Voice (2024). Il trauma secondo Yukiko Mishima

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Voice

Titolo originale: Voice

Anno: 2024

Nazione: Giappone

Genere: Drammatico

Casa di produzione:

Distribuzione italiana:

Durata: 118 minuti

Regia: Yukiko Mishima

Sceneggiatura: Yukiko Mishima

Fotografia:

Montaggio:

Musiche:

Attori: Carrousel Maki, Kataoka Reiko, Aikawa Sho, Matsumoto Kiyo, Maeda Atsuko, Bando Ryota

Trailer di Voice

Informazioni sul film e dove vederlo in streaming

Presentato in anteprima internazionale al Far East Film Festival 2024, tenutosi a Udine dal 24 aprile al 2 maggio, “Voice” è una pellicola giapponese diretta dalla cineasta di Osaka, Mishima Yukiko, nota per aver diretto precedentemente film come “Bread of Happiness” nel 2012, “Tsukuroi Tatsu Hito” nel 2015 e il film d’animazione “Biblia Koshodō no Jiken Techō” del 2017. Per la realizzazione della sceneggiatura di “Voice” (2024), Yukiko Mishima si è ispirata esplicitamente a un trauma che ha subito da bambina, quando è stata vittima di un’aggressione sessuale a soli sei anni. Questa tematica si riflette nel film, il quale si presenta come un’opera antologica suddivisa in tre storie accomunate dalla tematica del trauma.

Trama di Voice

La prima storia segue Maki (interpretato da Carrousel Maki), una persona transgender che ha completato la transizione da uomo a donna molti anni prima. Ora anziana, Maki vive da sola in una spaziosa villa sul lago di Toya, in Hokkaido. La mattina di Capodanno, mentre prepara alcuni piatti tradizionali per il pranzo festivo, aspetta l’arrivo di sua figlia Masako (interpretata da Kataoka Reiko), insieme al marito e alla loro figlia, per condividere il pasto insieme. Tuttavia, quando Masako arriva, la tensione tra madre e figlia è tangibile, come se ci fosse un muro emotivo che impedisce loro di comunicare apertamente. Masako ha sofferto e sta ancora soffrendo a causa del comportamento passato di suo padre Maki, che ha sempre preferito sua sorella Reiko, morta in circostanze drammatiche dopo un abuso sessuale avvenuto quarantasette anni prima.

La seconda storia si svolge a Hachijojima, un’isola a sud di Tokyo con una storia di esilio. Questo luogo, dove le tradizioni popolari sono ancora prevalenti, è noto per l’uso dei tamburi taiko, non solo per esibizioni artistiche, ma anche per comunicare gli stati d’animo tra gli abitanti. In questo contesto, un rude contadino (interpretato da Aikawa Sho) si trova ad affrontare il repentino ritorno della figlia incinta, Umi (interpretata da Matsumoto Kiyo), dopo cinque anni di assenza. Il contadino ha cresciuto Umi da solo dopo la morte della madre, ma con il tempo la ragazza si è allontanata dal padre e dall’isola. Quando Umi ritorna a casa, non riesce a instaurare una vera comunicazione con l’uomo e tenta di nascondergli la sua condizione. Tuttavia, quando il padre scopre informazioni compromettenti sul suo compagno, il suono di tamburi furiosi risuona nell’ambiente.

La terza vicenda ci presenta Reiko (interpretata da Maeda Atsuko), una giovane ragazza dal fare triste, che sbarca dal traghetto per partecipare al funerale di un suo ex fidanzato nel quartiere Dojima di Osaka. Dopo la cerimonia, mentre vaga da sola, viene avvicinata da un gigolò (interpretato da Bando Ryota) che si presenta come Toto Moretti e le offre i suoi servizi come amante per una notte. Reiko accetta l’invito e, una volta intrecciati i loro destini, confessa apertamente il motivo del suo coinvolgimento, mentre emergono ricordi dolorosi di uno stupro subito durante l’infanzia. 

