Andrej Rublëv (1966): il senso dell’arte secondo Tarkovskij

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Andrej Rublëv

Titolo originale: Андрей Рублёв (traslitterato: Andrej Rublëv)

Anno: 1966

Nazione: Unione Sovietica

Genere: biografico, storico, drammatico, epico

Casa di produzione: Mosfil’m

Distribuzione italiana: Ceiad Columbia

Durata: 186 min (Director’s Cut) 206 min

Regia: Andrej Tarkovskij

Sceneggiatura: Andrej Michalkov-Končalovskij, Andrej Tarkovskij

Fotografia: Vadim Jusov

Montaggio: Andrej Tarkovskij, Ljudmila Fejginova

Musiche: Vjačeslav Ovčinnikov

Scenografia: Evgenij Cernjaev

Attori: Anatolij Solonicyn, Ivan Lapikov, Mykola Hryn’ko, Nikolaj Sergeev, Irma Raus Tarkovskaja, Nikolaj Burljaev, Roland Bykov, Michail Kononov

Trailer del film Andrej Rublëv (1966)

Andrej Rublëv” (1966) è il secondo film del cineasta russo Andrej Tarkovskij. A causa di problemi legati alla censura è stato presentato fuori concorso al Festival di Cannes solo nel 1969 e per volontà del regista l’uscita su ampia scala fu ritardata al 1971. Il film rilegge la storia della Russia del XV secolo attraverso le gesta del pittore d’icone Andrej Rublëv. Ma la chiave di lettura è il senso dell’arte che vince sulla politica sanguinaria degli uomini.

Trama di “Andrej Rublëv”

L’opera è strutturata in otto episodi, preceduti da un singolare prologo e seguiti da un epilogo. Il film abbraccia più di vent’anni di storia della Russia del XV secolo, sconvolta dalle continue invasioni dei Tartari. Ai margini della storia la figura di Andrej Rublëv, un monaco pittore d’icone, pellegrino da una città all’altra in cerca di Chiese da affrescare. Il suo personaggio, interpretato dall’attore Anatolij Solonicyn, nei primi capitoli risulta quasi assente, come fosse una comparsa; nella seconda parte, assume un ruolo centrale, la storia gira interamente attorno ai suoi pensieri e ai suoi turbamenti; negli ultimi capitoli, Rublëv agisce da silenzioso osservatore. Il pittore conosce la grande potenza comunicatrice dell’arte, e si sente in difficoltà nel momento in cui gli viene commissionato un affresco che ritrae il Giudizio Universale. Per Andrej non esiste nient’altro che l’Arte Sacra e non si riesce a capacitare delle atroci violenze a cui deve assistere lungo il suo cammino. Con la perdita della fede da parte del popolo, viene meno anche la benevolenza del suo spirito: l’unica risposta al dolore sembra essere il silenzio e la cessazione della sua attività come pittore. Ed è proprio grazie al silenzio, che Rublëv riesce a tornare ad amare il mondo per quello che è, recuperando la sua idea di amore, accettando il tormento come parte integrante dell’umanità stessa. Se inizialmente il suo conflitto interiore non sembrava potersi risolvere, com’era già apparente nel suo rifiuto di dipingere il Giudizio Universale, per il potenziale terrore che avrebbe provocato nei suoi osservatori, è con la comprensione del dolore degli altri che si può andare oltre, al di là dei propri limiti mortali.

Recensione di “Andrej Rublëv”

Dopo lo splendido lungometraggio d’esordio “L’infanzia di Ivan” (1962), Andrej Tarkovskij cambia completamente registro, ambientazione e stile narrativo. Con “Andrej Rublëv” il regista tocca forse i vertici della sua poetica autoriale, in un’opera contemplativa, aggressiva e potente.

