Mother and a Guest (1961). La casa delle vedove

Recensione, trama e cast del film sudcoreano Mother and a Guest (1961), per la regia del cineasta Shin Sang-ok
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Locandina di Mother and a Guest

Mother and a Guest

Titolo originale: Sarangbang sonnimgwa eomeoni

Anno: 1961

Nazione: Corea del Sud

Genere: Drammatico, Sentimentale

Casa di produzione: The Union Films

Distribuzione italiana: Non disponibile

Durata: Circa 98 minuti

Regia: Shin Sang-ok

Sceneggiatura: Kim Kang-yun

Fotografia: Kim Jong-rae

Montaggio: Kim Hee-su

Musiche: Han Sang-ki

Attori: Choi Eun-hee, Kim Jin-kyu, Hwang Jung-seun, Han Eun-jin

Trailer di Mother and a Guest (1961)

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Trasposizione cinematografica del romanzo best-seller pubblicato nel dicembre 1935, “사랑손님과 어머니” dello scrittore e poeta Chu Yo-Sup, “Mother and a Guest” è un lungometraggio sentimentale diretto dal cineasta coreano Shin Sang-ok (1926-2006). Sebbene poco conosciuto in Italia, Shin Sang-ok ha diretto ben settanta pellicole nel corso della sua carriera, tra cui sette film commissionati per la Corea del Nord, tra cui Pulgasari (1935), una versione nordcoreana del film giapponese Godzilla del 1954.

Il film “Mother and a Guest”, reso possibile dal successo del colossal del 1961 “Seong Chun-hyang”, sempre diretto da Shin Sang-ok, è stato distribuito nei cinema sudcoreani il 26 agosto 1961. In Italia, la pellicola è stata presentata fuori concorso alla 23ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, vinta ex aequo dai film Cronaca Familiare di Valerio Zurlini e L’infanzia di Ivan (Ivanovo Detsvo) di Andrej Tarkovskij.

Nel 1962, Mother and a Guest ha ottenuto un buon apprezzamento da parte della critica, conquistando numerosi premi cinematografici tra cui il premio APFF Award al miglior film all’Asia-Pacific Film Festival, il premio per la miglior regia e la miglior sceneggiatura ai Grand Bell Awards del 1962, e il premio come miglior film ai Buil Film Awards.

Trama di Mother and a Guest 

Ok-hee vive con la nonna paterna (Han Eun-jin), la madre (Choi Eun-hee) e la governante (Do Geum-bong) in una dimora nota come “casa delle vedove”. Tale denominazione deriva dal fatto che tutte e tre le donne della residenza hanno perso il marito. Un giorno, tuttavia, fa la sua comparsa nella dimora il signor Han, un pittore amico dello zio di Ok-hee, fratello della madre, che affitta una stanza nella “casa delle vedove” per un periodo indeterminato.

Ben presto, la piccola Ok-hee si avvicina sempre più a quell’uomo sconosciuto, instaurando con lui un profondo legame, anche perchè Ok-hee non ha mai conosciuto suo padre, deceduto prima della sua nascita. La presenza del pittore agita anche l’animo della madre di Ok-hee, giovane vedova di ventotto anni, che inizia a provare dei sentimenti verso il Signor Han. Tuttavia, questi sentimenti sono considerati peccaminosi secondo la tradizione coreana, che impone che una vedova rimanga tale. Parallelamente, anche il Signor Han inizia a provare un amore profondo per la donna, ma potrà mai avere un seguito questa loro storia d’amore?

Foto dal set del film Mother and a Guest (1961)
Foto dal set del film Mother and a Guest (1961)

