Love Club – prima stagione (2023): tante buone intenzioni per un risultato mediocre

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Love club - locandina

Love Club (2023)

Titolo originale: Love Club

Anno: 2023

Paese: Italia

Genere: Drammatico, Antologico

Casa di Produzione: Tempesta, Regione Emilia-Romagna (con il sostegno di)

Distribuzione italiana: Prime Video

Stagione: 1

Episodi: 4

Regia: Mario Piredda

Sceneggiatura: Silvia Di Gregorio, Bex Gunther, Denise Santoro, Veronica Galli, Tommaso Triolo

Attori: Veronique Charlotte, Alessio Lu, Ester Pantano, Rodrigo Robbiati

Trailer di Love Club

Il 16 giugno, MIXUP4PRIDE – evento organizzato dal MiX Festival Internazionale di Cinema LGBTQI+ e Cultura Queer di Milano – ha ospitato la presentazione, in anteprima assoluta, della nuova serie Prime Video, italiana e a tematica queer.  La data non è casuale: l’indomani si è tenuto il Pride meneghino

La serie ripercorre le modalità rappresentative di Skam, ovvero una linea drammaturgica legata all’approfondimento di singoli personaggi a cui vengono dedicate intere puntate – ciò che viene definita serie antologica. Composta da quattro episodi, vede come fulcro un locale meneghino – forse, prendendo spunto dal Plastic, locale nato negli anni Ottanta che si contraddistingueva per la sua originalità.

Gli attori sono quasi tutti alla prima esperienza – Ester Pantano ha partecipato anche ad altre fiction come Imma Tataranni e Makari. Prodotto da Tempesta con l’originale partecipazione della Regione Emilia Romagna (la serie, ricordiamo, è ambientata nel capoluogo lombardo), Love Club sarà disponibile su Prime Video dal 20 giugno.

Love Club non è la prima opera a tematica della piattaforma di Amazon: Prisma aveva già affrontato il tema del coming of age, includendo anche le vicissitudine legate alla fluidità di genere.

Sesso, amore e amicizia si esprimono con traiettorie impreviste e senza regole di genere.

dalla presentazione

Trama di Love Club

Il Love Club è un ritrovo di giovani adulti, quasi tutti appartenenti al mondo queer. È diventato un riferimento giovanile perché, in questo locale, i ragazzi hanno la libertà di esprimersi senza paura di essere giudicati. Le storie di Tim, Zhang, Rose e Luz sono protagoniste di ogni singolo episodio: Tim deve affrontare un disturbo mentale che va a sommarsi alla sua sensazione di diversità; Zhang deve affrontare i suoi fantasmi del passato che si ripresentano incarnati nella figura del compagno; Luz teme di perdere la propria libertà e, per questa ragione, si impedisce di vivere un amore; Rose ricerca se stessa riscoprendo la sua voce e facendosi avviluppare dalle emozioni che esprime.

Presentazione di Love Club

Love Club - Piccolo Teatro Studio Melato
Love Club – Piccolo Teatro Studio Melato

Al Piccolo Teatro di Milano, nella suggestiva sala intitolata a Mariangela Melato, è stato presentato il nuovo sforzo produttivo Amazon a tinte arcobaleno. Un’uscita che, a livello marketing, ricorda l’idea che ebbero Özpetek e Medusa per Le fate ignoranti (2001). La parola d’ordine è intersezionalità: come sottolineato dalla sceneggiatrice Denise Santoro, ogni singolo protagonista non va ad affrontare un unico aspetto discriminatorio o, comunque, di difficoltà sociale ma si ritrova in una miscellanea emotiva che dovrebbe, nell’idea degli autori, dare rappresentanza a situazioni più complesse in modo tale che più ragazzi possano sentirsi rappresentati.

Il regista Mario Piredda ha tenuto a condividere le proprie emozioni nella fase dei casting, aperti anche ad attori non professionisti: come nel suo lavoro di debutto, anche in questo caso ha voluto dare spazio ad argomenti a lui vicini, privilegiando in questo caso la naturalità – a detta sua – delle situazioni.

Il montaggio del promo è decisamente volto allo spettatore che si fa suggestionare dal sesso: ritroviamo tutti i protagonisti in atteggiamenti erotici. Una situazione che rende il prodotto molto più vicino a qualche cosa di commerciale che di sociopolitico.

