Dalla pellicola al Digitale: Le differenze

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Il passaggio dall’analogico al digitale ha inizio alla fine degli anni 80. L’apripista della digitalina al cinema è il suono, in un processo che inizia dalla seconda metà degli anni 80, suono trattato digitalmente. A partire dagli anni 90 il montaggio diventa un’operazione non più legata alla fisicità del computer ma con software appositi che consentono anche di modificare radicalmente le difficoltà stesse e la natura stessa del montaggio. Il colore inizia a essere digitalizzato tra gli anni 90 e 2000, e abbiamo i primi film con ripresa digitale, in cui assistiamo alla sostituzione della macchina da presa a pellicola con una macchina da presa digitale, fino alla fine degli anni 90, e oggi è completato al 90 per cento, perché ci sono dei registi che ancora oggi usano la pellicola preferendo digitare successivamente il materiale girato perché ritengono che la pellicola abbia una resa materica, cromatica e della luminosità molto superiore rispetto al digitale; molti registi mainstream quindi utilizzano da principio la pellicola per poi digitizzarla successivamente, come Quentin Tarantino come ha fatto con The Hateful Eight (2015)

Digital intermieteda: Processo che si afferma negli anni 90, ma diviene diffusa solo all’inizio degli anni 2000.

Col passaggio dall’analogico al digitale, assume sempre più importanza la fase della post – produzione, la fase in cui il materiale girato del film passa nel laboratorio di post – produzione, e viene processato digitalmente. Prima del passaggio in digitale era una fase puramente tecnica per ottenere le stampe della pellicola, le copie da portare e proiettare nella sala, ma non era una fase in cui si interveniva creativamente sul materiale girato; con il passaggio al digitale la post – produzione spesso diventa molto più importante rispetto alla stessa produzione. Molti film oggi si girano in VOLUMI, ovvero spazi vuoti cosparsi di settori ottici che rilevano i movimenti degli attori applicati sul loro corpo, e il film viene costruito in post – produzione, come nel caso di Avatar o tutti quei film basati sulla performance capture. Ma anche film normali, con attori in carne ed ossa, si spende oggi col digitale tanti costi nella post – produzione, pochi invece per quanto riguarda quella nell’analogico.

Pellicola = Oggetto fisico che si può toccare

La natura stessa dell’immagine digitale = Non c’è un elemento fisico, ma ci sono dei numeri immagazzinati che contengono dei dati in un computer. Per la scheda grafica del computer che sta processando questa immagine digitale, non ha importanza se ci sono delle scritte, o l’immagine di un film, perché i computer leggono le immagini come sequenze numeriche e mette in ordine queste sequenze numeriche secondo un principio geometrico, che ad ogni numero corrisponde un punto preciso sullo schermo. Il computer non ha gusti nel fatto di quello che proietta, legge i numeri e le trasferisce in visione per i nostri occhi; fa un po’ quello che un personaggio di matrix, guardando quelle stringhe di numeri che cadono sul suo schermo, vede direttamente trasformare queste strisce di numeri in una realtà visibile. I computer trasformano sequenze di numeri in immagini digitali proiettate.

Immagine digitale si compone di pixel (Picture element) = Un pixel = Un punto in cui è suddivisa l’immagine/ Sequenza di numeri fitti organizzata in orizzontale e in verticale/        

1 Pixel è formato da 3 sotto – pixel, da 3 numeri che definiscono le informazioni dell’immagine, che si danno sempre in termine di colore: 1 sotto pixel di Rosso, di Verde e di blu. La pellicola non ha necessariamente niente a che vedere con il colore, è un materiale fisico.  L’atomo dell’immagine digitale è il sotto pixel, che è appunto un numero che può variare in funzione di altri fattori. Ogni sotto pixel ha valore che si esprime in Bit.

Computer sistema 24 Bit: Ogni colore si definisce su una scala di 8 bit; definisce il rosso ad una scala di 8 bit, lo stesso fa col rosso e il verde, 8 + 8 + 8 = 24 Bit.

