
I contenuti dell'articolo:
Heresy
Titolo originale: Witte Wieven
Anno: 2024
Nazione: Paesi Bassi
Genere: Horror, Drammatico
Casa di produzione: Make Way Films, VPRO, NPO
Distribuzione italiana: CG Entertainment
Durata: 61 minuti
Regia: Didier Konings
Sceneggiatura: Marc S. Nollkaemper
Fotografia: Luuk de Kok
Montaggio: Didier Konings
Musiche: Jasper Boeke
Attori: Anneke Sluiters, Len Leo Vincent, Reinout Bussemaker, Marc Eikelenboom, Nina Fokker, Sam Post
Trailer di “Heresy”
Informazioni sul film e dove vederlo in streaming
Dal noto scenografo olandese Didier Konings — che ha lavorato come production designer per svariati blockbuster come Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn (2020), La guerra di domani (2021), Ghostbusters: Legacy (2021), Thor: Love and Thunder (2022) e Il regno del pianeta delle scimmie (2024) — prende vita il lungometraggio folkloristico e autoriale Witte Wieven, opera prima di Konings come regista, dopo una serie di cortometraggi (Uncario, 2021; Seized, 2021) e alcuni video musicali (In My Breath, 2022; Signs, 2022).
Il film viene presentato in anteprima nazionale il 30 gennaio 2024 all’interno dell’International Film Festival Rotterdam, nella sezione Koolhoven presenteert. In seguito, viene selezionato in concorso in svariati festival di genere come Sitges Noves Visions 2024, Fantastic Fest 2024, Jakarta Filmweek 2024, GrimmFest 2024 e lo Scream Fest Horror Film Festival 2024, dove viene proiettato l’11 ottobre 2024.
In Italia, il film, intitolato con “Heresy”, è distribuito da CG Entertainment a partire dal 17 luglio 2025, utilizzato — insieme all’horror italiano Al progredire della notte (2025) — come pellicola di lancio della piattaforma di streaming CG TV, completamente rinnovata per l’occasione con una nuova veste grafica, nuove funzionalità e con la nascita del canale gratuito CG Grandi Classici, con un palinsesto, 24 ore su 24h, dedicato a film di grande qualità e di puro intrattenimento.
Trama di “Heresy”
In un villaggio medievale isolato e fortemente religioso, Frieda vive sotto il peso dell’accusa di infertilità — una colpa che la comunità interpreta come una punizione divina. Disperata, avvolta da un profondo senso di esclusione e colpa, Frieda si rifugia nella preghiera e nei rituali, cercando conforto nella fede. Ma quando riesce a sfuggire a un tentativo di abuso da parte di un macellaio del villaggio e si ritrova nella foresta proibita — un luogo ritenuto maledetto, dal quale nessuno è mai tornato — la sua vita cambia per sempre. In quella terra oscura, la donna incontra entità femminili mostruose e misteriose, che abitano la foresta e che la strappano al mondo che ha sempre conosciuto.
Frieda, contrariamente a quanto accaduto in passato, non muore in quel luogo: ne riemerge inspiegabilmente viva. La comunità, invece di accogliere questo evento come una manifestazione miracolosa, sprofonda nella paura. Ben presto, la gente inizia a credere che Frieda non sia stata salvata dal tocco di Dio, ma che abbia piuttosto stretto un patto con il demonio. Così, mentre il villaggio la osserva con sospetto, Frieda smette di resistere a quella nuova forza che l’ha avvolta tra gli alberi. Inizia a credere nel suo potere, trovando una nuova forma di fede — non nei dogmi della sua comunità, ma nei poteri oscuri e ancestrali che abitano la nebbia del bosco. Entità che forse potrebbero salvarla. O distruggerla.
