non ha scelta se non quella di ribellarsi al sistema in cui vive. I campi medi e lunghi del regista raffigurano una terra vuota, desolata, abbandonata alla sua violenza, con una fotografia dal caldo grigiore, sempre più desaturata mano a mano che la narrazione si avvicina al culmine della brutale catastrofe, quando la sete di vendetta necessita di essere soddisfatta. Marcello vaga, si arrampica alle pareti di una vita in cui chi la vince è il più forte, da cui non può che sottomettersi per sopravvivere, o forse per un sincero e pericoloso affetto nei confronti di Simoncino, che non può e non riesce a negare a sé stesso.

Un essere umano piccolo, che trasmette tenerezza e una paradossale serenità allo spettatore, che lo vede alle prese con il suo lavoro a contatto con i cani, di cui si prende cura, e che è forse l’unica specie terrestre con cui il nostro protagonista riesce davvero a vivere in serenità e perfetta sintonia. L’unico essere che sa come gestire, come rendere mansueto, con cui sa come comunicare. La scena e l’inquadratura in cui Marcello sta lavorando nel suo salone su un cane di grossa taglia che appare sovrastarlo con la sua imponenza, facendolo apparire come un uomo ancora più piccolo e indifeso, risulta essere quasi commuovente per lo spettatore.

Un film che dimostra quanto l’ambiente in cui si cresce e in cui spesso si è costretti a sopravvivere, ci rende quelli che siamo; le sfumature e le linee di confine sono labili, qui nessuno è davvero colpevole come nessuno è innocente. Il vivere in cattività non può che renderti aggressivo, ed è proprio questo il paradosso che viene messo in scena: per emergere dalla violenza devi usarne altrettanta. Marcello non ha scelta; per salire dal fondo, per essere libero, deve mettere in gabbia il suo seviziatore. Alla fine porterà il conseguimento della sua vendetta sulle spalle, come un trofeo vorrà mostrarlo, per rendersi migliore agli occhi degli altri, più forte, il vincitore, ma Marcello è solo. L’ultima inquadratura, campo lungo, lo vede impotente e minuscolo in quell’ambiente solitario, triste ed ostile. Si è liberato dal ruolo di vittima, ma la sua vittoria è momentanea, e ne trae un godimento apparente; anche lui è in gabbia. E lo sarà per sempre.

Dogman è un’opera che apre le porte su una triste realtà del nostro paese, rappresentandola con freddezza, severità e, allo stesso tempo, pietà per il protagonista, una colpevole vittima del suo mondo. Un film meritevole di essere guardato con attenzione e consapevolezza.
Note positive
- Interpretazioni autentiche e magistrali
- Regia ottima
- Fotografia ispirata e simbolica
Note negative