Vostro Onore (2022): Alla scoperta della nuova fiction su Rai 1 con Stefano Accorsi

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In onda dal 28 febbraio in prima serata su Rai1 per quattro lunedì (disponibile anche su RaiPlay, con il primo episodio in anteprima), Vostro Onore di Alessandro Casale rappresenta una delle più ambiziosi novità seriali distribuite da Rai quest’anno. Co-prodotto da Rai Fiction insieme a IndianaProduction, la serie, sceneggiata da Donatella Diamanti (ideatrice del soggetto), Mario Cristiani, Gianluca Gloria, Laura Grimaldi e Paolo Piccirillo, è basata sull’opera originale israeliana Kvodo (2017), tratta dalla storia di Ester Namdar e ideata da Ron Ninio e Shlomo Moshiah. Licenziata da SquareOne Production, la serie è in realtà preceduta da altri adattamenti internazionali, come il francese Un homme d’honneur (2021, con Kad Merad), l’indiano Your Honor (2020, due stagioni complete) e lo statunitense Your Honor (2020, con Bryan Cranston). Nel cast della versione italiana figurano il due volte vincitore del David di Donatello come miglior attore protagonista Stefano Accorsi (Radiofreccia, L. Ligabue, 1998; Veloce come il vento, M. Rovere, 2016), la vincitrice come miglior attrice non protagonista al Bari International Film Festival Barbara Ronchi (per Fai bei sogni, M. Bellocchio, 2016), Francesco Colella (Mancino naturale, S. Allocca, 2021), Matteo Oscar Giuggioli (Gli sdraiati, F. Archibugi, 2017), Camilla Semino Favro (Il campione, L. D’Agostini, 2019), Gabriele Falsetta (Moglie e marito, S. Godano, 2017), Betti Pedrazzi (Le voci di dentro, P. Sorrentino, 2014) e Remo Girone (La piovra, 1987-2001; La legge della notte, B. Affleck, 2016; Le Mans ’66 – La Grande Sfida, J. Mangold, 2019).

Trama di Vostro Onore

Vittorio Pagani (Stefano Accorsi) è un giudice, ex pubblico ministero, molto conosciuto nell’ambiente per la sua integrità e perspicacia, in corsa per diventare Presidente del Tribunale di Milano. Una carriera di assoluto livello e ricca di ambizioni costretta però a convivere con il dolore dovuto alla tragica scomparsa della moglie, una delle ragioni che rende ancora più critico il rapporto con il figlio Matteo (Matteo Oscar Giuggioli), cresciuto fino ad ora dalla nonna Anita (Betti Pedrazzi). La svolta avviene quando Matteo investe un esponente di una famiglia criminale, i Silva, precedentemente perseguiti proprio da Vittorio che, drasticamente, deve scegliere se osservare i propri principi o infrangere la legge sperando di aiutare il proprio figlio…

Conferenza stampa di Vostro Onore

Lunedì 21 febbraio, in modalità online, si è tenuta la conferenza stampa di Vostro Onore. Da Roma erano collegati la direttrice di RaiFiction Maria Pia Ammirati, la sceneggiatrice Donatella Diamanti, il produttore Fabrizio Donvito (Partner & Co-CEO IndianaProduction), l’attore Stefano Accorsi e il regista Alessandro Casale. Matteo Oscar Giuggioli, Barbara Ronchi e Francesco Colella erano presenti in platea, con Camilla Semino Favro e Remo Girone collegati da remoto.