I Bit, come spesso succede nel linguaggio informatico, funzionano in una scala esponenziale (Vs proporzionale). Se io passo da un bit a due bit, non passo da un’informazione a due informazioni, ,a passo da una a quattro informazioni; in una scala esponenziale da 2 alla prima che è = 2, e due alla due = 4. Posso arrivare a 256 informazioni. Se lo schermo di un computer è a un unico bit, io ho la possibilità di produrre solo due colori: il bianco e il nero. Più aumento il numero di bit, più aumento la possibilità di avere una scala di colori più variegata, più ricca di sfumature. In un computer domestico a 24 bit, io posso avere e scegliere tra 256 toni di colore di rosso, di blu, e di verde. Facendo il calcolo di tutte le combinazioni  il risultato a ogni pixel è 256 per 256 per 256. Il colore digitale è sempre e soltanto un sistema di  una scelta di 16 milioni.777.216 colori (come un Hotel). La pellicola invece ti dà più spazio alla possibilità, maggiore libertà (es. come una grotta). L’Immagine digitale è sempre discreta, ovvero formata da un punto che si distanzia dall’altro e ogni punto è un valore numerico assegnato

L’immagine analogica invece ha una natura continua; La linea che noi percepiamo di una montagna è unica; nell’immagine digitale viene suddivisa in tanti piccoli scalini, che io vedo se mi avvicino alla montagna. Tanto maggiore sarà il numero di scalini, tanto maggiore sarà la mia percezione che la montagna sia continua. Più pixel ho, più la mia immagine sarà definita, perché avrò sempre un numero maggiore di punti, quindi più informazioni, e sarà più vicina alla realtà. Il colore analogico è stato progressivamente sostituito dal colore digitale in cui rinttacciamo una fase di color correction realizzata con software di montaggio

Tempi della Post – Produzione in analogico

Operazione molto semplice della color timing: Passaggio dal negativo su cui erano effettuate le riprese, su quello che si chiama un interpositivo, supporto provvisorio che sarà poi ottenuto per stampare le copie proiettabili nelle sale cinematografiche. Su questo apparecchia, si guardava ogni scena che era stata filmata e decideva quanta luce dare a ogni singola inquadratura del film, lavorando sul fatto che la luce bianca può essere scomposta nelle sue tre componenti di base che sono la luce rossa, verde e blu, e quindi questo dosaggio delel luci poteva permettergli di risolvere degli errori di esposizione e di fare determinati effetti espressivi. Se in una scena ad es. il blu andava corretto perché troppo fiacco, col color timing, si poteva aggiungere un intensità alla luce blu, e ridurre ad l’intensità della luce rossa e verde. I colori primari sono ancora interdipendenti l’uno dall’altro: Se io aumentavo la luce blu, rendevo i blu più saturi e brillanti, ma ottenevo un effetto contrario sul rosso e verde, togliendoli purezza. Non consentiva grandi modifiche espressive rispetto ai colori girati, ma modifica solo piccole sfumature, riequilibrava i colori del film. Prima nei set si mettevano delle luci colorate, ad es. nel primo film di Antonioni a colori del 1964 Deserto rosso; la gran parte del lavoro era sul set, mentre il color timing era solo di perfezionamento. E’ una tecnica antica e archeologica, ma puoi ottenere delle sfumature e degli effetti di colore che non si possono ottenere con le tecniche digitali. Paul Thomas Anderson, ancora oggi, rifiuta il digitale, e utilizza il color timing. Questa tecnica è rimasta in auge fino agli inizi degli anni 2000, perché progressivamente è stata sostituita dal COLOR GRADING, che si compie direttamente in digitale. Dopo aver digitalizzato la pellicola, dopo aver trasformato quel materiale organico, continuo, e irregolare, in una serie di rettangoli fati di punti e di linee, di elementi discreti, che è un file digitale.