Recensione di “Heresy”
Ogni storia, ogni narrazione ha i suoi tempi drammaturgici che vanno rispettati attentamente. Questo è il caso di Heresy di Didier Konings, un piccolo film di genere — sia per budget che per durata — che non ricerca un minutaggio fine a sé stesso, preferendo ricercare la giusta durata, fondamentale per portare a termine la storia senza ricorrere ad allungamenti o tagli eccessivi. Konings, contrariamente a tanti cineasti, rispetta la narrazione, la ascolta e si concentra sul raccontarne le sfumature emozionali e i personaggi fino a dove è necessario.
Konings e lo sceneggiatore Marc S. Nollkaemper si dimostrano in questo caso intelligenti, concentrandosi non tanto su ciò che voglia il pubblico o l’industria cinematografica, ma piuttosto sulla loro storia, fregandosene se il lungometraggio non raggiunge una durata ritenuta “cinematografica” in senso convenzionale — il film, infatti, arriva a malapena a un’ora. Il regista e il montatore avrebbero potuto effettuare una serie di tagli per trasformare il film in un mediometraggio, oppure ampliare le scene oniriche (già presenti nel lungometraggio) per estendere la drammaturgia e portarla alla durata canonica di circa 1h e 30 minuti. Invece, il cineasta olandese si concentra esclusivamente — e giustamente — sui bisogni della narrazione, rinnegando ogni ricerca del commerciale. Konings decide di donare alla sua pellicola il tempo giusto di esistenza, evitando di compromettere l’impianto narrativo in favore delle logiche distributive, che solitamente prediligono film di durata superiore all’ora.
Non è un caso, dunque, che questo lungometraggio non abbia trovato una sua distribuzione cinematografica, trovando spazio esclusivamente in streaming — per quanto riguarda l’Italia — o in televisione, come avvenuto nei Paesi Bassi, dove il film è stato trasmesso il 16 marzo 2024. Ma poco importa: ciò che conta non è tanto il medium distributivo, quanto la qualità stessa del lungometraggio. Anche se, a onor del vero, questa pellicola andrebbe vista su grande schermo per potersela gustare appieno — soprattutto a livello di sonoro, dove è evidente il lavoro musicale e di montaggio del suono realizzato all’interno della pellicola, che risulta fondamentale per generare un senso di tensione e di magia nello spettatore. Proprio per il modo in cui viene usata la musica e il sonoro, per certi versi, soprattutto nelle scene oniriche, si ha la sensazione di essere all’interno di una sorta di video musicale dal sapore di video arte.
Una storia dal sapore di già visto
La pellicola olandese del 2024, nonostante una drammaturgia solida e l’assenza di errori narrativi, non può essere definita come una storia profondamente originale o innovativa, risultando talvolta prevedibile. Il suo punto di forza risiede esclusivamente nella messa in scena onirica e anti-horror, dove è più importante la creazione della tensione drammaturgica attraverso un’atmosfera sensoriale e visiva — grazie al lavoro fotografico, scenografico, sonoro e alla realizzazione delle creature mostruose — piuttosto che nell’uso delle tecniche horror più abusate dal genere, come il jumpscare, spesso impiegato (soprattutto nei film spiritici) per generare spavento nel pubblico. Tutto ciò in Heresy è assente, per scelta stilistica e tematica, posizionandosi come un horror psicologico dalle tematiche femministe, piuttosto che come un film pensato per spaventare o incutere terrore — nonostante alcune scene indubbiamente inquietanti, in particolare quelle ambientate nella foresta oscura.
Per composizione di genere (in parte) e per struttura tematica, il film strizza l’occhio — in maniera evidente — al lungometraggio del 2015 di Robert Eggers, ovvero The Witch: una pellicola, come Heresy, ambientata in un’epoca arcaica, con al centro una narrazione fatta di stregoneria e di profondo senso religioso, incentrata su una giovane donna che si scontra con le norme sociali della sua comunità. Il bosco, in entrambi i casi, rappresenta un luogo di metamorfosi e di liberazione.