Carrousel Maki in Voice
Carrousel Maki in Voice

Recensione di Voice

Yukiko Mishima realizza con “Voice” un racconto antologico che si sviluppa attraverso la narrazione di tre storie, ognuna caratterizzata da uno stile registico e fotografico diverso, ma analogo nel ritmo, negli intenti e nell’attenzione posta ai dettagli e alle sfumature delle più piccole emozioni, al fine di offrire un profondo spaccato psicologico umano dei protagonisti delle vicende trattate. L’interconnessione tra queste tre storie, che si citano costantemente l’un l’altra, soprattutto la prima e la terza, offre un’analisi delle diverse sfumature del trauma interiore, mostrando come diverse personalità e individualità affrontino in modi divergenti un trauma vissuto nella loro vita. Tutti i personaggi presentati in questa pellicola sono anime ferite, distrutte interiormente, legate a un passato di sofferenza che non riescono a lasciarsi alle spalle e che ritorna costantemente nella loro vita, offuscando la bellezza dell’esistenza e privandoli della possibilità di abbracciare una pura felicità.

Yukiko Mishima

Non penso che il trauma sia qualcosa che scompare mai, ma non è che le persone rivivano costantemente l’esperienza. Ci saranno momenti in cui (i sopravvissuti) se ne dimenticheranno e la vita sembrerà bella, ma poi il dolore ritorna, la crosta cade e la ferita ricomincia a sanguinare. Penso che il processo continui a ripetersi.

La prima vicenda ci conduce dentro il trauma di un uomo che ha perso la propria figlia a causa di una violenza sessuale, ma non solo. La figlia si è suicidata tempo dopo essere stata stuprata e l’uomo, padre di famiglia, si è sentito colpevole di questo gesto, ritenendosi colpevole di non aver aiutato sua figlia a guarire questa ferita. A causa di questo senso di colpa, Maki si trasforma in donna, quella donna che Reiko non potrà più essere nella propria vita. Dunque il trauma di Maki è il senso di colpa per non aver compreso e aiutato la figlia come avrebbe dovuto.

La seconda storia, quella più delicata nell’affrontare il tema del trauma, ci racconta di Umi, una ragazza che ritorna a casa dal proprio padre quando scopre di essere incinta. Il passato di Umi è segnato da un evento tragico: la morte di sua madre in un incidente automobilistico. Umi è uscita illesa dall’auto, ma sua madre ha subito gravi ferite che l’hanno condotta alla morte. Questo evento la porta ad avere paura delle relazioni e dell’affetto, temendo di soffrire di nuovo come ha fatto quando sua madre è morta. Il trauma di Umi è la paura di amare, poiché amare e voler bene a qualcuno possono condurre alla sofferenza.

La terza storia è intrinsecamente connessa alla vicenda di Maki, a livello simbolico. La protagonista di questo racconto si chiama Reiko, stesso nome della figlia di Maki deceduta in gioventù, personaggio, che come la figlia di Maki, ha subito in giovinezza un grave trauma fisico e psicologico come l’abuso, un evento che ha condizionato tutta la sua esistenza. Questo racconto si rifà espressamente anche a ciò che è avvenuto alla regista, vittima di violenza sessuale a sei anni, dunque la storia di Reiko richiama, nonostante il film non sia autobiografico, l’esperienza stessa di Yukiko Mishima, a livello prettamente di trauma e delle sensazioni piuttosto che di eventi narrativi. In questo terzo atto narrativo Reiko si ritrova a ricordare i momenti della violenza che ha subito e che l’ha condotta a ripudiare il suo corpo, a ritenerlo sporco, tanto da privarsi la bellezza di fare l’amore con qualcuno di cui è innamorata, invece il suo corpo diviene per lei un elemento solo per fare del sesso con gente sporca e meschina, di cui a lei non importa niente. Interessante però come all’interno di questo terzo racconto viene citata, svariate volte il mondo cinematografico italiano, in primis il capolavoro di Nanni Moretti “La stanza del figlio”, pellicola del 2011, che potrebbe essere considerata come il quarto racconto interno alla pellicola. Il film di Moretti tratta il senso un trauma, quello dello psicoanalista Giovanni che ci sente colpevole e causa della morte del proprio figlio. 