Le prime sperimentazioni sono del 1989, finalizzata a effettuare delle pratiche di color grading, ma in queste prime fasi i tre colori primari sono interdipendenti, determinando la modifica dei tre colori manipolandolo uno. Per arrivare alla manipolazione di un singolo colore senza manipolare gli altri, bisogna aspettare a partire dal 1993; è questo che traccia una linea radicale tra il color timing analogico e il color grading digitale, rendendo il blu più o meno intenso, lasciando inalterati come sono gli altri colori.

Il Digital intermediate (DI):  Tecnica che si ha quando la pellicola negativa di un film viene convertita in file digitali utilizzati nella post produzione, compreso il color granding. Digitalizzare un film in alta produzione implica degli spazi di memoria del computer enormi, diversi tera byte, e le tecnologie degli anni 90 non consentivano di archiviare tutti questi file, occorrevano centinaia di hardisk. Il DI si diffonde quando la tecnologia degli Hardware informatici hanno consentito l’immagazzinare di enormi quantità di dati, in piccoli hardware, che consentono quindi la digitalizzazione di un intero film.  Un primo tentativo pionieristico fu fatto nel 1993 quando la Disney decise di restaurare digitalmente un intero film, era la prima volta che succedeva, Biancaneve e i sette nani, cartone animato degli anni 30 in tecnicolor, e per fare questa operazione si servi di molti computers per archiviare i dati, e il colorista doveva lavorare su spazi ridottissimi del film perché il computer non permetteva di salvare una certa quantità in più. Per tutti gli anni 90 il digitale è limitato solo a quei film che utilizzano effetti speciali; si digitalizzano pezzi di film soltanto quando si deve intervenire con degli effetti speciali (Pensiamo a film come Forrest Gump o Jurassic Park, in tutti quei passaggi che presentano degli interventi digitali). Solo alla fine degli anni 90 e gli inizi del 2000, l’aumento progressivo degli spazi a disposizione fa si che il digitale si diffonde come pratica espressiva, non più solo legata agli effetti speciali, come nel caso di Pleasantville del 1998; film girato interamente a colori, e poi sono state digitalizzate le parti che nel film dovevano apparire in bianco e nero o ibridate. Le parti a colori sono state decolorate digitalmente oppure digitalmente colorate dove vediamo solo un oggetto a colori.

Nel 2000 il primo film che utilizza interamente il digitale riprocessato a colori, è Fratello dove sei dei fratelli Cohen, film ambientato negli anni 30 americani; applicarono il meccanismo di color grading, dopo aver trasferito la pellicola in digitale, il cui scopo è quello di ottenere delle immagini desaturate in cui i colori dominanti sono Ocra, marrone, blu molto slavato, che voleva evocare il look di vecchie fotografie o cartoline sbiadite per effetto del tempo, riflettendo la storia passata che sbiadisce nel tempo della nostra memoria. Si sposa con l’ambientazione degli anni 30 della grande depressione; fotografie virate in seppia, o con colori scoloriti e sbiaditi.  