Recensione di Mother and a Guest

Nel 1961, il regista Shin Sang-ok ha realizzato ben sei pellicole di estremo valore artistico-sociale, come il film “Di Bong-seoui byeorak buja” e “Seoului jibungmit”, oltre a quattro pellicole che vedono la collaborazione del regista con la sua attrice musa e moglie, Choi Eun-hie. Quest’ultima ha svolto un ruolo da protagonista in gran parte dei suoi film distribuiti nel 1961, tra cui “Uijeok Iljimae”, “Sarox”, “Seoului jibungmit” e “Seong Chunhyang”, oltre alla pellicola “Sarangbang sonnimgwa eomeoni”, conosciuta all’estero con il titolo di Mother and a Guest. Le pellicole sono piuttosto dissimili l’una dall’altra, mostrando la capacità del regista di spaziare tra diversi generi e stili cinematografici. Se nel film “Seoului jibungmit”, Shin Sang-ok ci immerge in una grande storia familiare, supportata da un ampio budget di produzione, in Mother and a Guest si trova a lavorare all’antitesi, al fine di realizzare un piccolo film dal sapore marcatamente intimistico, senza il supporto di un grande budget economico o di una storia accattivante ed epica.

Mother and a Guest viene realizzato in quegli anni in cui in Europa prende sempre più piede il movimento cinematografico definito come “Nouvelle Vague”. Perciò, è percettibile l’influenza di questo tipo di cinema marcatamente francese sull’opera narrativa di Shin Sang-ok. Come le migliori opere di Truffaut, Shin Sang-ok concentra essenzialmente l’attenzione sui sentimenti, sulle piccole emozioni e sensazioni che teniamo racchiuse nel nostro cuore. In Mother and a Guest non abbiamo un’azione scoppiettante o la grande Storia fatta di battaglie e rivoluzioni, ma Shin Sang-ok, attraverso la sceneggiatura di Lim Hee-jae, ci trascina dentro una piccola storia, quella della gente comune che si trova ad affrontare sfide interiori ed emotive, con al centro il tema del tradizionalismo culturale coreano degli anni ’60. La pellicola si svolge esclusivamente nel mondo dei sentimenti e all’interno di un’unica ambientazione: la “casa delle vedove”, dove si sviluppa il rapporto di sguardi, sentimenti e sorrisi nascosti tra la piccola Ok-hee, la madre e il pittore Han.

Una storia d’amore

Mother and a Guest si sviluppa come un melodramma incentrato sull’interiorità dei suoi personaggi, titubanti nel confrontarsi con i loro sentimenti romantici che germogliano nei loro cuori. La storia ruota attorno al perenne conflitto tra i valori tradizionalisti e moderni di una Corea del Sud in rapida trasformazione, come possiamo notare anche dalla figura della parrucchiera, vista però in un unica scena, che si dimostra l’esatto opposto della nostra giovane protagonista, una vedova di ventotto anni intrappolata in rigide norme morali tradizionali che le impediscono di sposarsi di nuovo e, di conseguenza, di ritrovare la sua felicità interiore. L’arrivo del signor Han, abilmente interpretato con estrema grazia dall’attore Kim Jin-kyu, scuote profondamente l’animo della giovane madre, che giorno dopo giorno vede risvegliare in sé pulsioni e sentimenti che riteneva ormai sepolti insieme a suo marito.

La presenza della figlia della vedova, Ok-hee, riveste un ruolo cruciale nel racconto di questa storia d’amore e tradizionalismo culturale, rivestendo il ruolo di voce narrante, sia fuori campo che voce pensiero, dell’intera pellicola. Con la sua età di soli sei anni, Ok-hee offre al pubblico una prospettiva unica, caratterizzata dall’ingenuità e dalla limitata comprensione del mondo e dei sentimenti degli adulti, essendo solo una bambina che frequenta l’asilo. È attraverso gli occhi innocenti e il fare infantile di Ok-hee che si dipana il filo narrativo, permettendo agli spettatori di penetrare nell’intimità delle vicende che coinvolgono la madre e il signor Han. Ok-hee, nel corso della pellicola, diventa il principale ponte di comunicazione tra i due protagonisti, che si incontrano e iniziano a sviluppare un sentimento d’amore grazie alle interazioni mediate e volute dalla bambina, come quando mente alla madre che quei fiori gli sono stati dati in dono dal pittore (cosa non vera). Le parole semplici e dirette di Ok-hee scuotono le barriere emotive e sociali che circondano la madre e il signor Han, aprendo la strada alla nascita di una relazione romantica tra loro. Il desiderio di Ok-hee di avere una figura paterna e una famiglia completa agisce come catalizzatore per il sorgere di questo amore, creando un legame affettivo profondo che va oltre le convenzioni sociali e culturali. In questo modo, Ok-hee si rivela non solo un personaggio chiave nella trama, ma anche un simbolo della ricerca dell’affetto e della stabilità familiare, che permea l’intero film.