In The Witch, ambientato nel New England del XVII secolo, la giovane Thomasin è accusata di stregoneria dalla sua stessa famiglia, travolta dalla paranoia puritana. Non è solo la religione a schiacciarla, ma il bisogno di controllo che essa esercita sul corpo e sul comportamento femminile. La foresta, che circonda la capanna della famiglia, è il territorio del proibito, dell’ignoto. Quando Thomasin vi si rifugia, non lo fa per corrompersi, ma per liberarsi: abbandona la struttura patriarcale e religiosa per entrare in una dimensione altra, fatta di desiderio, potere e istinto. Il suo passaggio nella foresta non è una discesa negli inferi, ma un ritorno e una riscoperta di sé.
Heresy riprende questo impianto simbolico e lo trasporta in un immaginario folklorico olandese, altrettanto oppressivo. Frieda, la protagonista, vive in una comunità medievale che la condanna per la sua infertilità — una condizione che, come nel caso di Thomasin, mette in crisi il ruolo sociale della donna. Anche qui la foresta è confine e soglia: luogo proibito, ma anche spazio liminale in cui ciò che è represso può finalmente affiorare. La figura delle Witte Wieven, spiriti femminili della tradizione nordica, agisce come corrispettivo simbolico della strega, ma con una carica mitologica più arcaica e ambigua. Se Thomasin incontra il sabba e firma con il diavolo, Frieda entra in una dimensione spirituale più ambivalente, più legata alla terra, alla nebbia, alla conoscenza ancestrale.
Dal punto di vista registico, Eggers e Konings lavorano entrambi sulla sottrazione. In The Witch, il terrore non è urlato: è insinuato attraverso la fotografia desaturata, il sonoro ovattato, la recitazione contenuta. Gli eventi più sconvolgenti non sono mostrati, ma evocati. Heresy segue lo stesso principio: la violenza esiste, ma il film non ne fa spettacolo. È piuttosto la tensione morale, il sospetto collettivo, il desiderio silenziato a generare inquietudine. Entrambi i film restituiscono l’orrore non come evento, ma come clima — un soffocamento lento, una deriva psicologica che culmina nella liberazione della protagonista. E in entrambi, il punto di forza risiede nelle interpretazioni delle protagoniste: se in The Witch abbiamo una splendida prova attoriale di Anya Taylor-Joy, in Heresy troviamo un’incredibile prova attoriale di Anneke Sluiters, attrice poco conosciuta al pubblico europeo, ma capace di esprimere con forza i sentimenti di un personaggio intrappolato in una cultura fortemente patriarcale e religiosa, come nel caso di Thomasin.
In entrambi i film, dunque, abbiamo una storia di emancipazione femminista attraverso il proibito, l’oscuro, dove l’elemento diabolico diventa metafora della società stessa e della lotta al patriarcato. Il bosco, che rappresenta l’ignoto, è il luogo in cui la protagonista smette di essere vittima e diventa agente. Non redente, ma risvegliata. E in questo risveglio, il male non è ciò che le circonda, ma ciò che è stato loro negato.
Heresy non è solo un horror folklorico: è una riflessione su come il potere femminile sia stato storicamente represso, etichettato e infine temuto. Ed è proprio questa paura — la paura di un sapere che non si può controllare — che il film mette in scena. Frieda, tornando dal bosco, non è più la stessa. E il villaggio, nel tentativo di distruggerla, rivela il suo vero volto: quello di un sistema che non tollera il mistero e la novità, lottando per mantenere intatte le tradizioni sociali.
La mitologia folkloristica olandese delle witte wieven
In Italia, il film è stato rinominato Heresy, ovvero Eresia — una scelta piuttosto discutibile, poiché il titolo originale Witte Wieven risultava decisamente più azzeccato, oltre che significativo per l’intera opera filmica. Lo sceneggiatore Marc S. Nollkaemper, nel realizzare questa narrazione dal sapore di video arte, si rifà espressamente alla mitologia delle Witte Wieven — “donne bianche”, leggenda folkloristica dell’Europa nordoccidentale, profondamente connessa alla cultura tedesca e olandese.