Le innovazioni tecnologie portano fenomeni culturali complessi; nessuna evoluzione e cambiamento tecnologico ha portato con se un cambiamento radicale delle forme del cinema stesso, ma al contrario dopo un grande cambiamento tecnologico la novità ha sempre cercato di assumere la forma della vecchia e della precedente tecnologia, in modo da dissimulare lo scarto esistente tra la vecchia tecnologia e la nuova tecnologia. Il passaggio dall’analogico al digitale è un processo che investe l’intero panorama mediale dagli anni 90 al 2000; non solo il cinema, ma anche la televisione, e abbiamo la nascita di nuovi media che cominciano a popolare e ad essere presenti nella nostra vita quotidiana, e cominciano ad acquisire una funzione sempre più importante; la diffusione negli anni 90 dei telefoni cellulare, la diffusione dei personal computer da oggetti rari a oggetti di uso comune, e quotidiano; L’evoluzione stessa dei telefoni cellulari, che passano da essere strumenti per comunicare, per telefonare, e oggi sono diventati dei computer in miniatura. E’ un fenomeno trans – mediale, da una cultura analogica a quella digitale, è stato descritto da due studiosi americani con il concetto di RIMEDIAZIONE: Questo fenomeno si attua quando il nuovo medium tende ad utilizzare delle caratteristiche che appartenevano ad un vecchio medium; i media digitali tendono a rimediare quelli analogici, utilizzando come proprie caratteristiche che appartenevano al medium analogico; ciò succede anche con il colore digitale, che all’inizio della loro storia tendono ad assumere i colori analogici come proprio paradigma visivo di riferimento. Il primo esempio di rimediazione lo troviamo negli anni 90 nella pubblicità televisiva, che è il primo settore industriale a utilizzare il COLOR GRADING DIGITALE. La televisione degli anni 90 aveva una definizione più bassa, lo standard europeo 720 * 756, bassa rispetto al cinema che si muove su 2000 di definizione. Uno spot per la televisione occupa uno spazio su un computer molto ridotto, e quindi è più semplice e leggero fare il color granding; gli spot hanno anche una durata molto breve. La pubblicità televisiva è un settore industriale che ha sempre potuto godere di alti budget, alti finanziamenti da parte delle industrie che danno una grande importanza alla pubblicità, e anche a sperimentare tecnologie appena avanzate, ancora in fase di messa a punto industriale. La pubblicità cerca di differenziare il prodotto rispetto alle altre pubblicità che nel frattempo si stanno facendo; se la maggior parte delle pubblicità utilizzano metodi analogici tradizionali, io cerco di puntare e investire invece sul digitale e sulle nuove tecniche, che presentano dei giochi di colori, per avere un impatto molto più forte. Il medium che viene rimediato in queste pubblicità degli anni 90 è il cinema, e si cerca di imitare gli stili del cinema del passato; rimediare la cultura analogia dentro la cultura digitale. Il secondo esempio di rimediazione è nel cinema degli anni 90, che propone attraverso tecniche analogiche quello che possiamo definire come un falso digitale, un immagine che fa finta di essere digitale ma che in realtà non lo è. Una di queste tecniche è la Ritenzione dell’argento, una tecnica di stampa della pellicola piuttosto complicata da spiegare. Il risultato è quello di ottenere alti contrasti tra i chiari e gli scuri dell’immagine, e un effetto di de saturazione dei colori, che poteva apparire sullo schermo cinematografico come un effetto simile che gli spot televisivi stavano ottenendo digitalmente negli stessi anni. Esempi di film che lavorano sulla de saturazione e alto contrasto dell’immagine sono Seven di Fincher del 1995 e Salvate il soldato Ryan di Spielberg del 1998. Un’altra modalità per rimediare i nuovi colori digitali attraverso una tecnica analogica è quella che vediamo in matrix  quando il colore della matrice verde su sfondo scuro si presenta sullo schermo come un colore palesemente digitale, e il colore verde torna prepotentemente come chiave della matrice stessa, e sono ottenuti questi effetti analogicamente; tutti i verdi erano fisicamente presenti sul set in Matrix.  

Il terzo esempio di rimediazione: Attorno all’inizio degli anni 2000 con i fratelli Cohen, il colore diventa digitale, e viene rimediato il vecchio colore delle tecniche analogiche non più esistenti, rimediate attraverso delle tecniche digitali. Questo terzo modello di rimediazione avviene anche in The Aviator di Martin Scorsese del 2004, che rievocano dei look fotografici o cinematografici che appartengono al passato, e tramontati sulle scene da tantissimo tempo; è il gusto per il vintage, per un gusto archeologico dei colori e della modalità delle immagini che oggi non esistono più, ma si tenta di recuperarli attraverso tecnologie digitali. Alle origini di questo meccanismo di rimediazione possiamo collocare la scelta fatta da S. Spielberg all’inizio degli anni 90 di fare un film in bianco e nero, ma d’inserire due momenti in cui un elemento è colorato; la celeberrima sequenza del capottino rosso della bambina nel momento in cui appare per la prima volta, e nel momento a 2/3 del film quando quello stesso cappottino rosso riemerge in un mucchio di cadaveri, ed è stato riesumato in un campo di concentramento. Anche questa scelta di colorare il rosso, un singolo elemento dell’immagine in funzione di accrescere l’impatto emozionale, sia per il pubblico, sia per il personaggio protagonista del film, non è una novità, ma una sorta di rimediazione e di una formula che era stata già usata precedentemente da alcuni registi nel cinema precedente. Questi pesci in un acquario del film Rumble fisch di Coppola del 1983, l’effetto era stato ottenuto con delle tecniche elettroniche. Anatomia di un rapimento di Kurosawa degli anni 60 che riutilizzava la vecchia tecnica manuale di colorare manualmente la pellicola, e la corazzata potemkin del 1925 in cui i fotogrammi in cui compare la bandiera rossa della corazzata che si sta ribellando durante la sequenza della scalinata di Odessa furono colorati a mano anch’essi per crescere la portata emozionale e ideologica che la bandiera rossa deve avere   

