Mysterious Skin (2004): l’innocenza perduta

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Mysterious Skin

Titolo originale: Mysterious Skin

Anno: 2004

Nazione: Stati Uniti d’America, Olanda

Genere: drammatico

Casa di produzione: Antidote Films, Desperate Pictures

Distribuzione: Columbia Tristar Films

Durata: 99 min

Regia. Gregg Araki

Sceneggiatura: Gregg Araki

Fotografia: Steve Gainer

Montaggio: Gregg Araki

Musiche: Harold Budd, Robin Guthrie

Attori: Joseph Gordon-Levitt, Brady Corbet, Michelle Trachtenberg, Jeffrey Licon, Bill Sage, Mary Lynn Rajskub, Elisabeth Shue, Chase Ellison, George Webster, Riley McGuire, Lisa Long, Chris Mulkey, Billy Drago, Richard Riehle, David Alan Graf, David Lee Smith, Ryan Stenzel.

Trailer ufficiale di Mysterious Skin

Mysterious Skin è un film drammatico indipendente scritto e diretto da Gregg Araki, che affida alla potenza visiva del grande schermo la cocente storia di un’innocenza perduta. Quella di due bambini. Due dolci angeli sulla terra, strappati alla spensieratezza dell’infanzia e catapultati negli inferi bui della pedofilia, e delle sue indelebili conseguenze. Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Scott Heim, è stato presentato nel 2004 alla 61ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, nella sezione “Orizzonti”.

Trama di Mysterious Skin

Anni ’80, Hutchinson, Kansas. Due bambini di otto anni, Neil McCormick (Joseph Gordon-Levitt) e Brian Lackey (Brady Corbet) giocano nella stessa squadra di baseball del quartiere. Un sera, dopo una partita, Brian si ritrova steso nel cortile di casa con il naso sanguinante e con un incolmabile vuoto di memoria circa le ore posteriori all’evento. Da quel momento, la sua vita cambia radicalmente: inizia a fare incubi misteriosi, la pipì a letto, e a maturare un’ossessione per gli alieni, dai quali crede di essere stato rapito proprio in quel lasso di tempo che non riesce a ricordare. Accanto a lui, spicca l’esistenza minuta di Neil, un bambino amato da una madre distratta e attirato, nel fiore dei suoi anni, dalle zuccherose attenzioni del suo allenatore (Bill Sage). Due vite vissute nel segno della distanza, quelle dei nostri giovani protagonisti. Due esistenze destinate però a ricongiungersi nel turbolento tempo dell’adolescenza, quando Neil e Brian, insieme, riannoderanno i fili di un passato atroce, traumatico, difficile da accettare e cancellare.

Recensione di Mysterious Skin

Tema delicato quello scandagliato dal regista californiano, il quale inquadra l’orrore della pedofilia, degli abusi sessuali mascherati d’affetto, dalla prospettiva di chi li ha direttamente subiti e, con il passare degli anni, diversamente interiorizzati e affrontati. Quella inferta ai piccoli Niel e Brian dal loro coach è una ferita profonda, destinata a lasciare un marchio indelebile nei loro cuori. Entrambi, pur essendo ugualmente vittime innocenti delle perversioni di un mostro con sorriso, baffetti e tuta ginnica, con il tempo reagiscono in modo differente agli abusi sessuali patiti. Ed è proprio sul diseguale modus vivendi messo in campo dai protagonisti, che l’occhio filmico di Araki si sofferma con rigore, dando spazio a una messa in scena impregnata di crudo realismo.

La divergente reazione alle violenze carnali subite si deve alla altrettanto divergente percezione dell’abuso. Niel, infatti, che guarda il suo coach con i precoci e stupiti occhi dell’amore, non comprende fino in fondo la natura abominevole degli incontri carnali sperimentati. Le richieste sessuali che l’allenatore gli avanza e impone, vengono da lui considerate come prova di un’affezione esclusiva e sincera. Il piccolo sente di condividere con il suo coach un rapporto privilegiato, unico, che, in qualche modo, lo fa sentire importante, un «prediletto», secondo il suo sognante immaginario. Insomma, Niel, da anima innocente, inconsapevole del marcio del mondo, scambia il dramma dell’abuso, con la manifestazione di un vero sentimento. Brian, al contrario, capitato per una sola notte nelle luride grinfie dello stupratore, vive con totale assenza e distacco emotivo gli abusi, al punto tale che, con il trascorrere degli anni, arriva a rimuoverli quasi completamente dal suo universo mentale, rimanendo bloccato in una profonda amnesia.

