Flowers in the City Jail (1984). Vivere in un carcere femminile a Manila City

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Locandina di Flowers in the City Jail (1984)

Flowers in the City Jail

Titolo originale: Bulaklak sa City Jail

Anno: 1984

Nazione: Filippine

Genere: drammatico

Casa di produzione: Cherubim Films

Distribuzione italiana:

Durata: 1h 50min

Regia: Mario O’Hara 

Sceneggiatura: Lualhati Bautista

Fotografia: Johnny Araojo

Montaggio: Efren Jarlego

Musiche: Tony Aguilar

Attori: Nora Aunor, Gina Alajar, Celia Rodriguez, Perla Bautista, Ricky Davao, German Moreno

Trailer di Flowers in the City Jail

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Mario O’Hara (1946-2012) è stato uno dei massimi esponenti del cinema filippino di denuncia e di realismo della propria nazione, sapendo cogliere e raccontare, con estrema crudezza, la società filippina dei suoi anni. L’autore, nonostante venga ancora apprezzato in patria, appare semisconosciuto all’estero, soprattutto in Europa e in Italia in cui risulta alquanto complesso riuscire a visionare, in maniera legale, le pellicole di questo cineasta asiatico, che giungono al pubblico solo grazie a qualche festival cinematografico come il Far East Film Festival, che giunto alla sua 25 edizione, ha distribuito dal 21 al 30 aprile 2023, Bulaklak sa City Jail, a venticinque anni dalla sua uscita, avvenuta nel 1984, in una versione in lingua originale con sottotitoli in italiano restaurata in 2K nel 2019. Mario O’Hara non è stato però solo un regista e sceneggiatore, ma ha ricoperto anche il ruolo di attore, soprattutto nei primi film di Lino Brocka, come nei lungometraggi tivi Stardoom, Dipped in Gold (Tubog sa ginto), o Weighed but Found Wanting (Tinimbang Ka ngunit Kulang), in cui dà vita a dei bizzarri personaggi. In seguito ha svolto il ruolo di regista teatrale, drammaturgo e di annunciatore radiofonico, oltre a scrivere un dramma televisivo, ripreso successivamente da Lino Brocka per il suo famoso film Insiang (1976), primo lungometraggio filippino che abbia mai partecipato al Festival Di Cannes. 

Dopo aver diretto svariati sceneggiati negli anni Settanta, in cui scoprì alcune grandi dive del cinema filippino come Alma Moreno o Rosa Rosa, realizza uno dei suoi film di maggior successo Three Years Without God (Tatlong Taong Walang Diyos, 1976) e successivamente intraprende una collaborazione artistica con l’attrice Nora Aunor in Castle of Sand (1981) o  Why Is the Sky Blue? (1981) e Bulaklak sa City Jail (Flowers in the City Jail; 1984). Una dei suoi lavori di maggior peso sociale risulta The New King (Bagong Hari, con Dan Alvaro), un opera audace che è stata censurata e che uscì solo in seguito, quando la “Rivoluzione del Potere Popolare” stava per spodestare il dittatore e militare Ferdinand Marcos (1917 – 1989). 

Trama di Flowers in the City Jail 

Angela (Nora Aunor) è una cantante di un Night Club, che un giorno viene accusata di tentanto omicidio della moglie del suo amante. La giovane viene così condotta in un carcere femminile filippino, in attesa di ricevere una sentenza definitiva sul suo caso. La ragazza entra così in contatto con un mondo duro e crudele a lei sconosciuto, in cui si ritrova vittima della gerarchia delle detenute e degli abusi fisici e psicologici delle autorità penitenziarie che trattano quelle donne che proprietà loro, privandoli di una loro libertà interiore, in un mondo fatto di costanti umiliazioni e violenze. In questo clima Angela scoprirà di essere incinta del suo amante, un evento che la sconvolge nel profondo. Come può far nascere un bambino in quel luogo? Come può però abbandonarlo? Angela si troverà a un bivio: abortire o partorire, trovando un modo per scappare, però, da quel mondo di autorità e tortura?

