
L’età dell’innocenza
Titolo originale: L’età dell’innocenza
Anno: 2021
Genere: documentario
Casa di produzione: Riccardo Annoni, Start, Rai Cinema, Ventura Film, RSI Radiotelevisione Svizzera
Distribuzione: Wanted Cinema (2022)
Durata: 75′
Regia: Enrico Maisto
Sceneggiatura: Enrico Maisto, Chiara Brambilla
Fotografia: Enrico Maisto
Montaggio: Davide Minotti
Musiche:
Attori: Enrico Maisto, Anna Conforti, Francesco Maisto
Il docufilm di Enrico Maisto è la sua autobiografia prodotta in sette anni di girato. Ha vinto nel 2021 il premio come Miglior documentario al 62. Festival dei popoli.
Trama di L’età dell’innocenza
Enrico è figlio unico, messo al mondo da due magistrati in tarda età. Quando compie trent’anni, i suoi genitori sono anziani, in pensione, e si rende conto di quanto poco abbia condiviso con loro della sua vita. Anna, la madre, non sa nulla di lui: neppure se gli piacciono le donne o gli uomini. Infondo, con la scusa dell’amore per il cinema, Enrico si è sempre nascosto dietro a una telecamera e oggi – proprio grazie alla telecamera – decide di svelare molti aspetti della sua vita: la sua identità di figlio, la sua natura ancora un po’ infantile, l’amore viscerale e avvolgente della madre.

Recensione di L’età dell’innocenza
L’autobiografia di Enrico Maino è un diario scritto giorno dopo giorno in soggettiva, che ci restituisce dinamiche familiari interessanti e senza dubbio molto frequenti: i suoi genitori, che hanno speso gran parte della vita quasi assorbiti dal lavoro, invecchiano senza sapere granché del loro figlio che nel frattempo cresce e decide di andare a vivere altrove. Nel loro rapporto quotidiano si percepisce un legame molto intenso, soprattutto con la madre Anna, donna forte e forse talvolta ingombrante, premurosa di vedere il figlio sistemato, magari sposato con una donna (chissà) che gli piaccia veramente. Che non sia troppo simile a lei ma neppure agli antipodi: una donna scelta per amore e non per assecondare una dinamica insana.
Enrico è un trentenne fortunato, che ha coltivato fin da piccolo la sua passione per il cinema: passione che i genitori hanno sempre sostenuto e accolto, al punto da lasciarsi rincorrere e filmare nei luoghi e nei momenti più intimi e riservati. Ma la sua paura di crescere (di scalare il vulcano) rimane evidente, imbalsamata nell’amore incondizionato di due genitori che lo vorrebbero libero ma senza subire il distacco, la perdita, il lutto. La telecamera diventa un occhio che indaga e svela, senza giudicare, senza omettere niente: una testimonianza onesta, coraggiosa, coinvolgente perché comunica punti di vista veri, non artefatti. La soggettiva della telecamera a mano non è mai banale e rare volte viene interrotta da filmati d’archivio, realizzati nel passato sempre dal regista.
Il profilo dei personaggi è limpido e lascia allo spettatore la libertà di trarre conclusioni o di riflettere su eventuali punti di contatto emotivo. Le immagini sono intense, anche nella loro voluta sporcatura, con un montaggio che aiuta l’immaginazione. Notevole l’interpretazione di Anna, giudice in pensione, perfettamente a suo agio davanti al terzo occhio del figlio che la scruta ed invade.

In conclusione
Note Positive
- Tematica molto attuale che, sebbene molto intima, propone uno spaccato sociale che merita considerazione
- Inquadrature e montaggio
Note negative
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