Peter von Kant (2022): come Ozon rende Fassbinder moderno e inconsistente

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Trailer di Peter von Kant

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Il film di François Ozon ha inaugurato il 72° Festival Internazionale del Cinema di Berlino (2022) ed è tratto dal lavoro, teatrale e cinematografico – Le lacrime amare di Petra Von Kant (1972) – dell’autore tedesco Rainer Werner Fassbinder. È la seconda volta che il regista francese si cimenta su un’opera di Fassbinder: successe già nel 2000 con il film Gocce d’acqua su pietre roventi, elaborazione di un testo teatrale mai messo in scena.

Nella pellicola franco-belga compare anche Hanna Schygulla: nel film tedesco, ricopriva il ruolo della giovane donna di cui si invaghiva la protagonista; nell’opera di Ozon interpreta la madre di Peter.

Il film è uscito nelle sale italiane il 18 maggio 2023.

Trama di Peter von Kant

Il celebre regista tedesco Peter von Kant vive in compagnia del suo assistente, perennemente maltrattato e umiliato. Un giorno, grazie all’amica attrice Sidonie, conosce il giovane Amir, di cui si innamora. Dopo aver fatto diventare il suo amante una star del cinema, viene abbandonato e inizia la sua discesa in una disperazione che neanche la madre e la figlia riescono ad attenuare. Quando finalmente riuscirà a chiudere definitivamente la sua mania per Amir, Peter verrà abbandonato anche dall’assistente, unico faro della sua svogliata esistenza.

Peter Von Kant - Khalil Ben Gharbia
Peter Von Kant – Khalil Ben Gharbia

Recensione di Peter von Kant

François Ozon, autore prolifico francese, ha voluto omaggiare la pellicola di Fassbinder proponendone una versione trasposta al maschile. Del resto, l’autore francese – che non ha mai fatto segreto della sua omosessualità – ha spesso contraddistinto i suoi lavori con delle venature queer, alla stregua di altri colleghi come Almodóvar o Özpetek – anche se quest’ultimo cerca spesso di smarcarsi da quella che ritiene essere una etichetta limitante. Il regista transalpino ha voluto portare il dramma tedesco a una dimensione a lui più affine, cercando di mantenere il più possibile intatto il testo originale. Ciò non preclude la sua capacità di mettere in pellicola anche le più sottili sfumature femminili, espressa più che egregiamente nel suo lavoro più noto 8 donne e un mistero (2002).

Diligentemente, Ozon non ha voluto riproporre una copia dell’originale ma si è discostato rispettando i propri dettami cinematografici – fatti più da quadri che da virtuosismi tecnici – imprimendo su questa pellicola la sua riconoscibile firma. Sicuramente, in questo contesto, è aiutato dai suoi collaboratori: il direttore della fotografia Manuel Dacosse, che lavora con il regista francese dal 2017 e che riesce ad assecondarlo in quelle che sono le imprescindibili immagini provenienti dal sapiente uso di luci e ombre, di colori accesi e di contrasti evidenti; il montaggio di Laure Gardette, che assegna un ritmo – a volte in maniera eccessiva – a un lavoro ricolmo di parole; le scene di Katia Wyszkop, che vanno a richiamare alcuni elementi fondamentali per lo stesso Fassbinder quali gli specchi – usati spesso dall’autore tedesco anche per giochi di ripresa elusive del classico controcampo – o i manichini.

Peter Von Kant - Una scena del film
Peter Von Kant – Una scena del film

In questo progetto, l’autore francese sottovaluta però alcuni aspetti importanti. I costumi di Pascaline Chavanne – che collabora con lui dal suo debutto in Amanti criminali (1999) – non risultano all’altezza della situazione: spesso dimessi, poco affini al mondo che vogliono rappresentare, fanno pensare a una volontà autorale ben precisa a cui però non si trova una ragione comprensibile. Inoltre, il ritmo veloce imposto dal montaggio e il ritmo sostenuto dagli attori fa perdere un po’ di quella magia di cui il testo di Fassbinder è intriso. Anche la commistione Germania – Francia risulta alquanto confusa, anche superflua visto che si è voluta mantenere l’ambientazione originale. Un miscuglio che è possibile ritrovare in diversi momenti scenici ma che risulta palese con l’inserimento della canzone Comme au Théâtre cantata dall’interprete transalpina Cora Vaucaire.

