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Spoiler Alert
Titolo originale: Spoiler Alert
Anno: 2022
Nazione: Stati Uniti
Genere: Drammatico, Commedia
Casa di produzione: Semi-Formal Productions, That’s Wonderful Productions
Distribuzione italiana: Lucky Red, Universal Pictures International Italy
Durata: 112’
Regia: Michael Showalter
Sceneggiatura: David Marshall Grant, Dan Savage, Michael Ausiello
Fotografia: Brian Burgoyne
Montaggio: Peter Teschner
Musiche: Brian H. Kim
Costumi: Claire Parkinson
Attori: Jim Parsons, Ben Aldridge, Sally Field, Josh Pais, Allegra Heart, Jeffery Self, Braxton Fannin, Brody Caines, Tara Summers, David Marshall Grant, Nhumi Threadgill, Nikki M. James, Jason Gotay, Bill Irwin
Trailer di Spoiler Alert
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Uscito nelle sale il 01 giugno 2023, il film è tratto dal romanzo autobiografico Spoiler Alert: The Hero Dies di Michael Ausiello. L’autore del romanzo chiese a Jim Parsons – noto a molti come Sheldon Cooper della serie tv The Big Bang Theory – di fare da moderatore a un incontro con il pubblico: l’attore fu talmente colpito dalla storia che decise di portarla sul grande schermo.
Il titolo è un richiamo all’apertura del film, che mostra la scena finale palesando l’epilogo della storia.
Trama di Spoiler Alert
Protagonista è la storia d’amore tra Michael e Kit – interpretati da Jim Parsons e Ben Aldridge. Il primo è un giornalista che si occupa di programmi tv, ex bambino grasso che si porta ancora le cicatrici del suo passato. Il secondo è un fotografo, poco incline alle relazioni stabili, che rimane affascinato dall’originalità di Michael. Il loro amore percorrerà quattordici anni, fra alti e bassi, e troverà il suo acme drammatico nella malattia che porterà alla morte di Kit.

Recensione di Spoiler Alert
In linea con il film, esprimerò il mio giudizio: film dalla lacrima facile, il massimo del commerciale e critici come Sanguineti avrebbero aborrito. Il lavoro di Michael Showalter è il classico prodotto fatto e finito per piacere a una massa non troppo esigente e facilmente raggiungibile con l’uso del melodramma strappalacrime. Del resto, il curriculum del regista è abbastanza modesto e lo stesso pare voglia continuare su questa linea, finendo nel limbo degli artisti ignavi. Nello specifico: in questa pellicola non ci sono inquadrature particolari, non ci sono scelte registiche degne di nota, prevalgono – ma neanche tanto – gli attori ma soprattutto la storia.
Molti registi fanno dei passi indietro quando ritengono il racconto di primaria importanza, lasciando quindi agio alle parole e alle immagini di fluire in maniera più immediata ed efficace. E, forse, Showalter – che per onestà di pensiero, non ha né colpe né meriti per quanto riguarda la sceneggiatura – non si è reso conto che ciò che doveva raccontare era estremamente debole. Poco importa se poi cerca di identificare il più possibile la narrazione a un pubblico queer oriented, con scelta di canzoni e situazioni che, per quanto vicine alla realtà LGBTQI+ sono anche oramai abusate e usate per stereotipare.
Il film è tratto dal romanzo autobiografico di Michael Ausiello che, pare, volesse con il suo libro far intendere come anche gli eventi negativi debbano essere accettati e affrontati nel migliore dei modi. Il che fa molto zen, e ci fa piacere che Ausiello abbia affrontato il suo difficile percorso di vita con tanta pace e consapevolezza. Ma si rasenta davvero il barocco dei buoni sentimenti il cui apice viene raggiunto quando Michael fa venire l’amante del marito al capezzale di Kit, lasciandoli anche in solitaria intimità. Non solo: all’uscita dell’amante dalla stanza, lo va anche a consolare con un abbraccio fraterno. Tutto così esagerato nell’esposizione del buon samaritanesimo che oltre ad essere stucchevole risulta quanto di più falso, ma sicuramente aggancia la facile emotività di chi si accontenta di una storia pseudoromantica.