Martin Scorsese fa una scelta ancora più elaborata dei fratelli Cohen perché: se nei fratello C. la scelta è di ricolorare il film secondo un’unica chiave cromatica, M. Scorsese invece ne sceglie tre di diverse chiavi cromatiche che seguono sia l’evoluzione psicologica del protagonista, sia gli anni dell’ambientazione del film. Vuole riproporre per ogni parte del film un look cromatico  che richiama una determinata tecnica cinematografica ad Hollywood di questi stessi anni; nel primo atto del film Scorsese cerca d’ispirarsi al Tecnicolor in dicromia che era diffuso negli stessi anni in cui il film ci parla (1927 – 1936), per ottenere una maggiore saturazione per i rossi. Nel secondo passaggio di color grading, Scorsese utilizza un altro filtro cromatico  che vuole simulare digitalmente il tecnicolor in tricomia degli anni 20, che era incapace di avere il blu, che vengono spenti in una tonalità tra il grigio e il verde opaco. Per la seconda parte del film ambientata tra il 37 e il 46, anni del boom del tecnicolor in tricomia ad Hoolywood che diventa subito famoso per i suoi coloro ipersaturi, molto materici e sensuali che sembravano uscire dallo schermo e da gli effetti di tridimensionalità all’imamgine, Scorseze, dal girato iniziale del film, uscito dalla pellicola, ottiene un effetto di colorazione diversa dopo questo processo di digitalizzazione per rendere il colore del tecnicolor di quegli anni. Nel terzo atto del film, ambientato alla fine degli anni 40, il film sceglie un look cromatico più realistico, in cui il colore non è sottoposto a interventi così violenti, e quando c’è un colore che invade l’inquadratura, è motivato diegeticamente; se il corpo del personaggio, è illuminato di rosso, in quello specifico spazio diegetico è presente una luce rossa. Da tutte queste tecniche abbiamo delle indicazioni:

La natura stessa del digitale, l’ontologia: Nel momento in cui un’immagine analogica viene digitalizzata il colore perde la relazione indexicale con la realtà profilmica.

REALTA’ PROFILMICA (quando io giro un film):  E’ tutto ciò che sta davanti alla mdp nel momento in cui riprende. Se io faccio la fotografia ad una mela con una macchina fotografica analogica, la pellicola conserverà, per un processo fisico, meccanico e chimico, la mela; quando la fotografo riceve la luce di un’illuminazione artificiale o la luce del sole, riflette questa luce verso l’obiettivo della macchina fotografica, che indirizza tutti i raggi di questa luce verso una finestra della macchina fotografica; dietro questa finestra c’è un fotogramma in pellicola dove questa luce e questi raggi di luce vanno ad imprimersi e a scatenare una reazione chimica nella pellicola, che reagisce in modo da impressionarsi solo dove arriva questa luce. La realtà profilmica nel mio caso sarà la mela      

