I coltelli del vendicatore (1966). Una storia di vendetta

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Trailer de I coltelli del vendicatore

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Mario Bava, nel corso della sua lunga e illustre carriera cinematografica, si è dimostrato un regista, sceneggiatore e direttore della fotografia incredibilmente poliedrico. Ha dimostrato un notevole interesse nel cimentarsi con una vasta gamma di generi cinematografici, mantenendo sempre una coerenza con la sua estetica autoriale distintiva. Nel 1966, dopo aver esplorato il mondo della fantascienza horror con il film cult “Terrore nello spazio“, Bava, maestro dell’horror e del giallo all’italiana, ha diretto sotto lo pseudonimo di John Old il film “I Coltelli del Vendicatore” (conosciuto anche come “Knives of the Avenger“). Questo lungometraggio rappresenta un’avventura avvincente e ricca di azione, intrisa di vendetta e gesta eroiche.

I Coltelli del Vendicatore” è arrivato nei cinema italiani il 30 maggio 1966, per poi fare il suo ingresso nelle sale americane nel gennaio del 1968. Nel cast del film spiccano nomi di attori di talento, tra cui Cameron Mitchell (noto per i suoi ruoli in film come “Sei donne per l’assassino” del 1964, “Ai confini dell’Arizona” del 1967-71 e “Il villaggio delle streghe” del 1986), Fausto Tozzi (che ha recitato in pellicole come “Donne senza nome” del 1950 e “La città si difende” del 1951) e Giacomo Rossi Stuart (che ha partecipato a film come “La morte viene dallo spazio” del 1958, “Ben-Hur” del 1959 e “Operazione paura” del 1966).

Trama de I coltelli del vendicatore

Karen è la regina di una tribù nordica, mentre suo marito Harald è il Re, anche se è assente da tre anni dal loro villaggio. Harald è partito per il mare in cerca di nuovi bottini, ma da allora tutte le tracce di lui si sono perse, portando molti a credere che sia naufragato e morto nell’oceano. In preda all’incertezza, Karen decide di consultare una strega per conoscere il loro futuro. La strega, con la sua saggezza antica, fa previsioni dolci e amare. Se da un lato prevede che Harald non sia morto, dall’altro avverte che un grande pericolo incombe su Karen e suo figlio Moki. Li esorta a fuggire dal loro paese per salvare la loro vita, in quanto il perfido Hagen, credendo il Re morto, desidera sposare Karen e prendere il posto di Harald.

Non passa molto tempo prima che Harald si presenti dalla strega, chiedendole di rivelare il luogo in cui Karen e Moki si nascondono. La strega, saggia e determinata, rifiuta di rispondere alla sua domanda diretta, ma profetizza un destino nefasto per Hagen, prevedendo la sua morte imminente e svelando che il suo assassino è già in viaggio verso di lui. Nonostante la profezia oscura, Hagen parte alla ricerca di Karen per rapirla, sposarla e ucciderla. Per fortuna della regina, mentre gli uomini di Hagen la cercano, un misterioso straniero dal passato oscuro arriva nella sua modesta dimora. Questo straniero si rivela essere più di quanto sembri, portando con sé un terribile passato e una vendetta personale da compiere.

Frame de I coltelli del vendicatore (1966)
Frame de I coltelli del vendicatore (1966)

Recensione de I coltelli del vendicatore

Mario Bava ci trasporta in un viaggio nelle terre nordiche ai tempi di Odino e dei vichinghi con questo lungometraggio, creando un film in costume ricco di influenze di genere sia a livello visivo che di sceneggiatura. Sebbene la pellicola sia presentata come un’epica avventura mitologica, si rivela essere soprattutto una storia di vendetta, con elementi di Western e sfumature quasi da Thriller, come dimostrato nella scena dello scontro tra lo straniero, che si rivelerà essere Ator, e il malvagio Hagen, magistralmente interpretato da Fausto Tozzi, il quale dà vita a un personaggio estremamente disgustoso e crudele. La caratterizzazione di Hagen è resa ancor più interessante dal suo monologo introduttivo, carico di odio e malvagità.

Tornando alla scena dello scontro tra Hagen e il nostro eroe, possiamo ammirare l’abilità straordinaria di Mario Bava nel creare la giusta suspense. Utilizzando la macchina da presa e la luce in modo sapiente, insieme alla creazione di spazi scenografici ben studiati, Bava riesce a realizzare un gioco di ombre e luci, in cui nasconde e mostra sia a noi che ai personaggi messi in scena. I personaggi sono immersi in un ambiente oscuro, permeato da ombre e oscurità, in cui dei raggi di luce entrano nella scena solo per rivelare volti e movimenti, mentre si svolge una lotta intensa di corpi e coltelli, creando un’atmosfera di tensione palpabile. Questo talento nel manipolare l’illuminazione, la cinematografia e la regia degli attori è ciò che distingue Bava come un maestro del cinema. Il modo in cui riesce a costruire l’atmosfera e a mantenere gli spettatori con il fiato sospeso è un esempio del suo genio cinematografico. Con questo film, Bava dimostra ancora una volta la sua maestria nel creare emozioni visive, rendendo ogni scena un’esperienza coinvolgente per il pubblico.