Recensione di Love Club

Avviso importante: tale recensione è inerente ai primi due episodi – quelli con protagonisti Tim e Zhang – per cui potrebbe essere suscettibile di variazione.

Il regista ha cercato di diversificare gli ambienti delle due narrazioni, lasciando come unico punto di contatto il locale e tutto ciò che lo contraddistingue: una musica molto moderna, molto ritmata e giochi di luci che richiamano l’ambientazione. Insomma: tutto molto ordinario. E se può essere interessante la sua ricerca di inquadrature diverse, meno interessante è l’esasperazione nell’utilizzo dello slow motion che perde il suo valore simbolico e invece pare rappresentare una modalità per raggiungere il minutaggio necessario a chiudere l’episodio.

Tale sensazione è data anche da una sceneggiatura che lascia molti – troppi – punti sospesi: Daniela Santoro ha rimarcato come rappresentare diverse realtà, presenti in maniera simultanea, fosse una precisa volontà autorale. Tutto ciò sarebbe apprezzabile ma il risultato finale è che l’intersezionalità prevale sull’approfondimento. Non si capisce quale tipo di disturbo abbia Tim – in una sua battuta, affronta l’argomento in maniera svogliata e sbrigativa. Si banalizza lo scontro generazionale di Zhang, il quale meriterebbe maggior spazio rispetto a quello ricevuto, a maggior ragione visto il conflitto che riporta il giovane a ritrovarsi in situazioni a lui già note ma nocive: a conclamare una sindrome di Stoccolma reiterata piuttosto che a rasentare qualche cosa di patologicamente più serio e pericoloso rispetto al problema di Tim.

Love Club - cast
Love Club – Il cast

L’uso di molti attori non professionisti – o comunque inesperti – non agevola l’immedesimazione e la compartecipazione, lasciando lo spettatore in una modalità di osservazione distaccata e poco empatica. E anche le scene di sesso, così inutilmente ostentate, non vanno a creare né un’emozione erotica-sessuale né portano il personaggio ad una nudità che è quella a cui il prodotto pare dovesse essere orientato. L’originalità nell’uso di arie d’opera nel secondo episodio sembra ostentata più a una autocelebrazione culturale che utile ai fini narrativi – e dire che ne esistono di canzoni rap-trap-indie che avrebbero potuto sostenere la drammaticità cercata.

Rodrigo Robbiati, nella parte di Tim, fa il possibile ma non riesce a reggere la pesantezza interiore – ed esteriore – che il suo personaggio ha, venendo offuscato dal coprotagonista, anche se il tempo di esposizione sulla pellicola è significativamente differente. Alessio Lu, invece, ha dalla sua una innata malinconia sul volto, utile alla rappresentazione di Zhang, e un antagonista che non riesce a mettersi in risalto. Fra i comprimari, da rimarcare le interpretazioni della sorella di Tim e della nipote di Zhang, le quali risaltano fra tutte le altre.

In conclusione

Va comunque lodato un progetto come Love Club, a maggior ragione in Italia, perché apre una finestra sul mondo queer con tutte le migliori intenzioni. Vanno apprezzati tutti i partecipanti, dal cast alla produzione alle maestranze, perché capita che a volte si venga macchiati e marchiati da progetti ancora così politicamente e socialmente divisori.

Va anche tenuto presente che i giovani si rivolgono sempre più verso prodotti che vanno verso tutto ciò che non si sofferma troppo sul complicato, ancor meglio se tutto ciò è più immediato. E non importa se manca una base a sostegno degli avvenimenti e della storia perché questa viene compensata dal tempo che si risparmia. Sia ben chiaro che non è una colpa bensì la constatazione di un cambio delle modalità di accesso alle immagini: siamo giunti a usufruire prodotti visivi su smartphone tramite Youtube e Tik Tok. Per cui, il prodotto è probabilmente spendibile al pubblico che ci si era prefissati di raggiungere.

A livello tecnico e in merito al messaggio che voleva racchiudere, le prime due puntate non possono essere considerate soddisfacenti a meno di sviluppi nelle altre – sviluppi poco probabili visto che la serie è orgogliosamente antologica.

Note positive

  • Coraggio nell’affrontare certe tematiche

Note negative

  • Sceneggiatura lacunosa e troppo confusionaria
  • Eterni slow motion
  • Interpretazioni poco empatiche
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