Il trauma è l’elemento che unisce le tre storie, le quali possiedono, come scritto precedentemente, elementi stilistici e registici alquanto dissimili. Nel primo racconto, si notano numerosi movimenti di macchina da presa a panoramiche, spostando l’attenzione spesso e volentieri, attraverso un lento movimento della cinepresa, da un personaggio A a un personaggio B. Questo viene fatto al fine di raccontare tutte le sfumature emotive dei personaggi all’interno di una storia di poche parole, che si erge sulla semplice quotidianità e routine del vivere. Accanto a questa semplicità del vivere, però troviamo, in special modo nel monologo finale di Maki, con una strepitosa performance attoriale dell’attrice transgender Carrousel Maki, una fotografia, una regia e stile interpretativo altamente teatrale. La luce si riempie di colori e di riflessi blu, privando il luogo di quel senso realistico che l’ambiente casalingo aveva avuto da inizio pellicola, mentre la regia diviene statica concentrandosi esclusivamente sulla performance di Carrousel Maki, che in maniera intensa ci trascina nel mondo di dolore, sofferenza e folle del suo personaggio, che ci racconta i momenti tragici della sua vita, di quando ha scoperto che la figlia è stata stuprata e di quando ha saputo dalla polizia della morte della figlia. La seconda storia possiede uno stile registico marcatamente tradizionale, concentrandosi sui panorami e sui silenzi. La fotografia è alquanto naturalistica senza possedere nessun tocco di vera e propria artisticità, il tutto grazie a una regia che si dimostra invisibile a favore del racconto e del condurci dentro l’emotività dei personaggi. Sotto alcuni aspetti visivi e sceneggiativi questo terzo racconto risulta il meno interessante presente nella pellicola. Il terzo invece si discosta fotograficamente dalle precedenti storie, rifacendosi a uno stile neorealista italiano a livello fotografico e sceneggiativo, rifacendosi a una fotografia prettamente bianco e nero che intende concentrarsi sia su una sorta di critica sociale, dimostrando come la società giapponese sia menefreghista nella sua essenza, sia sull’emotività del suo personaggio, entro una storia a tinte quasi romantiche – drammatiche in cui la protagonista Reiko intesse un rapporto d’amore e d’odio nei confronti di un gigolò che si fa chiamare Totò Moretti, in onore del cinema italiano. A livello registico la pellicola si concentra sempre sui due personaggi al centro della vicenda e sulle loro sottili emozioni, ma la sequenza di maggior potenza, nonostante le scene in hotel sono ottimamente girate, risulta essere il lungo piano sequenza in cui vediamo e sentiamo la disperazione di Reiko che camminando per strada insieme al gigolò racconta il suo trauma, sia fisicamente, emotivamente e a livello dialogico, in una scena straziante grazie all’abile interpretazione dell’attrice. 

Maeda Atsuko in Voice (2024)
Maeda Atsuko in Voice (2024)

In conclusione

“Voice” di Yukiko Mishima si distingue per il suo approccio articolato alla narrazione del trauma interiore umano, con un’attenzione ai dettagli, alle emozioni e alle performance attoriali coinvolgenti. Tuttavia, la presenza di stili registici diversi potrebbe influire sulla coerenza del ritmo narrativo e sulla coinvolgenza complessiva delle diverse storie.


Nota positiva:

  • A livello temporale è interessante come ogni episodio percorrà un anno a ritroso. Il primo è nel 2023, il secondo nel 2022 e il terzo (probabilmente) nel 2021.
  • La struttura antologica della narrazione, attraverso tre storie interconnesse, offre una visione ampia e approfondita del trauma interiore umano, permettendo al pubblico di esplorare diverse sfaccettature della sofferenza psicologica.
  • Il film si distingue per l’attenzione posta ai dettagli e alle sfumature delle emozioni dei personaggi, che vengono esplorate con profondità e sensibilità, donando al racconto un forte spessore psicologico.
  • Performance Attoriali Coinvolgenti: Le performance attoriali, in particolare quella di Carrousel Maki nel primo racconto, sono descritte come strepitose e coinvolgenti, trasmettendo al pubblico la profonda sofferenza e la complessità emotiva dei personaggi.
  • L’utilizzo di stili registici e fotografici diversi per ogni storia contribuisce a creare una varietà visiva e narrativa, mantenendo al contempo coesione e coerenza tematica.

Nota negativa:

  • La seconda storia, nonostante un approccio tradizionale e naturalistico, potrebbe risultare meno coinvolgente rispetto alle altre due, a causa di una minore presenza di elementi artistici e di una narrazione meno intensa.
  • Ritmo a tratti eccessivamente lento
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