Dal punto di vista della sceneggiatura, la storia di narrata sebbene semplice, è ben costruita e risulta efficace nel suo messaggio tematico. La trama si basa su una riflessione sul senso della vendetta in un mondo in cui gli uomini sono governati da un odio malsano che li rende ciechi. Il nostro protagonista, Ator, non può essere considerato un eroe senza macchia e senza peccato, avendo un passato torbido segnato da gesta che lo hanno lasciato con le mani sporche di sangue. La storia esplora in modo interessante e accattivante il passato dei personaggi attraverso efficaci flashback, mostrando sia i loro difetti che i loro pregi. Questo approccio offre uno sguardo più tridimensionale e completo agli eventi che stiamo osservando, poiché ciò che sta accadendo alle vite di Ator, Moki, Hagen e Karen ha le sue radici in quell’atto del passato, iniziato con il sangue e perpetuato in una vendetta sanguinosa senza fine, che scopriamo attraverso dei flashback assolutamente ben fatti e congeniali nel modo in cui sono mostrati. Tuttavia, è evidente che Mario Bava si concentra maggiormente sulla messa in scena estetica che sulla trama della pellicola, che segue il classico schema di un film sul tema della vendetta. La fotografia, sebbene a tratti eccessivamente scura, e l’ambientazione accuratamente creata, unite a una regia attenta, contribuiscono a compensare alcune lacune della sceneggiatura. Questi elementi donano alla storia profondità ed enfasi, aggiungendo un livello di complessità che manca in alcune parti della trama. Ad esempio, personaggi come Hagen, che ci appare come un tipico cattivone stereotipato da film Western, e Karen, una donna che inizialmente ha un ruolo importante ma poi diventa un personaggio secondario, avrebbero potuto essere sviluppati in modo più approfondito nella sceneggiatura.

Nonostante queste lacune, la connessione emotiva tra Karen e Ator viene creata abilmente attraverso le scelte d’inquadratura e le espressioni degli interpreti. Lisa Wagner e Cameron Mitchell, in particolare, riescono a comunicare con gli occhi, creando una connessione che si fa palpabile, specialmente nella scena finale del film. In questo momento, l’ultimo sguardo tra Ator e Karen trasmette più significato di mille parole, evidenziando il talento del regista nel catturare emozioni complesse attraverso l’arte visiva del cinema.

Fotogramma de I coltelli del vendicatore (1966)
Fotogramma de I coltelli del vendicatore (1966)

Una complicata produzione: il dietro le quinte di “Savage Gringo” e “Knives of the Avenger”

All’inizio del 1966, Mario Bava si trovò coinvolto in una situazione complessa nel mondo del cinema italiano. In quel periodo, Antonio Roman stava dirigendo il film western intitolato “Savage Gringo” con la star Ken Clark, e Lamberto Bava, figlio del regista, che agiva come assistente alla regia. Tuttavia, il produttore Fulvio Lucisano non era soddisfatto del lavoro di Antonio Roman, accusandolo di lentezza e incapacità nel raggiungere gli standard richiesti. Dopo alcune scene girate in Spagna, Lucisano decise di interrompere la produzione e affidare il film a Bava, che si trovò a dirigere il 90% del film senza apparire nei crediti ufficiali, poiché la regia rimase a nome di Antonio Roman. Poco dopo, Bava fu coinvolto in un secondo progetto altrettanto problematico, “I Coltelli del Vendicatore”. Qui, si trovò a sostituire Primo Zeglio, che aveva già girato una parte del film prima che la produzione venisse sospesa per mancanza di fondi. Nonostante le difficoltà finanziarie, Bava, incoraggiato dalla sua esperienza nella regia del notevole film sui Vichinghi intitolato “Gli invasori” del 1961, accettò la sfida. Decise di scartare completamente la sceneggiatura originale di Alberto Liberati e Giorgio Simonelli, sostituendola con una versione riscritta e innovativa.

In soli sei giorni, Bava girò gran parte del film in location esterne, principalmente nei dintorni del villaggio di Monciana vicino a Roma, un approccio insolito per il regista. Nonostante le circostanze finanziarie difficili, Bava decise di utilizzare anche la spiaggia di Tor Caldara vicino ad Anzio, un luogo che aveva una certa importanza personale per lui e che era apparso in diversi dei suoi film. Durante le riprese, Bava affrontò una sfida personale, avendo appena perso sua madre e con suo padre in condizioni di salute precarie. Questo evento tragico potrebbe aver influenzato la dinamica della storia, aggiungendo un elemento personale e commovente al film. Queste difficoltà tecniche non fecero altro che evidenziare l’abilità straordinaria di Bava come regista nel gestire situazioni complesse e creare opere cinematiche suggestive nonostante le avversità e dei budget molto limitati.

In conclusione

“I coltelli del vendicatore” di Mario Bava è un’epica avventura mitologica che si trasforma in una storia intensa di vendetta, arricchita da influenze di genere e atmosfere da thriller. La maestria di Bava nell’utilizzo dell’illuminazione è evidente nelle scene di suspense, dove l’uso sapiente di ombre e luci crea un’atmosfera di tensione palpabile. Questo film è un testamento all’abilità di Bava nel manipolare le emozioni attraverso l’arte visiva del cinema.

Note Positive:

  • Maestria Visiva: L’uso magistrale di luci, ombre e cinematografia da parte di Bava crea una suspense palpabile, catturando lo spettatore in un’esperienza coinvolgente.
  • Espressioni degli Attori: Nonostante alcune lacune nella sceneggiatura, le espressioni degli attori, in particolare durante la scena finale, creano una connessione emotiva autentica, trasmettendo significati complessi attraverso il linguaggio del corpo e dello sguardo

Note Negative:

  • Sviluppo dei Personaggi: Alcuni personaggi, come Hagen e Karen, avrebbero potuto beneficiare di uno sviluppo più profondo nella sceneggiatura per arricchire ulteriormente la trama.
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