Flowers in the City Jail (1984)
Flowers in the City Jail (1984)

Recensione di Flowers in the City Jail 

In patria la pellicola ottenne un ottimo successo, soprattutto presso il Metro Manila Film Festival dove ha ottenuto i premi per la migliore regia e per la migliore attrice a Nora Aunor, che ci dona un interpretazione magistrale piena di carisma, rivestendo i panni della protagonista Angela, una donna innocente che si ritrova inghiottita in un mondo che non gli appartiene. Seppur con poche battute, Nora Aunor riesce a farci comprendere l’essenza del suo personaggio, di una donna minuta che possiede in sé un’enorme forza interiore che le permette di mantenersi “virtuosa” in un mondo fatto di disperazione, di cattiverie reciproche e di violenza. Angela lotta con sé stessa, rifiutando gli usi e i costumi delle regole del carcere, non piegandosi al volere delle autorità maschili, che vedono le donne solo come carne e corpi da portare a letto e far abortire, nel caso in cui rimangono incinte. Angela si trasforma, è costretta a cambiare a causa degli eventi, passando dall’essere un personaggio fragile, privo di consistenza, al divenire un carattere forte, che sa bene cosa volere dalla vita e per che cosa lottare, ovvero, per suo figlio in grembo. La scoperta di avere una vita dentro di sé, la spaventa, la terrorizza, la fa cadere entro dubbi morali, ma allo stesso tempo risulta la sua ancora di salvezza, dandogli la forza di combattere contro i pregiudizi e la cattiveria del carcere, imparando anche a sopportare le dure botte dei manganelli o la solitudine di una cella d’isolamento. A livello d’interpretazione però non solo la Aunor svolge un lavoro maestoso ma tutte le interpreti femminili danno prova di un’ottima performance recitative, soprattutto quelle delle due attrici feticcio di Lino Brocka, Gina Alajar (Juliet) e Celia Rodriguez (Luna). 

Il regista e sceneggiatori O’Hara crea una storia ben strutturata, in grado di farci vivere e scoprire a 360°  il mondo della prigionia con le sue regole di sopravvivenza, a cui ogni incarcerata deve sottostare. Il cineasta ci trascina dentro un mondo di estrema violenza, sia da parte dei carcerieri sia da parte di capi – prigionieri, quelle donne violente che, per ottenere vantaggi personali, sono disposte a compiere qualsiasi cosa, perfino ferire fisicamente le altre donne. La sceneggiatura e la regia riescono a raccontarci questo ecosistema di vite con estremo realismo, conducendoci entro dei drammi personali di donne che, a causa di alcuni sbagli, hanno perso tutto nella vita. Abbiamo femmine che lottano per ritornare dai loro figli, donne che impazziscono alla scoperta che la loro bambina è deceduta e donne che ci uccidono per amore. Flowers in the City Jail non ci racconta solo il dramma di Angela ma quello delle povere donne che si ritrovano a vivere in condizioni miserabili, in un ambiente in cui perdono la loro libertà di esistere. Il film ci racconta la storia con un estremo realismo, scenografico – fotografico e recitativo, con una sceneggiatura che non ci va a mostrare tutti i fatti, facendoceli soltanto intuire, ad esempio non vediamo il momento in cui la nostra protagonista scopre di essere incinta, ma lo intuiamo. Il montaggio è probabilmente l’elemento, l’unico, di maggior insuccesso della pellicola, con alcuni tagli e attacchi che non convincono. 

La protagonista di Flowers in the City Jail (1984)
La protagonista di Flowers in the City Jail (1984)

In conclusione

La storia convince, funziona catapultandoci dentro il mondo della prigionia, attraverso personaggi interessanti e ben scritti. Peccato per il montaggio, non del tutto convincente.

Note personaggi

  • Interpretazioni
  • Regia

Note negative

  • Montaggio
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