Introduce l’evento Maria Pia Ammirati comunicando la contentezza di RaiFiction nel lanciare una nuova serialità, avvalorata dal ritorno in Rai di Accorsi dopo diversi anni e dall’esordio di Casale, svincolato dal ruolo di aiuto regista (compito comunque avvalorato dalla collaborazione con cineasti come Ferzan Ozpetek). La direttrice ringrazia inoltre Donatella Diamanti che reputa “garanzia di scrittura per una trama sempre straordinaria. Sempre sul filo dell’attesa”, reputando l’adattamento italiano dell’originale Kvodo uno dei migliori. Questo nonostante i rischi di adattare un format di successi e di premialità, esponendosi a dei inevitabili paragoni. Kvodo è in effetti più pulp, mentre in Vostro Onore si pensa alla “grande tradizione del racconto. Che è poi centrale nella cultura europea. Lì, al centro c’è Vittorio Pagano/Stefano Accorsi, con il Palazzo di Giustizia di Milano come scenografia e luogo in cui si forma il grande dilemma al centro della serie, che poi la rende persino un thriller che ha accenni e accenti di action. Questa forza del thriller sta tutto su una grande domanda: cosa ci spinge a salvare sempre la nostra specie? Che cosa ci spinge a proteggere la nostra famiglia? Oppure, fino a che punto possiamo spingerci nel salvare la nostra famiglia? Anche a rinnegare? Anche a diventare dei criminali? La storia di Vittorio Pagano consiste nel capire proprio questo, oltre a comprendere fino a che punto possiamo esercitare questo dilemma basato sul passaggio, molto ardito, da persone incorruttibili a criminali“.

In seguito alla premessa di Maria Pia Ammirata si procede con le domande.

Quanto è stato difficile produrre una serie complessa come Vostro Onore?

F. Donvito (Partner & Co-CEO IndianaProduction): Ogni serie ha le sue complessità. Qui, in effetti, come diceva Maria Pia Ammirati, c’era una grande scommessa. Si arrivava da un format che era stato adattato a diversi Paesi. E questo ha creato un certo timore. Però devo dire che il percorso insieme al gruppo di scrittura composto da Donatella [Diamanti], Mario Cristiani, Gianluca Gloria, Laura Grimaldi e Paolo Piccirillo abbia realizzato, come avete visto o vedrete, un editor riuscito. Perché questa serie non è un remake ma un adattamento totale, come quello che si può fare da un libro. In Vostro Onore il concept di partenza è stato riscritto totalmente in base alla nostra cultura, al nostro Paese, alle nostre leggi. Avevamo anche dei magistrati consulenti per verificare quali erano le procedure. E poi c’è l’Italia. C’è il nostro essere totale. Questa è stata la fase più difficile. Dal punto di vista produttivo avevamo una squadra straordinaria, governata da Alessandro [Casale] in maniera strepitosa.

A. Casale (regista): Intanto ci tengo a ringraziare la Rai e tutti i produttori perché hanno creduto nelle mie capacità, allora ancora ignote. Devo dire che sono stato messo nelle migliori condizioni per lavorare. Ho fatto per tanti anni l’aiuto regista, però era la prima volta che avevo in mano, da solo, una serie da plasmare con dei pregressi importanti, soprattutto la versione americana. Ovviamente si può pensare ad un paragone… Devo ammettere di aver visto solo un episodio, ma non mi sono fatto assolutamente ispirare neanche dalla serie israeliana. Ovviamente, come diceva Fabrizio [Donvito], è un adattamento completo di una serie israeliana che lavora su tutti altri canoni. Noi l’abbiamo ambientata in una Milano apparentemente priva di violenza, eppure serpeggiante. Altra fortuna quella di avere un cast, a partire da Stefano [Accorsi], secondo me di altissimo livello nel panorama nazionale. Quindi grande talento e grande capacità tecnica. Penso di essere stato abbastanza pignolo, lavorando soprattutto sui personaggi che secondo me, sia nella serialità che nel cinema, è il lavoro più importante. Si trattava di far girare la serie nel verso giusto, trattando gli attori nel giusto modo, dagli “adulti” al gruppo “teen“. Secondo me siamo riusciti a mettere in scena una realtà credibile nel panorama italiano di questo momento e ho anche avuto la fortuna, grazie alle mie casting che sono Gabriella Giannattasio e Cristina Proserpio su Milano, di trovare dei giovani attori veramente talentuosi. Ma questo in generale, anche sulla parte più sudamericana della serie. Abbiamo questi latinos che sono un po’ una novità nel panorama italiano, dove ci sono state delle belle sorprese. Importante dire che in Vostro Onore la violenza non è manifesta ma è sempre sottotraccia. In fondo è questa una cosa interessante: una minaccia che non ha bisogno di eccessive manifestazioni di violenza. Anche perché c’è un lavoro molto psicologico sui personaggi. Per me è stato molto importante lavorare su questa unione tra padre e figlio, che erano lontani all’inizio della storia. Questo ha reso il tutto più complicato ma anche più interessante. E poi grazie anche ai miei collaboratori in generale: il direttore della fotografia Simone Mogliè, i costumi di Olivia Bellini, la scenografia di Maurizio Zecchin e l’aiuto di Lyda Patitucci, regista di seconda unità. Quindi devo dire che non cambierei nulla. C’era grande armonio sul set.

