Sweat: La vera identità dietro un’influencer

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Sweat

Titolo originale: Sweat

Anno: 2020

Paese: Polonia, Svezia

Genere: drammatico

Produzione: Lava Films

Distribuzione: Blue Swan Entertainment

Durata: 106 min.

Regia: Magnus von Horn

Sceneggiatura: Magnus von Horn

Fotografia: Michał Dymek

Montaggio: Agnieszka Glińska

Musiche: Piotr Kurek

Attori: Magdalena Koleśnik, Julian Świeżewski, Aleksandra Konieczna, Zbigniew Zamachowsk, Tomasz Orpinski

Trailer internazionale di Sweat

Il cineasta classe 1983, Magnus von Horn, realizza il suo secondo lungometraggio dopo Efterskalv (2015), nominato a Cannes 2015 nella sezione Golden Camera (vinta da César Augusto Acevedo per Un mondo fragile, 2015) e vincitore di 3 Guldbagge Awards nel 2016 (miglior film, miglior regista e miglior attore non protagonista). Curato dal direttore della fotografia Michał Dymek, collaboratore di Pawel Pawlikowski e Lukasz Zal sul set di Cold War (2018), e montato da Agnieszka Glińska, sparring partner di von Horn in Efterskalv, il film rientra nella selezione ufficiale di Cannes 2020. Sweat al momento ha ottenuto 9 vittorie nei festival internazionali, riportando ottime critiche nei confronti del regista nato a Göteborg e della giovane attrice polacca Magdalena Koleśnik. In Italia, il film esordisce nel concorso lungometraggi del Trieste Film Festival 32 con la proiezione streaming il 23 gennaio 2021.

Trama di Sweat

Varsavia. Sylwia Zając (Magdalena Koleśnik) è una popolare influencer di 30 anni che ha costruito la sua celebrità attraverso l’incessante uso dei social media. Grazie ad una splendida forma fisica ottenuta attraverso estenuanti sedute in palestra, riesce a conquistare 600.000 follower su Instagram, ma un post in cui dichiara di sentirsi sola cambia all’istante la sua vita. Uno stalker (Tomasz Orpinski) inizia infatti a perseguitarla con una frequenza incessante, costringendo Sylwia ad abbandonare la sua immagine e a riflettere su ciò che è diventata.

Recensione di Sweat

Inserito fra i titoli della selezione ufficiale di Cannes 2020 e presentato nei festival internazionali di Zurigo, Tokyo e Chicago, Sweat, secondo lungometraggio di von Horn, è un’attuale e interessante rappresentazione di un fenomeno (social)mediatico sempre più diffuso. Lo stesso regista, insegnante alla Scuola Nazionale di Cinema di Łódź, descrive il primo script come una risposta a una propria domanda riferita alla persona – e non all’immagine – nascosta dietro il profilo Instagram di una seguitissima motivatrice atletica e influencer. Sorpreso dalla quantità di contenuti postati quotidianamente, il cineasta nato a Göteborg ha cominciato a riflettere su ciò che poteva essere realmente quella ragazza tanto celebre sui social network, concentrandosi sulla sua voglia (e ossessione) di esibirsi, di ottenere mi piace, commenti, incrementando ogni giorno il numero di follower, veri e propri seguaci che richiedono di postare in continuazione. Ma cosa significa realmente essere un influencer?

Nella società contemporanea si tratta di persone in grado di attirare, o appunto influenzare, diversi utenti e, nella migliore delle ipotesi per gli esperti di marketing, conquistare addirittura potenziali clienti nell’acquisto di un particolare prodotto. Proprio per raggiungere tali finalità commerciali, gli influencer caricano migliaia di post, sperando in un seguito di milioni di follower che quotidianamente rispondano attraverso infinite serie di like. Numeri che (se raggiunti) rendono i social network qualcosa di nuovo, forse addirittura inaspettato, rendendo famose persone disposte a “globalizzare” la propria vita, e quantificando la popolarità delle varie celebrities a seconda del numero di seguaci. Eppure, ed è questo uno dei meriti di von Horn, cosa spinge qualcuno a intraprendere quel (difficile) percorso per divenire influencer?

Nel caso di Sylwia Zając, interpretata straordinariamente da Magdalena Koleśnik (al suo primo ruolo da protagonista in un lungometraggio), tutto comincia con la decisione della madre Basia (Aleksandra Konieczna) di iscriverla a diverse attività sportive. Sylwia si innamora così della palestra, rendendo il suo corpo sempre più atletico e avvertendo l’interesse a promuovere la cultura dell’attività fisica attraverso i social. Ma ciò che inizia senza una particolare programmazione, diventa col tempo qualcosa di importante, sconfinando persino in un lavoro molto promettente sotto l’aspetto finanziario.

Sylwia, dopo aver raggiunto 600.000 follower, è del resto una celebrità tout court, protagonista della cover di magazine sul fitness, invitata a TVP Sport e finanziata da importanti marche di attrezzatura sportiva, di nutrizioni proteiche e persino di catering (le cui confezioni devono essere le più biodegradabili possibili). Tuttavia, nonostante il successo e i ripetuti mantra come “accetta te stessa”, “lavora con il corpo che hai, non con quello che vorresti” e “l’allenamento inutile è quello che non hai fatto”, l’influencer pensata da von Horn resta una ragazza sola e isolata in un appartamento di Varsavia condiviso soltanto col sul terrier (#)Jackson. Una condizione, sottolineata sporadicamente da inquadrature a campo lungo, che spinge Sylwia a postare continuamente foto e video che la riprendono nelle situazioni più disparate (da un allenamento mattutino alla preparazione di un frullato, fino alla salita delle scale inteso come esercizio fisico), aggiornando puntualmente quel contatto con i follower avvertito come indispensabile. Perché in fondo una influencer con 600.000 “amici”, definita anche esibizionista, resta sempre una persona con le sue fragilità e un’irresistibile ambizione di poter essere vera e sincera, o addirittura di poter cancellare tutto con un semplice click (rendendo se stessa esponente di un’ipotetica cancel culture).

Un’emozione, definibile come la ricerca di un’umanità, che traspare in un post della stessa Sylwia in cui sostiene di voler tanto incontrare una persona speciale e di provare persino tristezza (o invidia) per il logico distacco di un’amica che si è appena fidanzata. La stessa che sembra soltanto avvertire nei confronti di Zosia, una parente incinta, ma che invece traspare con intensità verso sua madre Basia, imperterrita a non considerare la figlia come Sylwia ambirebbe. Ed è proprio Basia a ribaltare il “lato oscuro” di essere un’influencer, reputando la reazione dello stalker di Sylwia come una “risposta” a qualcosa che si è cercato. Ma è interessante notare come von Horn, autore di un’opera dai cromatismi pop (con qualche rimando a Tonya, C. Gillespie, 2017), proprio tra la protagonista e lo stalker, riesca paradossalmente a stabilire una sinergia emotiva corrisposta a quella ricerca del reale tanto cercata dall’esperta di fitness e, soprattutto, a trovare una risposta alla domanda Devi veramente esporti così?, a cui Sylwia ribatte affermando di non voler altro che essere accettata per come è. Anche a costo di apparire debole e patetica. Ma proprio per questo, incredibilmente autentica.

Note positive

  • La regia di Magnus von Horn (un plauso particolare per la sequenza della festa di Basia)
  • L’interpretazione di Magdalena Koleśnik, capace di reggere tutti i 106 minuti del film
  • Il racconto di un retroscena ancora poco analizzato, emblema delle conseguenze di una “società dell’apparenza”

Note negative

  • Nessuna da segnalare
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