Nella pellicola, emerge un elemento affascinante riguardante la dinamica comunicativa tra i due adulti, la madre e Han. È interessante notare come, per la maggior parte del film, non si sviluppi un dialogo verbale significativo tra di loro. Entrambi sono intrappolati da un profondo senso di pudore e tradizionalismo culturale, che impedisce loro di esprimere apertamente i propri sentimenti. Così ogni forma di comunicazione tra i due avviene attraverso sguardi furtivi e la musica (il pianoforte), assumendo quest’ultima un ruolo primario nel veicolare emozioni e tormenti. Questo silenzioso scambio di sguardi e gesti sottolinea la complessità dei sentimenti non espressi verbalmente, permettendo allo spettatore di percepire la tensione emotiva che permea la relazione tra i due personaggi. La giovane vedova trova nel suonare il pianoforte l’unico mezzo per comunicare i suoi sentimenti d’amore e tormento al pittore, che, a sua volta, trascorre gran parte del tempo immerso nella sua arte, accompagnato spesso dalla piccola Ok-hee. Questa mancanza di dialogo verbale mette in risalto l’importanza delle espressioni non verbali e della musica nel comunicare emozioni profonde e complesse. È un modo sottile ma potente per evidenziare il conflitto interiore dei personaggi e il loro desiderio represso di connessione e comprensione reciproca.

Ok-hee

Ok-hee è probabilmente l’anima stessa della pellicola, grazie sia a un’attenta scrittura in fase di sceneggiatura che rende tridimensionale il personaggio, sia a una straordinaria interpretazione della giovanissima Yeong-seon Jeon, capace di donarci una genuina e perfetta prova attoriale, entrando totalmente nei panni di Ok-hee e mostrandoci la sua curiosità, la sua tristezza interiore e la sua furbizia, oltre al suo grande affetto per la madre. L’attrice Yeong-seon Jeon riesce a far breccia nel pubblico, permettendoci di entrare in connessione con il suo personaggio, che funge da collante narrativo all’intera storia d’amore a tinte familiari e melodrammatiche.

Fin dall’inizio della pellicola, lo spettatore entra in contatto con i vari personaggi grazie alla voce narrante, posta fuori campo, di Ok-hee, che con la sua voce da bambina s’introduce nel suo mondo familiare, abitato solo da figure femminili prive di un marito ancora in vita. La voce fuori campo e il pensiero di Ok-hee fanno da traino a tutto il film, come avviene proprio nei film di Truffaut, dove è questa voce narrante che ci permette di cogliere i passaggi delle stagioni e dei sentimenti interiori della bambina, che, per certi versi, diviene il motore scatenante che fa nascere la scintilla nel cuore della madre.

La scelta di usare il punto di vista della figlia della vedova non è stata una scelta registica e di sceneggiatura, ma proviene dal romanzo stesso, raccontato attraverso la voce narrante di Ok-hee, una scelta che viene mantenuta saggiamente anche nel film, poiché proprio questo personaggio dona maggior spessore alla pellicola, permettendole di toccare anche il cuore dello spettatore attraverso un leggero fare da commedia.

Nonostante il film si dimostri abbastanza simile al romanzo di Chu Yo-Sup, abbiamo comunque delle divergenze creative, soprattutto riguardo a una sottotrama narrativa, ovvero quella riguardante il venditore di uova e la domestica, che funge da siparietto comico al melodramma sentimentale su cui la pellicola ci concentra.

Lentezza ritmica

La narrazione si dipana attraverso una regia sottile, capace di far emergere ciò che non viene esplicitamente detto in ogni singola scena, sfruttando al meglio il talento dell’attrice protagonista Choi Eun-hie. Con poche parole, ma con grande maestria, riesce a trasmettere al pubblico la complessità del suo personaggio e il conflitto interiore che lo pervade. Le scene in cui la vediamo suonare il pianoforte diventano veri e propri momenti di espressione emotiva, capaci di toccare profondamente gli spettatori.