Donatella Diamanti [sceneggiatrice] può spiegarci più a fondo la scrittura di questo adattamento?

D. Diamanti (sceneggiatrice): Innanzitutto voglio ringraziare il mio gruppo di scrittura composto anche da Francesco Nardella, Luigi Mariniello e Giacomo Lopez perché noi condividiamo ogni momento del percorso. La scrittura nasce da una scintilla ma poi ha bisogno di un lavoro di grande rielaborazione. Rispetto al lavoro di riadattamento, come è stato detto, è una trasposizione di una storia molto forte, molto potente, con un tema portante che è quello di che cosa è disposto a fare un padre per poter salvare la vita del figlio, quindi un tema universale, declinato in un Paese [riferendosi alla serie Kvodo] in cui c’è il deserto, in cui ci sono dei conflitti molto potenti… Però, se già soltanto pensate ad un crime ambientato nel deserto… Pensate alle possibilità che ha un ricercato di muoversi senza essere intercettato… Da noi tutto questo non è possibile, per cui il lavoro di trasposizione è stato un lavoro tanto tematico quanto tecnico. Dal punto di vista dell’action e della criminalità quello che ci piaceva, riportando la storia in Italia e a Milano, era accostare due tipi di criminalità entrambi esistenti, entrambi plausibili ma diversissimi tra di loro perché nella diversità, che produce conflitto, ci piaceva che questo potesse produrre più storie. Allora abbiamo scelto un tipo di criminalità chiassosa, becera, molto violenta come quella delle gang, da accostare invece ad una criminalità silente, quasi metastatica, e da questo esplode un tipo di conflitto che resta sullo sfondo, che resta sotteso proprio perché la componente silente non vuole esacerbare questo conflitto. Un’altra cosa sulla quale abbiamo lavorato molto è la componente relazionale e su questo devo dire che, anche considerando le precedenti serie, siamo un po’ dei cultori del relazionale. In questo senso abbiamo provato a far sì che questa situazione che esplode nella vita di Matteo e di suo padre deflagrasse colpendo anche tutto un sistema di relazioni. Ce la siamo giocata, magari rischiando, perché ovviamente quando tutto è collegato si può dire che è il destino che fa precipitare gli eventi, ma se nella scrittura non è collegato bene sembra un terribile “guarda caso”, quindi abbiamo trattato lo script con molta attenzione.

Accorsi, la parte che interpreta è molto complessa. Ha mai tentato di rispondere alla domanda: che cosa sarebbe disposto a fare un padre per salvare suo figlio?

