Rosalie (2023). L’omaggio di Stéphanie Di Giusto alla donna barbuta Clémentine Delait

Recensione, trama e cast del film francese Rosalie (2023) per la regia di Stéphanie Di Giusto e ispirato alla storia reale della donna barbuta Clémentine Delait
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Trailer di Rosalie

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Presentato in Concorso nella categoria Un Certain Regard al Festival di Cannes 2023 e nella sezione Perlas al San Sebastian IFF 2023, “Rosalie” è un dramma storico liberamente basato sulla vita di Clémentine Delait, una donna francese nata nel 1865 a Thaon-les-Vosges, in Lorena, che all’età di vent’anni sposò un fornaio locale di nome Paul Delait e con lui aprì un bar. Affetta da una malattia che la rendeva incredibilmente pelosa, divenne famosa proprio per la sua barba sul volto. Se fino al 1900 si tagliava regolarmente la barba, nascondendo agli occhi del mondo il suo problema estetico, dal 1900 in poi, per via di una scommessa vinta, Clémentine decise di non tagliarsi più la barba, diventando nel giro di poco tempo una vera e propria celebrità. Iniziò a vendere le sue fotografie e cartoline, e il bar incominciò ad avere un maggior afflusso di clienti, che si recavano lì per vedere questa donna barbuta, un’attitudine che portò Paul Delait a cambiare il nome del suo locale in “Le Café de La Femme à Barbe”, ossia “Il caffè della donna barbuta”. Clémentine Delait morì nel 1939.

Stéphanie Di Giusto

A ispirarmi è stata una donna straordinaria, Clémentine Delait. Una donna con la barba che è diventata famosa all’inizio del XX secolo. Il suo volto femminile coperto di peli mi affascinava dalle sua foto, conteneva un mistero, che era tutto da esplorare. Avevo letto un primo testo sull’argomento, simile a una biografia, ma avevo bisogno di andare oltre, senza dubbio per scoprire cosa mi risuonava intimamente quando guardavo queste foto. Sapevo che si era rifiutata di diventare un banale fenomeno da fiera, ma che aveva invece voluto essere “nella vita”, avere un’esistenza da donna. Mi sono interessata ad altre donne affette da irsutismo (il nome scientifico di questo disturbo), la maggior parte delle quali finiva da sola, nelle fiere, ridotta a fenomeno volgare, “freak”… Dopo una lunga ricerca, ho voluto conservare solo ciò che mi toccava della vera storia di queste donne. Non mi interessava fare un biopic.

Non un biopic, “Rosalie” è stato scritto da Stéphanie Di Giusto, che lo ha anche diretto, insieme a Sandrine Le Coustumer e con la collaborazione di Jacques Fieschi, uno dei più importanti sceneggiatori del panorama cinematografico francese, noto per aver scritto pellicole come “Un cuore in inverno” (1992), “Nelly e Monsieur Arnaud” (1995) e “Illusioni perdute” (2021). Il cast comprende attori come Benjamin Biolay (“L’hotel degli amori smarriti”), la cantautrice francese Juliette Armanet e soprattutto Nadia Tereszkiewicz (“Io danzerò”, “Mon Crime – La colpevole sono io”) e Benoit Magimel (“Il gusto delle cose”, “La pianista”, “La vita è un lungo fiume tranquillo”). In Italia, la pellicola viene distribuita al cinema il 30 giugno 2024 da Wanted Cinema.

Trama di Rosalie

Rosalie è una giovane donna il cui viso e il corpo sono, per buona parte, ricoperti di peli. Nonostante la sua diversità, rifiuta di diventare un fenomeno da baraccone e tenta di vivere una vita normale radendosi regolarmente. Tutto cambia quando sposa Abel, proprietario di un caffè sempre vuoto, indebitato con il ricco proprietario della fabbrica che dà lavoro a tutta la piccola comunità locale. Abel non sa nulla del segreto di Rosalie e la sposa per la sua dote. Tuttavia, Rosalie vuole essere accettata come donna e decide di smettere di nascondere la sua diversità, convincendo il marito che potrà attirare molti clienti con il suo curioso aspetto di donna barbuta. Desidera essere vista come una donna normale, nonostante la sua differenza, che non vuole più nascondere. Lasciandosi crescere la barba, sarà finalmente libera. Chiede al marito di amarla così com’è, mentre gli altri vogliono ridurla a fenomeno da baraccone. Sarà Abel capace di amarla? E lei di sopravvivere alla crudeltà degli altri?

