
I contenuti dell'articolo:
Time To Hunt
Titolo originale: 사냥의 시간 (Sanyangui Sigan)
Anno: 2020
Paese: Corea del sud
Genere: Distopico
Produzione: Sidus Pictures
Distribuzione: Netflix
Durata: 134 minutes
Regia: Yoon Sung-hyun
Sceneggiatura: Yoon Sung-hyun
Fotografia: Lim Won-geun
Montaggio: Yoon Sung-hyun, Wang Sung-ik
Musiche: Sidus Pictures
Attori: Lee Je-hoon, Ahn Jae-hong, Choi Woo-shik, Park Jung-min
Trama di Time To Hunt
Presentato all’ultima edizione del Festival del cinema di Berlino, seconda pellicola del sudcoreano Yoon Sung-hyun, distribuita da Netflix. Il film si apre mostrandoci una Corea post apocalittica e al tempo stesso non così lontana, scenario triste di grande squallore. Lentamente entriamo nella quotidianità disillusa di tre amici i quali, mossi da disperazione e “senza più nulla da perdere”, tentano l’ultimo colpo progettando una rapita in un casinò clandestino. L’idea di riuscire finalmente a scappare verso isole dal mare cristallino, il loro sogno.
“Ma non vivete più nel mondo che conoscevate”
Time To Hunt
Questa frase diviene il monito che i ragazzi tengono bene a mente. Uno di loro, appena uscito di carcere, si porrà alla guida del progetto. Ma il mondo di cui ormai l’umanità stessa è prigioniera, non sarà clemente con loro.
Un mondo vissuto alla giornata e fatto di abbandono. Una fuga continua, sudori freddi e calma che precede l’arrivo di un nemico senza volto. Sensazione di perenne pericolo.

Recensione di Time To Hunt
Coming of age d’azione e forse non così distopico. Se già ci aveva convinti il titolo “Non è un paese per vecchi”, ora possiamo affermare che non sarà forse neanche più un paese per giovani, quello che ci aspetta. Non c’è spazio per inutili speranze, frasi gloriose, buoni propositi. C’è giusto il tempo di scappare, il tempo che incalza, e i ragazzi sanno di non poter correre così veloci. Noi, dall’altra parte, corriamo con loro. E, con loro, discendiamo negli inferi.
“Questo è interessante. Ti lascerò altri cinque minuti”
Time To Hunt
La frase dell’assassino, dell’inseguitore che si metterà sulle loro tracce, contro il quale nulla sembra poterli salvare. Il suo carisma diabolico e inespressivo lascia con il fiato sospeso in più occasioni. Egli pare annoiato, sadico, ma divertito. Ha accettato fino in fondo il gioco amaro della vita, facendone un lavoro, un passatempo. Sorride, talvolta. Si prende forse gioco di noi? Il rapporto tra cacciatore e prede possiede un sano feeling, che si mostra nella forza dello sguardo che si scambiamo il carnefice e la vittima, uno sguardo potente che può cambiare le sorti del mondo.
Collante della vicenda non è tanto la vendetta quanto la paura di vedere il proprio sogno ogni minuto più annebbiato e più irraggiungibile. Un thriller tutto asiatico, costruito con di tinte sempre più amare e struggenti, dal grigio, al rosso al verde, in un tour de force esteticamente godibile. L’epilogo è assolato, silenzioso, amaro. I ragazzi, fisicamente lontano dal loro passato, lo ritrovano negli sguardi e negli oggetti, negli spettri che non li lasceranno mai più dormire. Sono rimasti senza risposte, senza energie. Sono improvvisamente diventati adulti, senza forze. Le tempistiche coreane (che spesso superano le due ore) non sono altro che un climax di attesa crescente senza mai poter prendere fiato.
“Sarà diverso il colore dell’oceano, lì dove stiamo andando, vero?”
Frasi del film
“A volte bisogna mentire a se stessi, per sopravvivere”.

Credo che il film, costruito in modo canonico e forse mai incredibile, mostri la sua vera forza nello studio sentimentale, psicologico ed emotiva dei tipi umani, tutti fuggitivi o inseguitori. Se da una parte siamo immersi in un’ambientazione così drammaticamente grandiosa, dall’altra ritorniamo alla semplicità delle emozioni più naturali e più istintive che l’essere umano si porta con se, talvolta suo malgrado. In un mondo dove nulla ha più valore, e i soldi sono ridotti a semplice carta, sopravvivono e anzi si fanno più intensi sentimenti come l’amicizia, la fratellanza, l’amore verso la famiglia, il sacrificio, il ricordo. I tre compagni sono famiglia uno per l’altro, e il motivo più profondo del loro dolore è forse il veder soffrire chi si ama, sentendosi impotenti e disarmati. Sequenze fatte di tensione, sangue e acqua sporca, in cui tutti diventano vittime sacrificali di un mondo che miete vittime: è il tempo della caccia. Non si può fuggire, non si può partire, non si può tornare. Difficile, dunque, continuare a combattere. Ma impossibile, d’altra parte, non farlo.