L’estate in cui imparammo a volare: Un’amicizia senza limiti

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Teaser italiano di L’estate in cui imparammo a volare

Disponibile su Netflix a partire dal 3 febbraio 2021, L’estate in cui imparammo a volare è una serie originale in dieci puntate (della durata di circa 50 minuti). Ideata da Maggie Friedman (sceneggiatrice di 10 episodi di Dawson’s Creek), è ispirata al romanzo Firefly Lane (2008) di Kristin Hannah. Nel cast figurano Katherine Heigl (anche produttrice esecutiva), Sarah Chalke (nota per una parte nella serie Scrubs), Ben Lawson, Roan Curtis e Ali Skovbye. Una curiosità riguarda la scrittrice del libro, che nel 2021 vedrà la trasposizione cinematografica anche di The Nightingale (2015) per la regia di Mélanie Laurent con le sorelle Dakota Fanning e Elle Fanning.

Trama di L’estate in cui imparammo a volare

Quando, nel 1974, una giovane Kate (Roan Curtis, poi Sarah Chalke) incontra la nuova arrivata Tully (Ali Skovbye, poi Katherine Heigl), una grande amicizia è pronta a stabilirsi lungo Firefly Lane. L’inizio non è certo dei più scontati, ma tra loro si instaura spontaneamente un legame che, oltre a regalare momenti indimenticabili, resta costante fino al presente, aiutando le amiche a superare anche le svolte più inaspettate…

Recensione di L’estate in cui imparammo a volare

Iniziando a scrivere un articolo su L’estate in cui imparammo a volare, viene quasi spontaneo cominciare da Katherine Heigl. L’attrice nata a Washington, che nella serie distribuita da Netflix interpreta la conduttrice di talk-show Tully Hart, sembra ispirare l’intera sceneggiatura, nonostante questa sia tratta dal romanzo scritto da Kristin Hannah. Per comprenderlo, basta scrivere poche righe sulla carriera della Heigl: nominata a due Golden Globe per Grey’s Anatomy, protagonista di successi pop come Killers (R. Luketic, 2010), Tre all’improvviso (G. Berlanti, 2010) e Capodanno a New York (G. Marshall, 2011), negli ultimi anni ha trovato meno spazio nel panorama di Hollywood, pur realizzando delle buone performances e sostituendo Meghan Markle nella serie Suits. Un periodo complicato, se così può essere considerato, che però ha incrociato l’estro creativo di Maggie Friedman (Dawson’s Creek), decisa a sviluppare una nuovo progetto tratto da quel libro che nell’edizione originale è intitolato Firefly Lane.

Ed ecco che la Heigl diviene sparring partner di Sarah Chalke, oltreché produttrice esecutiva, di una serie dalle alte potenzialità ma anche, analizzando lo stile dei cinque registi coinvolti (Peter O’Fallon, Vanessa Parise, Lee Rose, Anne Wheeler e Fred Gerber), caratterizzata da un rischio calcolato. Sia chiaro, non che tale aspetto possa comportare una nota negativa. L’estate in cui imparammo a volare segue il classico e affidabile schema di una serie tv statunitense incentrata sulla solida amicizia tra due persone: l’istrionica Tully Hart contrapposta alla (quasi) nerd Kate Mularkey. Ma la trasposizione del romanzo di Kristin Hannah è anche impostata su temi in grado di renderla unica. L’idea, per esempio, di suddividerla in un arco temporale relativamente esteso (principalmente dal 1974 al 2005), determina un’ambizione, non solo correlata alle diverse età da rappresentare (di buon livello l’utilizzo della tecnologia CGI), ma anche per la caratterizzazione di una parte della società del tempo. Considerando tale aspetto, è interessante l’atipica amicizia tra Kate, appassionata lettrice dei romanzi di Tolkien, e Tully, contrariata passeggera su un Volkswagen T2 Bay. Le due adolescenti, divise soltanto dalla striscia asfaltata di Firefly Lane, cominciano infatti a cercarsi, nonostante Tully possa apparire, in una classica logica da teen comedy, come la tipica ragazza del quarterback della scuola.

Ma poi giungono le difficoltà: dalle dinamiche interne alla famiglia di Kate (con un rimando alle tipiche raffigurazioni di David O. Russell), alla “folle” libertà di Nuvola (buona l’interpretazione di Beau Garrett nella versione 1974), madre di Tully, capace comunque di trasformare repentinamente la quotidianità in un momento unico e di regalare frasi come: “Hai una luce dentro. Non scordarti di brillare”. L’unico (grande) problema di entrambe le famiglie, può essere considerata la destinazione delle loro attenzioni. Se Nuvola dà consigli alla vicina Mularkey, invece che alla figlia; Tully è al centro della vita di Paul e Chelah, genitori di Kate che non reputano sbagliato farla accomodare tra loro durante la festa per i venticinque anni di matrimonio. Situazioni che comportano un reciproco annullamento, producendo in Tully e Kate un’irresistibile voglia di avventure, libertà, amicizia. Quella che le definisce al meglio, poiché, nonostante il trascorrere del tempo (e delle mode), le due “vicine” perseverano nel loro sodalizio, entrando nella rete televisiva KPOC, incontrando l’ambizioso produttore Ryan interpretato da Ben Lawson, e poi confrontandosi (Tully su tutti) con la conduttrice di talk-show Carol Mansour (Kirsten Robek).

Quest’ultima, sebbene rivesta un ruolo non da protagonista, esercita un significato molto importante nella serie. Perché L’estate in cui imparammo a volare, come precedentemente scritto, deriva verso temi secondari in grado di incrementare l’interesse dello spettatore. Uno di questi è certamente il mondo televisivo, con le sue celebrities o aspiranti tali disposte a tutto pur di rimpiazzare la “titolare”. Ciò che avviene negli anni Ottanta proprio a spese di Carol, soppiantata dall’esuberante Tully, che però, nel 2003, si trova a condurre un programma dagli ascolti in fase calante e a controbattere alla giovane redattrice Kimber Watts (Jenna Rosenow). Uno “stallo” della carriera che induce a riflettere sul presente dei network televisivi, sulla realizzazione di notizie che non possono definirsi tali e sul mancato apprezzamento di quelle reali. Ma poi c’è lei, Katherine Heigl (più che Tully), attrice capace di immedesimarsi con un personaggio che esprime sempre un vuoto interiore e uno sguardo in cui, anche nei momenti più divertenti, si riconosce molta tristezza. La stessa che la rende una “tempesta” per Kate; la stessa che le fa pronunciare: “Fa paura ottenere quello che si vuole”. Una frase che rende Tully ben più fragile di Mularkey, e proprio per questo fortemente empatica per via della sua ostinazione nel nasconderlo, nel raggiungere degli obiettivi capaci di far dire a Nuvola un semplice wow. Ciò che Tully sembra aspirare da tutta la vita. Tra momenti difficili e successi. Tra scandali e svolte inaspettate. Affrontate, però, sempre in compagnia della sua amica Kate.

Note positive

  • Le interessanti sequenze di transizione temporale
  • Le sfumature nell’interpretazione di Katherine Heigl, anche apprezzabile nell’evitare di rendere la serie Tully-centrica (essendo produttrice esecutiva)
  • Le musiche

Note negative

  • Più che una nota negativa, una considerazione: ovvero la maggiore intensità e imprevedibilità applicabile in alcune scene
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