Nadia Tereszkiewicz in Rosalie (2023)
Nadia Tereszkiewicz in Rosalie (2023)

Recensione di Rosalie

Per immergersi completamente nell’esperienza della pellicola e lasciarsi cullare e sorprendere dalla storia trattata, bisognerebbe visionare Rosalie senza conoscere la trama e soprattutto la condizione fisiologica e particolare di questa donna affetta da irsutismo, una malattia già ampiamente raccontata nella settima arte. Svariati lungometraggi rientrano nel filone dei “Freaks”, come ad esempio “Løvekvinnen – La donna Leone”, pellicola norvegese diretta nel 2016 da Vibeke Idsøe, che possiede alcuni elementi in comune con il film francese di Stéphanie Di Giusto, soprattutto nella ricerca della propria libertà e dei propri diritti umani, non come fenomeno da baraccone ma in quanto donna. Se lo spettatore non conosce la trama e la condizione del personaggio femminile del racconto, può vivere un’esperienza narrativamente unica. La cineasta Di Giusto effettua, nel primo atto narrativo, un attento gioco registico, posizionando la macchina da presa in modo tale da non farci comprendere immediatamente la verità su Rosalie. Attraverso dialoghi e il modo in cui si presenta la nostra protagonista, la Di Giusto ci conduce ad interpretazioni errate della situazione. Avrebbe potuto mostrarci immediatamente il volto e il corpo peloso di Rosalie, ma non lo fa. Attende, prendendosi tutto il tempo necessario per svelare la verità su Rosalie, sorprendendo Abel, l’uomo che ha sposato con l’inganno, e lo stesso pubblico.

La pellicola si apre con la protagonista che si sveglia di soprassalto da un incubo, la stanza è buia, illuminata solo da alcune candele. La macchina da presa ci mostra prima la schiena vestita della donna, poi i suoi piedi privi di qualsiasi tipo di peluria, e infine la foto di un uomo misterioso, morto probabilmente in guerra, del quale non avremo alcuna spiegazione sull’identità nel corso del film. Dopo uno stacco, siamo immersi in una scena luminosa con Rosalie, elegantemente vestita e dall’aspetto curato, che si sta profumando e abbellendo. Successivamente, comprendiamo attraverso un sottile dialogo tra lei e il padre che è stata data in sposa, su pagamento, a un uomo sconosciuto, un evento che suscita ansia e curiosità nella giovane donna, la quale prega la sua Santa chiedendo: “Ti supplico, fa’ che mi ami“. Nelle scene seguenti assistiamo all’incontro tra Rosalie e il suo futuro marito, Abel. Attraverso dialoghi tra lei e il padre, comprendiamo che la donna sta nascondendo una verità all’uomo, ma quale verità? È qui che si cela il gioco di regia e di sceneggiatura presente in questo incipit narrativo. I dialoghi, che riguardano la non verginità della donna, e alcuni elementi mostratici in precedenza, come la foto di quell’uomo misterioso deceduto, ci portano a pensare che forse Rosalie sia incinta. Tuttavia, scopriamo nella notte delle nozze, quando il marito intende consumare il matrimonio e concepire un bambino, di fronte a sé ha un corpo avvolto di peluria, una verità che lo sconvolge profondamente e anche noi con lui. Solo in questo momento lo spettatore comprende la vera condizione di Rosalie e capiamo come la regista abbia sapientemente ingannato noi attraverso abili scelte d’inquadratura e dialoghi misteriosi.

A livello registico, la cineasta gioca molto sull’idea del non rivelare la piena verità e sull’attesa. Se l’incipit si basava sull’inganno, sul non mostrare effettivamente la protagonista per ciò che è, anche nel seguito della pellicola si rifà a questo espediente, non per ingannare ma per creare attesa e suspense, generando un senso di curiosità sia nel pubblico che in Abel e nei clienti della locanda. Quando la donna si rinchiude per un mese nella propria camera per farsi crescere la barba sul viso e vincere una scommessa, non vediamo la crescita della peluria, ma solo alcuni tratti della donna, mostrati attraverso gli occhi del marito Abel che la spia da dietro la porta, vedendo il suo corpo, alcuni detagli privi di peluria, proprio come avviene a inizio film. La scena in cui la vediamo barbuta è realizzata con estrema cura e attenzione, dimostrando la grande abilità registica della cineasta nel giocare con i suoi elementi drammaturgici, sia a livello sceneggiativo che visivo. La sceneggiatura viene ampiamente accompagnata da una pregevole fotografia e da una regia autoriale che la valorizza al massimo.

