E morì con un Felafel in mano (2001): una storia bizzarra di improbabili traslochi

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Locandina di E morì con un felafel in mano

E morì con un felafel in mano

Titolo originale: He Died with a Felafel in His Hand

Anno: 2001

Nazione: Australia, Italia

Genere: Drammatico

Casa di produzione: Notorious films,

Distribuzione italiana: Fandango

Durata: 107 minuti

Regia: Richard Lowenstein

Sceneggiatura: Richard Lowenstein, John Birmingham

Fotografia: Andrew De Groot

Montaggio: Richard Lowenstein

Attori: Noah Taylor, Emily Hamilton, Romane Boringer, Sophie Lee, Alex Menglet, Damian Walshe-Howling, Francis McMahon

Trailer originale di E morì con un Felafel in mano

E morì con un felafel in mano è un dramedy di produzione italo-australiana del 2001, diretto da Richard Lowenstein e basato sul romanzo autobiografico di John Birmingam. Il film rispetto al libro usa una forma frammentaria e aneddotica per raccontare degli accaduti del protagonista Danny e aggiunge inoltre, punti di vista diversi dei vari personaggi già presenti nel libro, ma ai quali in quest’ultimo, non viene dato alcun peso narrativo. Il film grazie alla sua originalità si considera un cult del cinema australiano.

Trama di E morì con un Felafel in mano

E morì con un felafel in mano, racconta la storia di un giovane aspirante scrittore, Danny, che si ritrova a cambiare casa per una serie di sfortunati eventi concentrandosi in particolare su tre case in cui Danny abita. Nella quarantasettesima abitazione, a Brisbane, il protagonista vive con altri sette coinquilini che decidono di affittare una stanza ad Anya una ragazza straniera e taciturna che poco dopo organizzerà un rito pagano al quale si aggregheranno dei naziskin che sfasceranno casa. Nella quarantottesima casa, a Melbourne, Danny viene minacciato dalla polizia di non raccontare in giro che hanno sparato ad un suo coinquilino durante un blitz antidroga, capendo quindi che non tira più aria, si trasferisce a Sydney, nella sua quarantanovesima casa. Lì, il protagonista, si ritroverà a convivere con personaggi bizzarri del calibro di una attricetta di soap-opera con continue crisi nevrotiche, un biondo body builder rincretinito che non fa altro che riperdere incessantemente la frase “sono tutti molto interessanti, vero?” e un germofobico maniaco della pulizia che all’improvviso fa un coming out isterico, solo per ricevere attenzioni. Nel vorticoso caos di tutte queste vicende un importante fatto mette finalmente un punto alla vita stravagante di Danny: il suo migliore amico, Flick, muore stecchito a causa di una overdose davanti alla tv con un felafel in mano. Questo evento segnerà per Danny una nuova presa di coscienza di cosa è veramente importante nella vita liberandolo dalla gabbia del suo sfrenato egocentrismo.

Fotogramma di E morì con un felafel in mano
Fotogramma di E morì con un felafel in mano

Recensione di E morì con un Felafel in mano

La scena iniziale si apre con il video musicale di Golden Brown, Danny guarda ipnotizzato la televisione prima di inveire contro Flip per sollecitarlo a spegnere a causa dell’ora tarda accorgendosi che il suo amico è morto. La scelta di “E morì con un falafel in mano” di incominciare dalla fine è una scelta brillante quanto azzardata: la diminuzione dell’effetto sorpresa sul finale è dietro l’angolo. Tuttavia, grazie ad una scrittura magistrale che riesce a far distrarre lo spettatore con eventi sempre più clamorosi e trascinanti, si arriva sul finale dove si è completamente dimenticato il nome di quell’uomo paralizzato davanti alla tv, garantendo così un doppio effetto sorpresa. Non solo in questo espediente narrativo si può denotare la bravura dello sceneggiatore e regista Richard Lowenstein ma soprattutto nei dialoghi che intercorrono tra i personaggi che sono infatti molto ben scritti e sebbene assumano le forme di “macchiette” non perdono di realismo, facendoci rattristare e allo stesso tempo strappandoci anche un sorriso. Il film è frutto della cultura pop, molte sono infatti le citazioni e i rimandi delle hit musicali e dei cult cinematografici della cultura mainstream statunitense. Lo stesso protagonista Danny, infatti, dice che il suo stile di scrittura si ispira a Jack Kerouac. Per fare un altro esempio: una delle primissime scene iniziali in cui i coinquilini discutono della sessualità di Mr.White e Mr Orange, personaggi del film le “Iene” mentre sono in cerchio, facendo così una citazione della scena iniziale del celebre film di Quentin Tarantino mentre, nel frattempo, Danny strimpella California Dreaming alla chitarra. Un’altra nota interessante è la critica più o meno velata al femminismo della terza ondata rappresentato dal personaggio di Anya, una donna conturbante e un po’ naif che si erge come paladina della distruzione del patriarcato, i quali tentativi di rivoluzione però si limitano a riti magici e frasi lasciate in sospeso. Il film è innovativo anche nella sua rappresentazione della società odierna,i coinquilini sono infatti un melting pot di persone sia asiatiche che europee con anche una rappresentazione (rara in quel periodo) di una coppia omosessuale (Anya e Sam) non stereotipata. In generale lo stile del film si ispira al movimento artistico del postmodernismo, gli eventi si susseguono, in un continuo ciclo di costruzione e decostruzione, lasciando allo spettatore una sensazione di frammentarietà e costringendolo ad assumere un ruolo partecipe nell’interpretazione della pellicola.

La narrativa postmodernista si caratterizza per il disordine temporale, il disprezzo della narrazione lineare, la commistione delle forme e la sperimentazione nel linguaggio

Barry Lewis, Kazuo Ishiguro

Per compensare, la regia invece è tutt’altro che contorta e non si spende in movimenti di macchina troppo complessi ma resta lineare e statica per dare un maggior risalto alla storia e ai personaggi. La direzione degli attori è stata volta a valorizzare ancora di più la componente grottesca della storia.

E morì con un felafel in mano
E morì con un felafel in mano

In conclusione

La direzionalità degli attori, la regia minimale e le battute taglienti sono le colonne portanti del film, il tutto incorniciato da una struttura della sceneggiatura che non dà spazio a scene superflue, riuscendo a tenere alta l’attenzione dello spettatore. Tuttavia, proprio per il suo mood che si rifà al postmodernismo la storia potrebbe risultare a tratti eccessivamente intellettuale e vacua.

Note positive

  • La sceneggiatura intrattiene
  • Ottima direzione degli attori

Note negative

  • La storia a tratti risulta vacua
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