Il cineasta scrisse il film insieme allo sceneggiatore Andrej Michalkov-Končalovskij con lo scopo di giungere al significato ultimo delle cose, basandosi sul potere dell’arte e della fede in un periodo storico di terrore, di fame e di pestilenza. Il film è solo largamente ispirato alla figura di Rublëv, della cui biografia si conosce poco. In tal senso, l’opera assume i tratti di una riflessione sul ruolo dell’artista e sulla spiritualità umana, cercando di collocarsi al di là degli elementi che ne determinano la trama, per ambire alla trasmissione di un messaggio morale universale. L’autore, infatti, nell’impossibilità produttiva di offrire una ricostruzione fedele dell’epoca, decide deliberatamente di ancorarsi alla spiritualità di ciò che vuole rappresentare, dei suoi elementi contemplativi, cercando di evitare di mettere in scena una semplice riproduzione storica di fatti. Le condizioni attraverso le quali Andrej Rublëv si trova a realizzare la sua arte vengono, pertanto, delineate a partire dal suo rapporto con il suo ruolo di monaco e di artista. Ad esempio, in contrasto con il resto dell’opera, nel prologo viene mostrato un evento apparentemente disconnesso dalla vita di Rublëv e riguardante un individuo di nome Yefim, il quale si schianta al suolo dopo aver cercato di prendere il volo con una macchina aeromobile. Tarkovskij elimina consapevolmente l’antefatto che permetterebbe allo spettatore di capire le motivazioni dietro al gesto di Yefim, riducendo la sua esperienza a un episodio apparentemente senza significato e che poi non verrà più ripreso. In realtà, il prologo funge da elemento stimolatore del senso dell’intera opera, mostrando la poetica di Tarkovskij: il cinema, come egli stesso scrive nel suo saggio “Scolpire il tempo”, deve in primo luogo: «descrivere l’avvenimento, e non il proprio atteggiamento nei confronti di esso», atteggiamento che deve invece scaturire dalla visione complessiva del film. “Andrej Rublëv”, dunque, sottopone ai propri spettatori la vita del pittore, ma quest’ultima non deve essere assimilata come una mera esposizione di fatti, bensì deve essere compresa nella sua tensione verso uno schema comprensivo superiore che vede nella storia di Rublëv la rappresentazione di un pensiero, di uno stato della mente, che necessita di essere riattivato per consentire alle sue verità di emergere. L’arte sembra operare come un medium che raccoglie queste istanze e che le rende tangibili, visibili, materiali. La creazione artistica, pertanto, sembra configurarsi come quell’elemento della produzione umana che ci ricongiunge con l’umanità stessa, o più precisamente, con il senso profondo che sottostà all’essere umano, dando vita a una vera e propria forza connettiva tra l’uomo e la sua essenza.

Visivamente il film è perfetto. Tarkovskij riprende la bellezza nel senso più artistico del termine, grazie ad ampie panoramiche e primi piani d’incredibile impatto. Utilizza una macchina da presa che sposta il suo occhio da sinistra a destra, avvicinandosi lentamente ai suoi personaggi e definendo i caratteri che caratterizzano ogni tappa del cammino di Andrej. L’utilizzo della soggettiva enfatizza la dimensione riflessiva. L’opera è in un bianco e nero freddo e distaccato, abbandonato solo nell’epilogo, che mostra, a colori, varie opere di Rublëv. La scelta del bianco e nero è parte di quella grande espressività e ricerca che segue l’intera storia e caratterizza ogni fotogramma. L’assenza del colore conferisce intensità e concentra l’attenzione sulle azioni, sulle caratteristiche dei personaggi e sui dialoghi. Il passaggio dal bianco e nero al colore nell’esibire le icone realizzate da Andrej Rublëv, amplifica ulteriormente il senso del messaggio tarkovskijano, che, nel sottolineare la serenità del loro apparire, nel connubio tra arte e vita, vede nella centralità di una relazione armoniosa tra gli uomini lo scopo ultimo dell’umanità.

Grande il lavoro del compositore Ovčinnikov, che compone una colonna sonora degna di nota, capace di accompagnare alla perfezione le immagini e i vari momenti. Ottima prova per i vari attori, in particolare Solonicyn, sconosciuto attore di teatro dalla grande intensità espressiva che lavorerà con Tarkovskij anche in “Stalker” e “Lo specchio”.

In conclusione

“Andrej Rublëv” è un’opera enorme, capace di far discutere, riflettere e su cui si può dibattere all’infinito. D’altronde, nel cinema di Tarkovskij lo spettatore assume un ruolo attivo, smette di ricevere semplici informazioni audiovisive e viaggia attraverso le metafore, dalle mille interpretazioni, che esso ci offre.

Note positive

  • Regia
  • Sceneggiatura
  • Fotografia
  • Complessità tematica

Note negative

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