Benoît Magimel in Rosalie (2023)
Benoît Magimel in Rosalie (2023)

Una storia d’amore e non solo di Freaks

Rosalie possiede una regia alquanto congeniale, ma la trama e la sceneggiatura non sono assolutamente da meno. Gli sceneggiatori ci conducono in una storia incentrata su una connotazione positiva femminista, che richiama, seppur distanziandosi sotto altri aspetti, Clémentine Delait, da cui il trio di scrittura riprende alcuni tratti della personalità e della storia, pur non trattandosi di un film biografico, come è evidente nel finale molto più tragico rispetto alla storia reale di Delait. La nostra protagonista ci viene presentata all’interno di un viaggio di libertà interiore, un viaggio di formazione che la condurrà ad accettarsi pienamente per ciò che è, non vergognandosi più per il suo aspetto animalesco e maschile. Con forza e intraprendenza, riesce a sfruttare il suo aspetto a suo vantaggio, diventando da un lato una sorta di fenomeno da baraccone, un personaggio attrattivo come donna con la barba, ma dall’altra parte riuscendo, fino a un certo punto, a essere non solo un fenomeno da baraccone, ma soprattutto una donna libera, che non si cura del pensiero altrui.

Stéphanie Di Giusto

Rosalie e Abel si addomesticano con il tempo. Abel non è più capace di amare. Rosalie lo metterà alla prova. Vuole che lui la ami così com’è. A poco a poco, i sentimenti nascono da un desiderio che sfugge loro. Abel imparerà a lasciarsi andare, a liberare il suo desiderio e con esso la sua umanità. Penso che ci si aspettasse di mettere Rosalie alla prova in una fiera, in un circo o in un bordello, come nella maggior parte dei film di donne “freak”. Volevo evitare quel surrealismo epico. Ho ritenuto più originale affrontare semplicemente Rosalie con l’amore in modo sincero e umile, cercare la verità dei sentimenti, eliminare ogni artificiosità dalla storia, credere in essa. Volevo che la storia sembrasse così reale da diventare una favola, la storia unica di Rosalie. L’unico momento surreale del film è quando Rosalie inizia a sognare un destino da cui vuole fuggire. Rosalie lotta per rimanere se stessa nonostante gli altri.

La sua storia si sviluppa nel rapporto con il marito Abel, colui che sposa una donna barbuta a sua insaputa, venendo ingannato in tutto e per tutto. La narrazione ci mostra fin dall’inizio le divergenze caratteriali tra Abel e Rosalie, raccontando le incredibili difficoltà di Abel nell’accettare colei che ha sposato e che non è la donna che credeva fosse. Proprio l’approccio sentimentale risulta l’elemento di forza della pellicola, poiché ci viene raccontato con potenza emotiva un sentimento che cresce, nei cuori di entrambi, giorno dopo giorno, momento dopo momento. Questa donna straordinaria, piena di forza caratteriale, riesce a penetrare nella corazza interiore di Abel, un uomo incapace di amare, un uomo rotto dalla guerra e che non riesce più a fidarsi dell’altro, trovando la sua salvezza proprio grazie all’incontro con quella donna, che nonostante un iniziale rancore, riuscirà ad amare, comprendendola per quello che è, e non curandosi del parere altrui.

Il finale, una scena tragica che richiama visivamente “La forma dell’acqua – The Shape of Water” di Guillermo del Toro, risulta straziante e allo stesso tempo pieno di poesia, dove l’amore intimo trionfa sulla malvagità del mondo.