S. Accorsi (attore): Dunque, io non avevo visto la serie israeliana e quando abbiamo ricevuto il copione non era stata ancora distribuita quella statunitense, quindi per me l’unico elemento sono state queste sceneggiature. Subito l’ho trovato un progetto molto coinvolgente proprio perché porta il lettore in prima battuta ma poi, immagino, il pubblico quando verrà diffuso, a chiedersi: che cosa farei io in una situazione del genere? È giusto quello che fa questo personaggio? Lo posso capire? Certamente lo posso capire. Lo posso giustificare? Questa è una riflessione più complessa, però… tornando alla domanda… che cosa si è disposti a fare per salvare la vita di un figlio? Be’, io ci ho pensato… Non è che uno si chiede semplicemente “che cosa si è disposti a fare per raccomandare un figlio?”. Insomma, salvare la vita è una cosa sulla quale non credo ci siano due risposte. Secondo me ce n’è solo una. Io credo che l’istinto primordiale di un genitore sia quello di salvare la vita del proprio figlio. È qualcosa di atavico, infatti questo contrasto è archetipico, è qualcosa che tiene alla tragedia greca. Cioè, un padre che ha costruito tutta una vita in assenza, perché praticamente pensava solo al lavoro, e non solo… un lavoro che ha che fare con l’etica, con la giustizia, con la morale, con un ruolo pubblico, anche investito appunto di un certo onore e onorabilità che per un caso della vita, una circostanza come dice lui stesso, si trova a dover spazzare via tutto in un attimo. Quindi, decidere di salvare la vita al proprio figlio… mah, a me sembra molto comprensibile. Chiaramente questo è il cuore pulsante della narrazione e anche quello che rende al massimo machiavellico il personaggio. Ed era questa una cosa importante, cioè non ci si dimenticava mai qual era la sua priorità. Io credo che ci siano delle cose davanti alle quali non si riesca a riflettere più di tanto ma semplicemente si agisca. Ecco, sono questi i grandi momenti di verità della nostra vita. In certi momenti uno agisce, poi viene da dire forse istintivamente farei lo stesso… non è detto, chi lo sa, forse no, non si sa. Cioè è veramente complessa come domanda ma io credo anche che la cosa bella di questa serie sia non cercare di dare una risposta. Questa domanda viene continuamente reiterata e poi la situazione crime e proprio la palla di neve che rotolando diventa una valanga. Quindi è molto coinvolgente, piena di colpi di scena. Anch’io ci tenevo a dire che i copioni erano molto efficaci fin dai primi incontri. La volontà era sicuramente quella di fare un prodotto che fosse diverso, una sfida all’interno di un contesto che è quello Rai se vogliamo, però… è chiaro che non abbiamo voluto fare una cosa in conflitto con quello che esiste, nel senso che si è veramente cercato di fare, di rendere questo tipo di narrazione coinvolgente e comprensibile e condivisibile da un pubblico ampio… proprio perché è una storia che tiene all’archetipo e quindi è una storia naturalmente inclusiva per quanto sia un crime. Poi, la produzione ci ha messo in una condizione di lavoro notevole perché nella serialità si corre. Alessandro [Casale] si definiva un po’ pignolo… sì, nel senso che dove si potevano fare tre inquadrature se ne facevano minimo cinque o sei che è bellissimo. Io sono il primo a non tirarmi indietro, nel senso che giustamente era anche questa la sfida: abbiamo cercato di creare un prodotto molto ricco visivamente, molto pieno di sfumature, non solo sulla recitazione, anche sulla fotografia, sul numero di inquadrature, sugli elementi di macchina, non c’era mai un momento di rilassamento, non c’era mai un momento di riposo… giustamente, siamo lì per lavorare ma [scherzando con Casale] non c’era mai un momento di rilassamento. Abbiamo cercato di fare un tipo di narrazione molto sofisticato… Poi ci tengo a dire che il lavoro con gli altri attori è stato ottimo. Un super gruppo di lavoro… È stato facile, soprattutto quando i ritmi sono così elevati ci vuole sintonia. Con Matteo, per esempio, posso dire che fin da subito ci siamo intesi a meraviglia. C’è stato un ascolto emotivo ed empatico profondo, e poi con Barbara, con Francesco, con Remo, con tutti gli altri attori del cast… con Camilla avevo già lavorato [ne Il campione, L. D’Agostini, 2019]. È stato davvero un grandissimo lavoro di squadra. Ed è fondamentale quando si fa un prodotto come questo. E quindi è stato sempre, nonostante tutto, molto divertente, perché poi è vero che questo è un mestiere che lo si fa per passione. Ce l’abbiamo veramente messa tutta e credo che questa cosa è possibile, con questi ritmi, grazie al fatto che l’abbiamo girata in Italia. Abbiamo delle capacità tecniche notevoli. Abbiamo girato, sembra un dettaglio, ma fotograficamente quasi sempre a diaframma completamente aperto che vuol dire avere pochissima profondità di campo. Credo che i nostri fuochisti abbiano sbagliato forse tre fuochi in tutta la serie su cinquecento scene, cioè una cosa ridicola, e anche questo… noi abbiamo delle competenze nel nostro Paese altissime. La serialità sta permettendo anche di formare nuove maestranze perché ormai non si trovano più le troupe, e quindi, insomma, io credo che la serialità stia regalando tantissimo al nostro settore e credo che sia bello poter, in un contesto come quello Rai, esplorare così tanti terreni diversi. E per questo do atto a questa gestione che ha subito cercato di fare tante cose diverse. E credo sia fondamentale in un mondo come quello di oggi che corre e si confronta sempre di più a livello globale.

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