RELAZIONE INDEXICALE: il fatto che nell’immagine che io trovo sulla pellicola, ottengo una sorta di impronta del fatto che a un certo momento del tempo, in un certo momento dello spazio, in quel punto c’era una mela, c’è stata una mela, che inviando i suoi raggi verso l’obiettivo che ha stampato questi raggi di luce su una pellicola. Io non posso ottenere l’immagine analogica di una mela se davanti a un obiettivo di una camera non ho messo la mela. L’immagine della mela sulla pellicola tiene una particolare relazione con la mela reale, e questo tipo di relazione si definisce una relazione indexicale (La mela che io trovo impressa nella pellicola è un indizio, cioè un indice, del fatto che una volta, io vedendo la mela su quella pellicola, io ho la certezza che una mela è stata davanti alla pellicola in un certo momento. C’è un legame che non può essere spezzato fra l’immagine che io vedo sulla pellicola e a un’impronta della luce che un oggetto reale ha inviato e si è stampato su quella pellicola, attraverso uno strumento tecnico che è la macchina fotografica. E’ una Relazione che esiste tra la mela reale e l’impronta di luce che la mela ha lasciato su questa pellicola 

Quando io digitalizzo un segnale analogico, convertendolo in una sequenza di numeri, fa si che questa relazione indexicale si perde. L’immagine della mela viene trasformata in una sequenza di numeri, e modificando quella sequenza di numeri io posso far si che quella mela diventi una pera, ed ad es. il caso del Morphin ?, una tecnica utilizzata come effetto speciale per far trasformare una mela in una pera o il volto di un personaggio nel volto di un altro. La pera che io avrò ottenuto digitalmente non ha più alcuna relazione indexicale con la mela, ma nemmeno la mela da cui sono partito ha più questa relazione indexicale perché nel momento in cui l’immagine della mela viene numerizzata, questa relazione non esiste più, perché non ho più nessuna garanzia che una mela sia stata in quel luogo preciso e in un tempo preciso, davanti all’obiettivo. Io posso ottenere l’immagine digitale di una mela prescindendo da qualsiasi mela, costruendo una mela che non è mai esistita in nessun tempo e in nessun spazio

Il colore diventa un elemento autonomo all’interno dell’ immagine, non è più definito da un processo pro – filmico come nella pellicola col colore analogico; io posso fotografare una mela e alterare digitalmente il suo colore trasformando quella mela in una mela viola o rosa ad es.   

La perdita della relazione indexicale e l’automatizzazione del colore, diffonde l’idea che il colore non è più percepito come un doppione del colore reale, come una riproduzione indexicale dei colori della realtà, ma il colore perde ogni relazione con la realtà e acquista allora un nuovo significato che può essere percepito in senso emozionale; ecco perché fra il passaggio al digitale e il color grading c’è il terzo elemento, perché spezzando i legami tra colori reali e ricostruiti nelle immagini, io spezzo anche la funzione che il colore aveva tradizionalmente nelle immagini, e invito lo spettatore a fruire il colore in una maniera diversa. Ed è il motivo per cui nei media digitali contemporanei il colore ha sempre più spesso una funzione emozionale, per stimolare i nostri sensi nella direzione di indurre determinate emozioni.

Il Cervello emozionale: La parte del cervello responsabile dei nostri stati emotivi. Le recenti scoperte della neurofisiologia e del cognitivismo sul funzionamento emotivo e la percezione del colore hanno rinnovato l’attenzione sul colore e sull’emozione, diffondendo questa attenzione non solo a livello scientifico, ma anche a livello di cultura di massa.  Riflessioni sui possibili legami che possono esistere tra percezione del colore e emozioni (sull’impatto emotivo che il colore può avere).

Il cinema contemporaneo rimedia vari periodi della storia del cinema in cui il colore viene considerato un elemento sensoriale: Avatar (Ritorno al cinema delle attrazioni); Sin city, pleasentiville (Per le forme della colorazione); usi cromatici del passato (Cohen, Scorsese)

L’esperienza cinematografia contemporanea ci invita a un esperienza corporea, incarnata dal concetto di embodiment, e il colore diventa un elemento determinante all’intero dell’esperienza fisica basata sia sugli effetti sinestetici, e sull’impatto che le immagini hanno sul nostro corpo.  Il colore nella cultura visuale contemporanea è un elemento importante e visibile sensibilmente in tantissimi film.

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