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Atlantis
Titolo originale: Atlantyda
Anno: 2019
Nazione: Ucraina
Genere: Drammatico, Guerra
Casa di produzione: Garmata Film Production, Limelite
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 108 minuti
Regia: Valentyn Vasyanovych
Sceneggiatura: Valentyn Vasyanovych
Fotografia: Valentyn Vasyanovych
Montaggio: Valentyn Vasyanovych
Attori: Andriy Rymaruk, Liudmyla Bileka, Vasyl Antoniak, Lily Hyde, Philip Paul Peter Hudson, Igor Tytarchuk
Atlantis è un film drammatico del 2019 diretto dal regista ucraino Valentyn Vasjanovyč. Ha vinto il premio Orizzonti per il Miglior film alla Mostra di Venezia 2019, ed è stato candidato come rappresentante dell’Ucraina agli Oscar come Miglior film internazionale, non rientrando nella cinquina. Il regista è attualmente nelle sale con il film Reflection. La pellicola verrà distribuita da Wanted Cinema nelle sale italiane l’11, 12 e 13 aprile.
Trama di Atlantis
Nell’Ucraina orientale, nel 2025, in un futuro prossimo in cui la guerra tra Russia e Ucraina è terminata, in un paese diventato inospitale, il protagonista Sergeij è un ex soldato che soffre di un disturbo da stress post-traumatico che, perso il lavoro e un amico, ex soldato come lui che arriva a suicidarsi, lotta per adattarsi alla sua nuova vita, tentando di trovare un senso.

Recensione di Atlantis
Alla luce degli eventi attuali, di tutto ciò che sta accadendo in Ucraina, dove una guerra sanguinosa sta distruggendo le vite dei cittadini e di tutti coloro che stanno combattendo sul campo sacrificando la loro esistenza, questa pellicola scaturisce nello spettatore un’inquietudine disarmante, la visione di una realtà che qui guarda al futuro, ma che per noi rappresenta il presente. Siamo qui nel 2025, in un futuro in cui la battaglia in Donbass in particolare, dove il conflitto è iniziato anni fa (prima di sfociare nello scontro attuale) è terminato, la violenza e il male subito scorrono come immagini perenni negli occhi di chi ha lottato, emerge dalla terra dilaniata e divenuta nemica dell’essere umano: la guerra è finita, ma non lo è per quella terra, per quegli occhi. I soldati stanno ancora subendo quella violenza nella loro mente turbata, soffrendo psicologicamente per la disumanità vissuta, alcuni tentano di trovare un senso a quella vita ormai distrutta, altri non possono che farsi sottomettere da quel male, cedendo alla morte.

La camera è fissa, guarda dall’alto come un Dio che osserva le conseguenze del dolore, il più delle volte osserva frontalmente questi esseri umani che vagano come dei morti viventi, scovando i cadaveri che la guerra ha lasciato. Inquadrature simmetriche e statiche, una camera che pare nascosta davanti e dietro i personaggi, che spia il loro dolore e la loro disperata volontà di sopravvivenza; la regia rigida e distante, la fotografia desaturata, che vede come colori predominanti il verde e il grigio, permeata talvolta dall’oscurità, è funzionale per descrivere realisticamente questa realtà. Ogni fotogramma vibra di una potenza documentaria vicina al presente, un presente in cui la devastazione è in corso. E’ potente come non mai la ripresa di un veicolo in fiamme e un cadavere vicino a esso: delle immagini che ricordano prepotenti la situazione attuale, andate in onda in tv nelle scorse settimane.

E’ la storia dell’essere umano che viene raccontata nella pellicola, del singolo dietro alla macchina collettiva della guerra. Una visione terribilmente reale dell’emersione dalle fiamme dell’inferno vissuto, la sofferenza scaturita dal disturbo da stress post-traumatico che può stravolgerti fino a gettarti tra le braccia della morte. All’inizio del film il suicidio dell’ex soldato è significativo per l’intera narrazione: quell’inferno che ha vissuto non può far altro che risucchiarlo, e gettarlo definitivamente tra quelle fiamme.
E’ assordante il silenzio che accompagna la maggior parte delle sequenze della pellicola, in cui il protagonista visita la devastazione che ha lasciato la battaglia, come una casa vuota e distrutta o l’autopsia dei cadaveri ormai mummificati.

La narrazione è apparentemente circolare, annunciando forse una storia che si ripete, o un cerchio che si chiude definitivamente. Da questo scaturisce una riflessione che genera tante domande, ma poche risposte. Il film però lascia sicuramente una speranza, data dal contatto umano che rinnova la volontà di vita del protagonista. Le ultime non sono più immagini di morte, ma di amore, di un nuovo inizio. E’ il coraggio e la forza degli ucraini che emerge da queste ultime riprese.

In conclusione
Atlantis è una pellicola dal ritmo lento, fatto di pochissimi dialoghi, poiché a comunicare il messaggio potente del regista ci sono le immagini, che urlano più forte delle parole. Un film che fa parte probabilmente di una nuova corrente cinematografica, un nuovo neorealismo che, come quello italiano, racconta l’oggettività della guerra e del dopoguerra.
«Resto a Kiev. Voglio essere tra persone consapevoli della loro appartenenza etnica, culturale e politica. Voglio essere tra queste persone per acquisire esperienze importanti che mi aiuteranno a creare storie vere su di loro».
Le parole dette recentemente dal regista, Valentyn Vasjanovyč
Note positive
- La scrittura realistica della realtà del dopoguerra
- Riflessione sul presente
- Regia e fotografia
Note negative
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