La sceneggiatura è talmente banale e zuccherina che non poteva esimersi dall’includere la mamma di uno dei protagonisti stereotipata: buona, affettuosa, iperpresente nella vita del figlio e che è pure queer friendly – e chissà come mai il figlio aveva paura ad uscire dal suo closet con lei. Sally Field l’abbiamo già vista in parti simili, tanto che sta diventando un po’ ridondante: la ricordiamo mamma di Julia Roberts – il cui personaggio morirà di diabete – in Fiori d’acciaio piuttosto che matriarca della famiglia Walker nella serie tv Brothers & Sisters. La Field primeggia indubbiamente su tutti, per la sua bravura, ma forse avrebbe potuto dare sfumature diverse se seguita meglio.
Jim Parsons, nelle vesti di Michael, cerca in tutti i modi di togliersi di dosso i panni di Sheldon Cooper e quindi si cimenta in ruoli particolarmente drammatici che, però, non gli fanno raggiungere il traguardo agognato: Parsons, con quel sorriso e quegli atteggiamenti dinoccolati, sarà ancora uno Sheldon – forse meno borderline – e lo rimarrà finché non deciderà di mettersi più in gioco – cosa di cui son certo sia capace ma che, forse per comodità, evita. L’occasione poteva essere l’approfondimento dell’aspetto psicologico di Michael legato al suo essere stato un bambino grasso. E invece lo ritroviamo alle prese con improbabili collezioni puffose piuttosto che emulatore di scene melodrammatiche di film iconici – il richiamo a Voglia di tenerezza (1983) è palese quando si ritrova a litigare con l’infermiera.

Ben Aldridge – che abbiamo già visto in un altro ruolo queer in Bussano alla porta (2023) – si ritrova imbrigliato nella parte di Kit ed è come se fosse stato abbandonato a sé stesso nell’interpretazione di un malato terminale: la sua sofferenza, la sua rabbia e anche la sua fisicità sembrano più una rielaborazione personale di qualche cosa a lui poco nota – e la storia del cinema invece è pregna di attori che hanno interpretato magistralmente personaggi nella stessa situazione fra cui Tom Hanks in Philadelphia o Matthew McConaughey in Dallas Buyers Club. In conclusione: sia lui che Parsons hanno dimenticato come applicare Strasberg al meglio.
Se la fotografia dà il suo meglio, soprattutto negli ambienti chiusi – in cui sfrutta i contrasti e i giochi di luce – i costumi sono modesti, quasi casuali. Il montaggio pare effettuato da chi rimane un mero esecutore del taglia-cuci indicatogli piuttosto che un professionista con una propria visione artistica. Le musiche sono azzeccate anche se, rimanendo in linea con il resto del lavoro, sono scontate. L’idea degli sceneggiatori del misenabismo show tv-realtà, che potrebbe creare un punto di vista interessante, non viene sfruttata e pare più un espediente per ridare leggerezza a Parsons, non propriamente a suo agio a reggere la drammaticità nel lungo periodo.
In conclusione
La produzione ha cercato di confezionare un prodotto facilmente vendibile al pubblico gay friendly: colonna sonora gradevole, storia strappalacrime, due attori protagonisti che non fanno mistero della loro omosessualità. Insomma, tutto ciò che può esserci di esca è stato usato – eccezion fatta per il sesso. È un lavoro sicuramente vedibile, non impegnativo, ma ben lontano da ciò che farebbe piacere vedere in un film a evidente tematica: nulla a che vedere con Pride (2014) – giusto per indicarne uno. Se non si è portati alla lacrima facile, si corre il rischio di concludere di aver perso quasi due ore che si potevano dedicare piacevolmente ad altro.
Note positive
- Commercialmente funzionale
- Misenabismo divertente e interessante
Note negative
- Attori non al massimo delle possibilità
- Regia banale, così come la storia