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Bussano alla porta
Titolo originale: Knock at the Cabin
Anno: 2023
Paese: Stati Uniti d’America
Genere: Thriller
Casa di produzione: Blinding Edge Pictures, FilmNation Entertainment, Wishmore Entertainment
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: 110 minuti
Regia: M. Night Shyamalan
Sceneggiatura: M. Night Shyamalan, Steve Desmond, Michael Sherman
Fotografia: Jarin Blaschke
Montaggio: Noemi Katharina Preiswerk
Musiche: Herdís Stefánsdóttir
Attori: Dave Bautista, Jonathan Groff, Ben Aldridge, Nikki Amuka-Bird, Kristen Cui, Abby Quinn, Rupert Grint
Arriva il 2 Febbraio 2023 nelle sale cinematografiche italiane “Bussano alla Porta” (Knock at the Cabin), opera del visionario regista M.Night Shyamalan (Split, 2016; The Sixth Sense – Il sesto senso, 1999; E venne il giorno, 2008; The Village, 2004), basata sul romanzo “La casa alla fine del mondo” di Paul Tremblay. È la seconda volta consecutiva che il cineasta trae la storia da un opera preesistente, infatti anche il lungometraggio Old (2021) era un rifacimento della graphic novel “Sandcastle”. Il film può contare su un cast corale che comprende Dave Bautista (Dune, Guardiani della Galassia), Jonathan Groff (Hamilton, Mindhunter) Ben Aldridge (Fleabag), Nikki Amuka-Bird (Old) Kristen Cui, Abby Quinn (Piccole Donne) e Rupert Grint (Servant, la saga Harry Potter).
Trama Bussano alla Porta (2023)
Mentre sono in vacanza in uno chalet isolato, una bambina e i suoi genitori vengono presi in ostaggio da quattro sconosciuti armati che chiedono alla famiglia di fare una scelta impossibile per evitare l’apocalisse. Con un accesso limitato al mondo esterno, la famiglia deve decidere in cosa crede prima che tutto sia perduto.

Recensione Bussano alla Porta (2023)
Il cinema di Shyamalan, sin dagli esordi fino ad arrivare al convulso e folle Old, ha sempre avuto il sapore della favola. Una favola antica, che sembra echeggiare nell’oscurità di un mondo che si agita in una spaventosa rivolta. Eppure, in fondo al buio, Shyamalan dipinge sempre una luce, un oggetto che sta al di là della paura, qualcosa verso cui i personaggi tendono, qualcosa che li ispira. Tutto il suo cinema può essere letto pensando a un’immagine: la tentazione alla luce, dal buio. Così è anche in Knock at The Cabin. L’idea emerge fortemente sin dalle prime sequenze. Una bambina sta giocando in un bosco vicino casa, viene improvvisamente interrotta da un uomo adulto (Dave Bautista) che sembra comparire dal nulla. L’uomo è lì, insieme ad altri inquietanti personaggi, per compiere un dovere ingrato ma necessario: annunciare alla famiglia di Wen (composta da due padri, coppia omosessuale, Jonathan Groff e Ben Aldridge) che uno di loro dovrà sacrificarsi, altrimenti il mondo intero avrà fine.
L’idillio di una bambina che si scontra d’improvviso con un terrore non logicamente spiegabile, dunque. Shyamalan ha sempre giocato con lo sguardo infantile, quasi a identificarlo con l’unico totalmente “puro” e incontaminato, e se i bambini hanno sempre avuto ruoli di rilievo nel suo cinema, anche nei casi in cui non sono presenti vi sono personaggi straniati, allucinati, fuori dal reale, che si approcciano al mondo concreto come bambini. Immagine ricorrente nel cinema di Shyamalan sono gli occhi sbarrati: i suoi personaggi sembrano spesso vivere e agire in stato di trance, estraniati. Ciò che Shyamalan racconta è una dimensione favolistica perversa che sembra esistere di per sé, al di fuori di uno spazio o un tempo preciso.
L’assurdo e il mito
In Knock at the Cabin il destino dell’umanità sembra decidersi fra pochi personaggi rinchiusi in una baita, eppure cadrebbe in errore lo spettatore che considerasse tale situazione “assurda”. Shyamalan si muove consciamente sul terreno dell’assurdo, suo intento è creare macro-bolle in cui vizi e virtù umane coesistono, scontrandosi e compenetrandosi. Bussano alla porta gioca continuamente con l’idea del mito, si ha la percezione palpabile e concreta di una partita a scacchi col destino, il tentativo disperato di capire. Più volte i personaggi del film cercano di capire se tutto ciò che stanno vivendo ha un senso, se la minaccia è reale. Shyamalan cambia prospettiva, finora i suoi film son sempre stati ritratto di situazioni bloccate internamente o esternamente, non esistevano prospettive altre. Qui, in un gioco che stupisce e appassiona, l’interno guarda l’esterno, i personaggi rinchiusi nella baita hanno percezione diretta di ciò che le loro azioni stanno causando nel mondo. Il dubbio però resta: come fidarsi di vuote immagini in un mondo che ci mette faccia a faccia con la morte, che invece è davanti a noi, vivida e concreta? Riflessione inedita per M. Night, se infatti nel 2004, con The Village, la grande metafora era l’isolazionismo statunitense post-11 Settembre, oggi è impossibile non pensare all’isolamento sociale pandemico, a sparuti gruppi di persone rinchiuse in casa che alla televisione guardano l’apocalisse nel mondo. E a quelle immagini non ci credono, non sanno se crederci, farebbero di tutto pur di non crederci.

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In conclusione
Rivelare troppo sarebbe ingiusto, non renderebbe onore a un’opera compatta da cui si sviluppano innumerevoli spunti. Shyamalan continua a raccontare anime fuori fuoco e mondi instabili. Il suo è un cinema che cerca il “disallineato”: l’occhio spesso si perde nelle sue inquadrature, confuse, smarrite. Emblematica della sua poetica, in Old, un’inquadratura che ruota a vuoto su se stessa, non trovando subito i personaggi. C’è in Knock at The Cabin una liricità che emerge dal perturbante. Come finirà il film sta al pubblico scoprirlo, dell’opera è giusto parlare solo per vie estremamente traverse.
Shyamalan non ha mai cercato logica o risposte, si muove piuttosto sullo scivoloso terreno della paura del buio: una paura che non ha un senso ma che, ben presto, si trasforma nella speranza della luce. Così è per lui il mondo, come visto da un bambino che non smette mai di fare domande o, parafrasando la dedica finale di Lady in the Water, un bambino a cui raccontare una storia ancora una volta.
Note positive
- Shyamalan è autore consapevole, in Knock at the Cabin mette ulteriormente a fuoco le tematiche tipiche della sua filmografia
- Scrittura compatta e ricca di spunti
- Cast corale funzionale al racconto e alle atmosfere
Note negative
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