Altrettanto notevole è la cura nei dettagli riguardo ai costumi, con l’utilizzo di abiti tradizionali coreani, e alle location, che rappresentano ambientazioni spoglie e semplici. Queste scelte non solo aggiungono autenticità alla rappresentazione, ma immergono lo spettatore in un mondo caratterizzato da povertà e sobrietà, dove le connessioni umane sono il fulcro della narrazione. In questo contesto, l’oggettistica perde di rilevanza, lasciando spazio alla profondità delle relazioni interpersonali, che costituiscono l’essenza stessa del film.

Il ritmo a tratti eccessivamente lento della narrazione può essere considerato l’unica piccola pecca della vicenda, soprattutto nella prima parte della pellicola. Tuttavia, nonostante questa lentezza, il film riesce a comunicare con potenza la sua storia intrisa di semplicità. Questo ritmo più rilassato consente allo spettatore di immergersi completamente nell’atmosfera del film, consentendo una maggiore riflessione sui temi e sulle relazioni che si sviluppano. È proprio attraverso questo ritmo calmo e misurato che la pellicola riesce a creare un’atmosfera coinvolgente e suggestiva, conducendo lo spettatore verso un finale alquanto commovente e intriso di romanticismo. L’epilogo aperto lascia spazio all’interpretazione personale dello spettatore, invitandolo a riflettere sulle tematiche affrontate e a formulare la propria risposta alla storia. In questo modo, il film si trasforma in un’esperienza emotiva e intellettuale, che continua a risuonare nella mente dello spettatore anche dopo la sua conclusione.

Le donne in Mother and a Guest (1961)
Le donne in Mother and a Guest (1961)

In conclusione

“Mother and a Guest” si distingue come un’esemplare di sensibilità cinematografica, affrontando con grazia e profondità il tema dei sentimenti nascosti e del conflitto tra tradizione e modernità nella Corea del Sud degli anni ’60. Attraverso gli occhi innocenti di Ok-hee, la pellicola ci trasporta in un mondo di semplicità e autenticità, in cui le relazioni umane sono al centro della narrazione. Nonostante un ritmo a tratti lento, il film riesce a coinvolgere gli spettatori con la sua potente espressione emotiva, culminando in un finale commovente e suggestivo che invita alla riflessione personale. Con una cura meticolosa nei dettagli e interpretazioni straordinarie, “Mother and a Guest” rimane un’opera toccante e indimenticabile, capace di lasciare un’impronta duratura nella mente e nel cuore dello spettatore.

Note Positive:

  • Intimità e profondità emotiva: Il film offre una visione intima e profonda delle relazioni umane, esplorando i sentimenti dei personaggi con delicatezza e sensibilità.
  • Interpretazioni autentiche: Le performance degli attori, in particolare di Choi Eun-hie e della giovane Yeong-seon Jeon, sono autentiche e convincenti, permettendo agli spettatori di connettersi emotivamente con i personaggi.
  • Atmosfera coinvolgente: La regia di Shin Sang-ok e la cura nei dettagli contribuiscono a creare un’atmosfera coinvolgente e suggestiva, che cattura l’attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine.
  • Esplorazione del tradizionalismo culturale: Il film affronta in modo significativo il tema del tradizionalismo culturale coreano degli anni ’60, offrendo uno sguardo approfondito sul conflitto tra valori tradizionali e modernità.

Note Negative:

  • Ritmo lento: La narrazione del film può risultare a tratti eccessivamente lenta, rischiando di annoiare alcuni spettatori e rallentando il ritmo della storia.
  • Mancanza di dialogo verbale: La scarsa presenza di dialogo verbale tra i protagonisti potrebbe rendere alcune scene meno dinamiche e meno coinvolgenti per lo spettatore, limitando la comunicazione dei sentimenti dei personaggi.
  • Sottotrama comica marginale: La sottotrama comica riguardante il venditore di uova e la domestica potrebbe essere considerata marginale rispetto al nucleo centrale della storia, rischiando di distogliere l’attenzione dai temi principali del film.
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.

Articoli: 929

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