Secondo tale leggenda — almeno nelle sue origini — le Witte Wieven, che compaiono sempre in gruppi di tre, non erano creature demoniache, bensì donne sagge, levatrici, guaritrici: figure di confine tra il naturale e il soprannaturale. Abitavano tumuli funerari o luoghi sacri immersi nella nebbia, e la tradizione orale raccontava che apparissero all’alba o al crepuscolo.
Il termine wit, spesso tradotto con “bianco”, ha in realtà una doppia radice: oltre al colore che richiama la loro apparizione eterea (nel film, una di queste entità è vestita di bianco), rimanda al verbo weten, ovvero “sapere”. Erano dunque presenze luminose non tanto per l’aspetto, quanto per la conoscenza che custodivano — un sapere antico, femminile, legato alla terra, alla nascita, alla cura. Con la cristianizzazione dell’Europa e il consolidarsi di una visione patriarcale della società, queste figure furono gradualmente demonizzate: da spiriti protettivi diventarono streghe, illusioni, agenti del male. La loro presenza cominciò, anche nel mondo della letteratura, ad essere associata alla trasgressione e alla tentazione, e le colline su cui si diceva vagassero vennero evitate.
In questa mutazione culturale, le Witte Wieven non persero la loro forza, ma ne cambiarono il senso: da forza spirituale e naturale si trasformarono in una minaccia, in un segnale del caos e della devianza. Il film Witte Wieven di Konings riprende questo nodo simbolico e lo intreccia alla storia di Frieda, dove il villaggio — immerso in un tempo indefinito e in una teologia punitiva — rappresenta la norma che schiaccia il desiderio femminile e l’indipendenza delle donne, dove l’uomo, attraverso il verbo di Dio distorto, esercita un controllo sociale che sorveglia i corpi e lo spirito femminile.
Frieda, in un mondo comandato dal maschio che può fare il bello e il cattivo tempo, nel momento in cui si ribella e scappa nel bosco — luogo proibito, infestato secondo la tradizione da spiriti malvagi — inizia il suo percorso di dissolvimento identitario. Il fatto che torni viva, e per giunta incinta, non viene visto come miracolo, ma come aberrazione: non è Dio che l’ha salvata, ma qualcosa d’altro, qualcosa che il villaggio non è pronto a nominare. Da questo momento in poi, Frieda diventa una nuova incarnazione di quel sapere ancestrale che la sua comunità ha cercato di estirpare. Il bosco, con la sua nebbia e le sue ombre, non è più semplicemente un luogo ostile: è la soglia attraverso cui Frieda rinasce, non come donna fertile secondo i canoni sociali, ma come custode di una spiritualità alternativa, selvaggia, indomita.
Le Witte Wieven, nel film, non appaiono come figure nette tra bene e male, ma come qualcosa di ambiguo, di indefinito, dove è lo spettatore a scegliere la conclusione della storia. Frieda ha accettato il diavolo? Oppure il male viveva nel villaggio? Ha intrapreso un viaggio di luce e di trasformazione positiva? Oppure no? Questa rilettura è potente perché restituisce al mito la sua complessità: le Witte Wieven non sono né demoni né sante, ma agenti di trasformazione. E il film di Konings sceglie di non dare spiegazioni razionali: lascia che il mistero si imponga come verità, che la spiritualità pagana si insinui tra le crepe del dogma religioso, scalfendolo e annientandolo, attraverso il dubbio.