La storia è collaudata e interpretata da attori che hanno cura di seguire la linea un po’ barocca di Ozon. Peter von Kant è portato sullo schermo da un interprete d’esperienza – Denis Ménochet – evitando eccessi stereotipici. Anche l’Amir di Khalil Ben Gharbia – attore francese reduce dal successo in Le paradis (2023), pellicola franco-belga vincitrice al Lovers Film Festival 2023 di Torino – è equilibrato rispetto al meccanismo che l’autore ha creato: mette in mostra la sua giovanile bellezza e la sua spavalderia. Entrambi rasentano però l’eccesso, in un crescendo di intenzioni che viene intrapreso troppo presto e che giunge a un culmine che porta lo spettatore a non godersi il dramma esistenziale quanto a essere investito da un’ondata più gestuale che emotiva.

Peter Von Kant - Isabelle Adjani con Hanna Schygulla
Peter Von Kant – Isabelle Adjani con Hanna Schygulla e Aminthe Audiard

Una esuberanza che ci viene risparmiata dalle interpreti femminili: una ritrovata e sempre bella Isabelle Adjani rende giustizia a una Sidonie che è tanto amica quanto opportunista nei confronti di Peter; anche la figlia del protagonista Gabriele – Aminthe Audiard ne è l’interprete – riesce a rimanere giustamente contenuta. Il ruolo di Hanna Schygulla è poi la trovata più interessante di Ozon: la sua compostezza nel raffigurare la madre di Peter è paragonabile a quella usata per mettere in scena Karin, l’amante della Petra fassbinderiana, usando con maestria – data anche dall’esperienza – le corde sentimentali più adeguate senza nascondersi dietro a manierismi di sorta. Una capacità che manca ancora al giovane Stefan Crepon, il quale non riesce nell’impresa di rendere l’assistente Karl pari ai manichini che fanno compagnia a Peter.

La rilettura di Ozon dell’opera di Fassbinder

Risulta inevitabile mettere a confronto i lavori dei due registi: per quanto quello dell’autore francese sia un omaggio, la sua rilettura è inevitabilmente personale e non rende quanto il lavoro originale, che toccava efficacemente l’animo dello spettatore passivo e complice di Fassbinder. Ozon è più immediato, gioca meno con la macchina da presa – i piani sequenza e long take dell’originale sono solo un mero ricordo, così come i giochi di messa a fuoco o le angolazioni con i molti specchi presenti nella scena del film originale. Le sue sono immagini suggestive, come la parete coperta dalle fotografie di Amir a rappresentare l’insano legame di Peter verso questo amante ingrato, ma nel tempo risultano meno potenti dell’amaro sapore del rifiuto che invece instillava Fassbinder.

Nella sua rilettura, Ozon ha voluto inserire dei richiami alla modernità – come l’uso della cocaina, per altro fine a sé stessa – e sottolineare la diversità fra i due amanti – la scena della cena, con ostriche succhiate rumorosamente rispetto alla ignoranza su come aprire un gambero. Il regista ha anche significato il finale, che l’autore originale aveva lasciato volutamente alla mercé del pubblico, come a rendere l’operazione più facilmente assimilabile e furbescamente più accessibile. L’intervento finale di Amir e l’addio duro di Karl interrompono quella linea sottile che l’autore tedesco aveva costruito con la sua platea.

Peter Von Kant - I protagonisti Denis Ménochet e Khalil Ben Gharbia
Peter Von Kant – I protagonisti Denis Ménochet e Khalil Ben Gharbia e, sullo sfondo, Stefan Crepon

In conclusione

Questa nuova versione modernizzata e al maschile di Petra von Kant deluderà chi conosce l’originale – cosa che avviene spesso quando ci sono delle riproposte – ma può essere facilmente fagocitata dal pubblico moderno. Non è fra i migliori lavori di Ozon ma rimane un film guardabile, senza troppe aspettative.

Note positive

  • Ottima fotografia
  • Interpreti femminili al loro meglio
  • Firma di Ozon riconoscibile

Note negative

  • Ritmo troppo veloce per questo genere di dramma
  • Non regge il confronto con l’originale
  • Interpreti maschili non adeguati
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