Un piccolo difetto

Stéphanie Di Giusto

Rosalie è una donna liberata che deve affrontare il modo in cui gli altri la guardano, affermando la sua femminilità unica contro i preconcetti e i diktat di un’epoca. Questa donna non si pone mai come vittima. Trasforma la sua unicità in un punto di forza. Nonostante la barba, afferma la sua femminilità e il suo bisogno di amore, anche se la società vuole ridurla a un mostro. Volevo esplorare un personaggio solare a cui viene detto di nascondersi. Si nasconde solo per soffrire. Ha questa modestia e questa voglia di vivere, un misto di forza e fragilità. I peli sono visti come animaleschi, primitivi. Sono legati all’intimo, al nascosto, al sessuale, al mostro domato dentro di noi… Volevo mostrarlo. Si trattava di far emergere la sensualità dei corpi dove meno ce l’aspettiamo, di far emergere qualcosa di inquietante, di uscire dai codici abituali di ciò che vediamo sugli schermi, dei corpi lisci. Mi piaceva filmare questo nuovo erotismo tra delicatezza e animalità, filmare il desiderio in modo diverso.Durante le riprese, ogni mattina, ogni pelo veniva incollato uno per uno al corpo di Nadia. Non volevo imbrogliare e mettere all’attrice un semplice “parrucchino”. L’idea era di creare una “seconda pelle” che l’attrice avrebbe indossato ogni giorno. Bisognava crederci. Ho lavorato il corpo di Rosalie come una scultura strana e desiderabile allo stesso tempo.

Ciò che alla pellicola manca è proprio la componente in cui “Løvekvinnen – La donna Leone” riesce maggiormente, ovvero nel rendere la protagonista una donna veramente animalesca. L’attrice protagonista, Nadia Tereszkiewicz, si dimostra abilissima nel rappresentare questa donna e la sua forza interiore, riuscendo a unire anche caratteristiche maschili e femminili nel suo corpo, che ben rappresentano Rosalie, ma ciò che manca è l’aspetto visivo. Quando Abel vede i peli nella donna che ha sposato, ne rimane sconvolto e anche noi con lui, ma nelle scene seguenti il corpo di quella ragazza è sì peloso, ma non così peloso come dovrebbe essere effettivamente. Sicuramente a livello di trucco si poteva osare di più, rendendo il personaggio maggiormente animalesco, con una peluria maggiore nel corpo. Alla fine, Rosalie, a eccezione della barba e di un incremento di peluria nel corpo, non appare veramente così “freaks” come il film vuole farci credere. Quindi in questo senso si poteva osare leggermente di più, non tanto per creare una donna leone, ma per aumentare la peluria nel suo corpo, cosa che non avviene come vediamo nelle rare scene di nudo.

In conclusione

“Rosalie” si distingue per la sua narrazione coinvolgente, la regia attenta e le interpretazioni convincenti. Pur affrontando con coraggio temi complessi come la libertà individuale e la discriminazione, il film pecca leggermente nella rappresentazione visiva dell’irsutismo e potrebbe beneficiare di una maggiore coerenza stilistica nella fotografia. Tuttavia, la sua potente storia d’amore e crescita personale lo rende un’opera cinematografica degna di attenzione.

Note positive:

  • La regia di Stéphanie Di Giusto crea un’atmosfera di suspense e attesa, mantenendo nascosta la vera natura di Rosalie fino al momento opportuno.
  • La sceneggiatura offre una storia avvincente che mescola elementi di formazione personale, libertà individuale e un tocco femminista, rendendo il film più che una semplice rappresentazione di un fenomeno da baraccone.
  • Le interpretazioni degli attori, in particolare di Nadia Tereszkiewicz e Niels Schneider, sono convincenti e trasmettono efficacemente le emozioni e le sfumature dei loro personaggi.
  • L’approccio sentimentale della narrazione è un punto di forza, mostrando come l’amore possa fiorire anche in circostanze apparentemente impossibili.

Note negative:

  • Nonostante il tema dell’irsutismo sia centrale nella trama, la rappresentazione visiva della peluria sul corpo di Rosalie potrebbe essere stata resa in modo più accentuato e realistico, per aumentare l’impatto del suo aspetto “animalesco”.
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Stefano Del Giudice
Stefano Del Giudice

Laureatosi alla triennale di Scienze umanistiche per la comunicazione e formatosi presso un accademia di Filmmaker a Roma, nel 2014 ha fondato la community di cinema L'occhio del cineasta per poter discutere in uno spazio fertile come il web sull'arte che ha sempre amato: la settima arte.

Articoli: 929

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