God is a Woman (2023). Una immersione suggestiva nel mondo Kuna – Venezia 80

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Trailer di God is a Woman

Informazioni sul film e dove vederlo

God is a Woman è il documentario di Andres Peyrot, presentato alla Settimana Internazionale della Critica 2023, all’interno di Venezia 80. La sua proiezione è avvenuta il 31 agosto. L’esordiente regista panamense prende spunto dal lavoro di Pierre-Dominique Gaisseau, autore francese premiato con l’Oscar per Le ciel et la boue(1961). Nel 1975, il regista francese aveva iniziato le riprese di un nuovo documentario antropologico sui Kuna, popolazione panamense, intitolato God is a Woman, da cui Peyrot ha preso il nome per la sua opera. La pellicola fu sequestrata dalle banche, che avevano fatto credito per la realizzazione del lavoro. L’uscita nelle sale è prevista per dicembre 2023.

Trama di God is a Woman

Nel 1975, il lavoro etnodocumentaristico del regista francese Pierre-Dominique Gaisseau venne sequestrato. I Kuna, protagonisti della ricerca filmica etnografica del regista francese, ricordano l’avvenimento, rimarcando la delusione per non aver mai potuto vedere il girato. Il filmato includeva scene di vita a cui i Kuna erano particolarmente legati. Grazie alla perseveranza di Arysteides Turpana, artista kuna, viene scoperta una pellicola del lavoro, donata al Museo della Cinematografia a Parigi dalla figlia di Gaisseau. Il racconto diventa spunto per Andres Peyrot il quale rappresenta i Kuna nel nuovo millennio.

God Is a Woman - Un frame del documentario
God Is a Woman – Un frame del documentario

Recensione di God is a Woman

Andres Peyrot arriva alla Settimana Internazionale della Critica 2023 con la sua prima esperienza registica. Saggiamente, si mette alla prova con un documentario, dandosi la possibilità di esprimersi al meglio. Quando si pensa a un documentario, si ha sempre l’idea di avere a che fare con qualche cosa di noioso, didascalico, essenziale. Il regista panamense, invece, gioca con tutti i mezzi che ha a disposizione per farne un lavoro autoriale. Quando decide di raccontare una storia su più livelli – almeno tre – è consapevole di voler mantenere uno stile ben preciso. Le sue inquadrature dei paesaggi e la realtà impressa su pellicola del mondo odierno dei Kuna è pregna di colori, sfumature, di dettagli che possono sembrare superflui. Nicolas Desaintquentin e Patrick Tresch gli danno un grande aiuto, con una fotografia a volte satura e per questo ancor più significante. Anche la colonna sonora è decisamente ben curata, sia per le musiche pop e rap moderne che per i contorni sonori che riportano a una natura ancora non completamente addomesticata.

Seguire le orme di un premio Oscar

Peyrot vuole seguire le orme del francese Gaisseau a seguito di un incontro con un giovane kuna, come ha dichiarato a Cineuropa.

Andres Peyrot

Ho incontrato un giovane regista kuna a un festival e mi ha invitato a trascorrere qualche giorno nella sua comunità. […] ho detto ingenuamente che era molto stimolante e che mi sarebbe piaciuto fare un film, hanno riso un po’ e mi hanno risposto che un regista francese ci aveva già provato 50 anni fa […] Mi ha fatto venire voglia di scavare più a fondo e più scoprivo, più volevo saperne di più e sentivo che il film da fare era proprio su questo. Tutto ciò accadeva dieci anni fa.

Qua ha inizio il primo percorso narrativo, che vede protagonista l’artista kuna Arysteides Turpana, morto durante le riprese per Covid. L’autore panamense evidenzia non solo il ricordo del film girato decenni prima ma anche la volontà di riportare all’evidenza quel passato.

I Kuna vogliono ritrovare sé stessi in quelle immagini che ritengono oramai perse. Peyrot mantiene volutamente una struttura narrativa documentaristica ma si propone con scelte autorali importanti. Il passare dal documentario del 1975 all’attualità e la distorsione delle immagini evidenziano la sua impronta.

God Is a Woman - Una scena del film
God Is a Woman – Una scena del film

Il secondo percorso seguito da Peyrot è quello, a sua volta, etnografico. Scelta dovuta a una volontà di rifondere ciò che Gaisseau aveva, in parte, stravolto a causa della sua visione antica – e di comodo – dell’etnografia. È impossibile non essere coinvolti dall’uso che il regista fa delle immagini. Queste vengono sovraesposte, sfocate, quasi snaturate in una ricerca rappresentativa d’impatto.

I momenti che ripercorrono gli usi dei Kuna vengono ripresi con una precisione tale da rendere lo spettatore partecipe di quel folklore. Come per la rappresentazione della commemorazione della Rivoluzione del 1925, una via di mezzo fra documentario e fiction.

Andres Peyrot

Mi interessava sovrapporre le epoche con le stesse persone negli stessi luoghi. Volevo cercare l’esperienza della proiezione del film in modo spirituale. […] Le immagini si allineavano emotivamente. È stato un modo organico e visivo di filmare questa unione di memoria e presente. Creare uno spazio alternativo, che non è concreto e che si adatta alla spiritualità Kuna, secondo la quale le anime possono viaggiare attraverso le dimensioni.

Nidificazione eccessiva ma non lesiva

Il terzo percorso è quello del mise en abyss: un film sul film del film mentre viene girato un altro film. I livelli si incrociano, lo stile rimane fondamentalmente lo stesso. Se i primi due livelli si incrociavano perfettamente, questa via invece tende a rendere la struttura della narrazione dispersiva. Ciò rende anche alcune scelte dei primi due livelli poco funzionali.

Le scene volutamente lunghe, che funzionano autorialmente, diventano disorganiche, nel complesso del lavoro. Così come la volontà del regista di riportare i Kuna all’attualità. Il regista afferma a Ciak: «[…] evolversi non significa necessariamente perdere la propria cultura, significa adattarla al presente. […]». Per questa ragione, sarebbe stato interessante vedere un prodotto filmico più moderno, per quanto riguarda ritmo e tempi. Il risultato è stato rendere la struttura più nerbosa, senza inficiare in modo significativo sulla poetica dell’opera.

Si perde anche il significato del titolo. Gaisseau lo aveva scientemente scelto per sottolineare la gestione di una società matriarcale. Il regista panamense non manca di inserire qualche scena legata a questo aspetto, che pare appartenere anche al presente kuna. Purtroppo, questo aspetto viene sommerso dai troppi livelli narrativi, spesso a carico di uomini.

God Is a Woman - Una suggestione della pellicola
God Is a Woman – Una suggestione della pellicola

In conclusione

Andres Peyrot riesce a rendere giustizia sia ai Kuna che al regista francese Pierre-Dominique Gaisseau. Il lavoro, che ha visto un impegno di ben dieci anni, ha una poetica nelle immagini e un fascino nella storia da non sottovalutare. Nonostante alcune lentezze e le troppe diramazioni, God is a Woman è un ottimo debutto nel mondo dei documentari.

Note positive

  • Immagini ben fotografate
  • Idea autorale ben sostenuta
  • Storia interessante

Note negative

  • Eccessiva lentezza in alcuni punti
  • Troppa nidificazione di storie
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