La mitologia connessa alla figura di Freyja
Non solo connessione alle leggende olandesi, all’interno del lungometraggio, ma abbiamo riferimenti anche alla cultura vichinga. La figura di Freyja nella mitologia norrena è una delle più stratificate e potenti dell’intero pantheon germanico, e il personaggio di Frieda nel film Witte Wieven di Didier Konings (2024) ne rappresenta una rielaborazione narrativa e simbolica, non tanto come trasposizione diretta, quanto come eco archetipico. Freyja è la dea dell’amore, della fertilità, della bellezza, della guerra e della magia. Appartiene alla stirpe dei Vani, divinità legate alla terra e alla fecondità, ed è spesso descritta come una figura ambivalente: sensuale e guerriera, madre e maga, amante e psicopompa. La sua complessità deriva dal fatto che incarna forze vitali e distruttive allo stesso tempo. È padrona del seiðr, l’arte magica sciamanica che permette di vedere il futuro e manipolare il destino, e guida un carro trainato da gatti — animali sacri che simboleggiano eleganza, mistero e potere femminile. Freyja accoglie metà dei guerrieri caduti nel suo regno, Fólkvangr, mentre l’altra metà va a Odino nel Valhalla.
Nel film Witte Wieven, Frieda è, almeno all’inizio, l’esatto opposto. La protagonista, come già scritto precedentemente, è una donna sterile, perseguitata da una comunità religiosa che la considera colpevole della sua condizione. Quando entra nella foresta proibita e ne riemerge viva e incinta, viene accusata di essere un’agente del male. Ma Frieda non è posseduta: è trasformata. La foresta, come nel mito di Freyja, è il luogo della soglia, del passaggio, della metamorfosi. È lì che Frieda entra in contatto con poteri oscuri e ancestrali — le Witte Wieven, spiriti femminili del folklore olandese — che ricordano le manifestazioni liminali di Freyja: donne sagge, guaritrici, custodi di conoscenze dimenticate.
Il personaggio centrale della narrazione si rifà dunque espressamente all’archetipo di Freyja. Entrambe sono donne marginalizzate, accusate di devianza, ma portatrici di un sapere profondo e di una forza che sfida l’ordine patriarcale. Frieda, come Freyja, è legata alla fertilità non come dono biologico, ma come potere spirituale: la sua gravidanza impossibile è un atto di ribellione, una rivendicazione del corpo e della sua sacralità. In questo senso, Witte Wieven non propone una mitologia letterale, ma una mitopoiesi contemporanea:
In conclusione
Heresy (o meglio Witte Wieven) è un piccolo film che accetta il suo formato, la sua durata e la sua ambizione senza compromessi. Didier Konings firma un’opera dalle atmosfere rarefatte e inquietanti, che preferisce evocare piuttosto che spiegare, immergere invece che colpire. Una narrazione compatta e femminista, che attinge alla tradizione mitologica e folcloristica olandese per raccontare con delicatezza — e potenza simbolica — l’oppressione del desiderio e il riscatto del corpo femminile. Una pellicola che lascia il segno, pur senza gridare.
Note positive
- Regia coerente e rispettosa dei tempi narrativi
- Atmosfera onirica e sensoriale realizzata con grande cura visiva
- Ottima prova attoriale di Anneke Sluiters
Note negative
- Narrazione prevedibile e non particolarmente originale
L’occhio del cineasta è un progetto libero e indipendente: nessuno ci impone cosa scrivere o come farlo, ma sono i singoli recensori a scegliere cosa e come trattarlo. Crediamo in una critica cinematografica sincera, appassionata e approfondita, lontana da logiche commerciali. Se apprezzi il nostro modo di raccontare il Cinema, aiutaci a far crescere questo spazio: con una piccola donazione mensile od occasionale, in questo modo puoi entrare a far parte della nostra comunità di sostenitori e contribuire concretamente alla qualità dei contenuti che trovi sul sito e sui nostri canali. Sostienici e diventa anche tu parte de L’occhio del cineasta!
Regia | |
Fotografia | |
Sceneggiatura | |
Colonna sonora e sonoro | |
Interpretazione | |
Emozione | |
SUMMARY | 3.9 |