Il piccolo Niel e il coach in una scena del film.
Il piccolo Niel e il coach in una scena del film.

Data questa opposta interiorizzazione degli stupri, ecco palesarsi davanti allo spettatore – a seguito di un salto temporale – le vite scombussolate di due “bambini” ormai cresciuti, alle prese con un’adolescenza spesa ai margini, tra l’abisso nero del sesso estremo e il baratro oscuro della paranoia. Da un lato c’è Niel, «bello come un Dio», ribelle disinibito che vende il suo corpo per denaro, si prostituisce con uomini senza porsi alcun limite, cercando, illusoriamente, di rivivere le stesse irripetibili sensazioni provate con il suo coach. Dall’altro lato, invece, c’è Brian, timido e introverso, cocco di mamma perennemente alla ricerca della verità riguardo i suoi vuoti di memoria infantili. Una verità che sembra aver trovato prestando fede al mondo extraterrestre.

Niel adolescente
Niel adolescente
Brian adolescente
Brian adolescente

Insomma, due caratteri e stili di vita agli antipodi, quelli incarnati dai due personaggi in scena. La cinepresa di Araki non manca di osservarli e catturarli in parallelo, registrando tutte le loro azioni, movenze, sguardi e attitudini relazionali. A suscitare maggiore interesse attrattivo, sul piano della caratterizzazione psicologico-comportamentale, è senza dubbio Niel, interpretato da un brillante Joseph Gordon Levitt, che, nonostante la giovanissima età, consegna al pubblico una prova attoriale di strabiliante maturità. In particolare, ciò che colpisce di lui, è l’assoluta freddezza con la quale consuma, uno dopo l’altro, i suoi rapporti sessuali, ridotti a spersonalizzati e spersonalizzanti atti meccanici, in cui non c’è spazio per alcun tipo di trasporto emotivo. Nel suo viso apollineo – colto spesso in primi piani di un’espressività disarmante – si legge l’abbagliante cinismo di chi ha conosciuto l’amore sotto false sembianze. La disperata (alterata) convinzione di chi crede che il linguaggio del cuore ammetta il vocabolario del dominio, del potere, della sottomissione. La sua, dunque, non è altro che una visione distorta del sentimento amoroso. L’unica, però, che le balorde circostanze della vita gli hanno dato modo di conoscere. Per quanto possa sembrare insensibile e senza cuore, Niel, però, messo di fronte a una violenza carnale inaudita, si renderà presto conto della fallacia delle sue convinzioni. Ed è a quel punto che il lupo “cattivo” si trasformerà in un fragile agnello, spogliandosi della sua corazza.

Niel in primo piano, prima dell'atto sessuale
Niel in primo piano, prima dell’atto sessuale

Se è il volto di Niel a entrare nelle grazie dell’obiettivo filmico, altrettanto non si può dire dei particolari delle sue vertiginose prestazioni sessuali, che pure occupano buona parte della narrazione cinematografica. Araki, infatti – sebbene mantenga quasi sempre un registro stilistico improntato a una dura e spietata mimesi della realtà – comunque sceglie di non mostrarle mai nella loro interezza, evitando quella che sarebbe stata, altrimenti, la gratuita (e ingiustificata) esibizione di una sequela di immagini dal contenuto piuttosto destabilizzante. Supportato dalla stessa misurata attitudine, il cineasta censura i dettagli degli abusi, che però vengono affidati, nelle battute finali della pellicola, alla lucida, straziante confessione di Niel. È lui che, infatti, incontratosi con Brian, gli rivela quella verità che stava cercando da tutta la vita: il perché del sangue colante, degli incubi, dei vuoti di memoria. Ecco che il trauma di una fanciullezza violata per sempre, viene finalmente portato alla luce. E la causa di un tale squarcio, non ha niente a che fare con mondi alieni. I veri mostri si nascondono sulla Terra. Ma, passato il buio, può tornare il sereno. E allora si può tentare di ricostruire la propria vita, partendo da un abbraccio.

Niel e Brian fanno definitivamente i conti con il proprio passato
Niel e Brian fanno definitivamente i conti con il proprio passato

In conclusione

Gregg Araki consegna al pubblico un racconto cinematografico spietato, sostenuto da un ritmo galoppante, che travolge lo spettatore in un vortice di sequenze visive difficili da metabolizzare. Il suo merito risiede nell’aver puntato i riflettori su un argomento tabù, su un abominio della società di ogni tempo, mostrando come esso possa danneggiare vite, e come, allo stesso tempo, possa essere superato, a favore di una piena e condivisa rinascita.  

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